La Madonna (Aganoor)
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LA MADONNA 1
Era una bruna chiesetta di campagna, a grandi macchie verdastre sulle muraglie screpolate; una gran quiete intorno, un lento cadere d’ombre sulle praterie. Suonava l’Ave, e una gran voce di ricordi mi chiamò dentro.
Dapprima non vidi nulla; poi, fatto l’occhio a quel po’ di barlume ch’entrava dalle due finestre laterali, scorsi un vecchietto, piuttosto curvo, coi capelli un po’ lunghi e bianchi, che stava rifornendo d’olio le lampade. Egli mi guardò sorridendo un po’ confuso (almeno mi parve), e da quel sorriso e dal suo abito indovinai che non era il sagrestano, ma lo stesso parroco, inteso a quell’umile bisogna. A sua volta, egli vide subito ch’io non ero uno de’ suoi parrocchiani, e, smettendo lesto il lavoro, quasi obbedendo ad una súbita ispirazione, mi venne incontro, offrendosi di «farmi vedere la chiesa». Rimasi addirittura sbalordito a quella strana profferta. Che mai poteva essere di prezioso e d’occulto fra quelle quattro pareti bianche che davano posto ad un unico altare? Egli mi guardò con certo lampo di malizietta contenta, indovinando quel mio pensiero e rinnovò la domanda. Ormai, fatto curioso, accettai.
— Se permette — egli disse, accendendo uno dei ceri disposti sui gradini dell’altare — se permette finisco di preparare questi benedetti lumi che bevono l’olio come... come... — e, non trovando comparazione plausibile, mi lasciò sotto l’incubo di quella ricerca, e seguì: — Vede queste cose le fo da me perchè la chiesa è povera e gli altri non hanno una cura... — (asciugò con un pannolino una goccia d’olio che scendeva lenta lungo la lampada), poi: — non hanno una cura al mondo, e allora... capisce bene!... —
Io capivo benissimo, e quel vecchio mi destava come una tenerezza, un rispetto affettuoso, per quei suoi capelli bianchi, per quelle sue parole semplici, e perchè sentiva che non era gretteria ciò che lo muoveva; si vedea bene dall’espressione dolce ed aperta de’ suoi occhi buoni, dal suo sorriso quasi infantile ed intelligente ad un tempo.
— Le ho detto che le mostrerei la chiesa, ma, per dire la verità..., per dire più esatto... avrei dovuto dire il quadro. La chiesa, come vede, è pulita ma poveretta... per ora — aggiunse con uno strano accento.
Mi credetti in obbligo di dire qualcosa a mia volta: — Se si tratta d’un quadro — risposi — tornerei piuttosto domani: sono pittore; innamorato dell’arte; e... al lume del sole, sa bene, si vede meglio ogni cosa.
— Torni pur domani, ma non la lascio andar via senza che l’abbia veduto intanto al lume d’una candela. È pittore? E tanto meglio! Avrà questa notte dei sogni d’oro, perchè io — soggiunse, abbassando la voce e togliendosi la papalina — perchè io le mostro una Madonna del Guercino.
— Oh! — esclamai io — davvero? —
Mi fece un gesto con la mano che voleva dire: vedrete, e s’incaminò alla sagrestia. La chiave che si tolse di tasca pareva fatta per qualche enorme forziere, tanto era grande, ma schiuse invece un umile armadio di abete, di dove, avvolto in una fitta stoffa nerastra, trasse il quadro famoso con un certo intervento anche della lingua, che aiutò lo sforzo delle sue mani tremanti, oltrepassando di lato i soliti suoi confini.
— Datemi la candela — dissi, vedendo che del quadro non voleva disfarsi, nè sapeva come rifarsi a svolgerlo dal suo involucro con tutte e due le mani occupate. Me la porse con un sorriso di compiacenza; e, scoperta la tela, me la pose innanzi.
Era una bella testa di madonna; non vi mancava la forza del colore che distinse il Barbieri, nè la sua imitazione larga del vero, ma non mi ci volle molto a capire che il quadro era apocrifo.
— È ben fatto — dissi — ; ma è una copia. —
Alzò gli occhi che prima fissava con riverenza alla tela e mi guardò con aria di così desolato stupore ch’io ne rimasi commosso e confuso. Volle dire qualcosa; poi si trattenne ad un tratto: trasse di tasca una larga pezzuola e se la passò su la fronte, poi: — Non ho ben capito — mormorò con un filo di voce.
Non scorderò mai l’accento con cui sussurrò quelle quattro parole; vi era dentro una preghiera così fervida, un terrore così profondo, che, non so come, mi tornò a mente l’inesaudita domanda del Salvatore: — «Padre, s’è possibile allontanami questo calice!»
— Mi pareva — balbettai tutto rimescolato — dubitavo..., ma...
— Ma che cosa? — m’interruppe ansioso il buon vecchio, con voce più chiara, mentre s’appoggiava con una mano all’armadio.
— Ma potrei sbagliare — risposi deciso.
— Torni domani — supplicò egli, stringendomi la mano — torni domani!... — E la voce gli tremava, e gli vidi veramente delle lagrime negli occhi.
Promisi e me ne andai; ma, quando fui sul sagrato, mi volsi indietro; avevo lasciato quel povero vecchio solo, tremante, disperato...; chi sa? forse bisognoso d’aiuto per tornarsene a casa, forse... Ma no, dalla sagrestia si passava certo in canonica e adesso non lo troverei più. Tornai all’albergo.
⁂
Un povero albergo davvero, ma pulito, e la sera vi si riunivano le poche autorità del villaggio, perchè sotto v’era la farmacia. La grossa voce del dottore, col quale avevo fatto la conoscenza la sera innanzi, usciva intermittente dalle finestre a terreno; s’udivano le parole: raccolto; opere; semine; già! sicuro! il solfato di rame... una bella pagliacciata anche quella; altro ci voleva!
— Buona sera!
— Buona sera! —
Ricambiai il saluto con un cenno collettivo del capo, strinsi la mano al dottore, e sedendomigli vicino: — Ho da chiedervi qualche cosa — gli sussurrai.
— Ai vostri comandi — rispose ringalluzzito quella buona pasta d’uomo.
— Ditemi del parroco e... del suo quadro.
— Se non volete altro!... La è una storia che la sanno tutti, e non ve la farò cascar d’alto, ma è trista — aggiunse facendosi serio. — Dovete sapere che il parroco avea qualcosa di suo; una ventina di mila lire, lasciategli da suo padre, ch’era conte o marchese, non so bene, ma un riccone, certo, che si mangiò tutto il suo e fece vestir da prete il figliuolo per toglierselo di fra i piedi. Ora, don Mario, ch’è il parroco, aveva pure un grande amore per l’arte, perchè da bimbo gli avevano insegnato a dipingere, a colorire, che so io, e s’era preso di quello studio; ma poi, fatto prete, non ci pensò più: solo, se gli parlavano di tele vecchie, di dipinti antichi, andava in visibilio, e una volta lo so io che fece scarpa scarpa non so quanti chilometri per vedere una pittura fatta non so da chi, ma da anni molti sopra una muraglia e scoperta per caso, restaurando una chiesa.
Un... vendibubbole, saputo non so come la manìa del pover’uomo, venne qui un giorno con quel quadro, che v’avrà mostrato, mi figuro, e tanto disse, e tanto fece, e tanto il parroco se ne innamorò che delle sue ventimila lire ne passò più di tre quarti nella tasca di quel brigante, e a don Mario... restò il quadro.
Da quel giorno il povero prete non ebbe più pace. Appena videro sull’altare la Madonna che seppero comprata a così caro prezzo, i cattivi (e non ne mancano in questo paese!) gli abbaiatori di mestiere, cominciarono a mormorare che un buon parroco avrebbe dovuto restaurare la chiesa con quei danari, o, meglio ancora, darli ai poveri, invece che comprar quadri, e che questo e che quello, e tante ne dissero e tante ne fecero che don Mario nascose la sua Madonna per far tacere la gente e far loro credere, mettiamo, d’averla rivenduta; ma a separarsene non pensava punto, e a me, perchè mi vuol bene, sapete! la mostrava ogni tanto, con un sorriso così contento che, vi assicuro, v’inteneriva.
Un mese fa tornava da una delle sue escursioni attraverso i campi, nelle quali trova sempre modo di far del bene, perchè è buono, sapete! ma buono proprio davvero; era appunto uscito dalla casa della Maria, una povera donna, sempre malata, moglie di Bista, il bottaio, un omaccio, e vi figurate se v’era andato a mani vuote! Tornava dunque a casa che il sole cadeva, col suo passo lento, guardando la campagna e godendosi il tramonto, che dice la più santa ora del giorno, quando Bista, che appunto rincasava, gli passa accosto e senza fermarsi gli butta in faccia queste parole:
— Sì, sì, i quadri, parrocaccio... (e lì un’infamia); gli altri che stentino il pane e i malati che crepino!... — Quando don Mario tornò in canonica, (io lo vidi pel primo, perchè stavo sulla porta ad aspettarlo) era più bianco d’un cero, gli occhi pieni di lagrime che tratteneva a forza, le labbra tremanti come un bimbo stremito; appena mi fu vicino mi gettò le braccia al collo, e uscì in un tale scoppio di pianto che gli sentivo sussultare il cuore sul mio petto.
Appena si riebbe un poco, mi raccontò alla meglio ogni cosa, giurandomi che avrebbe venduto il quadro appena trovasse il compratore. — Ma (ripeteva sempre) me lo pagheranno poi... quello che mi costò? capiranno la sua bellezza? se non lo stimassero..., ripeteva tra un singhiozzo e l’altro. Pareva tormentato da un dubbio penoso, che non sapeva o non voleva aprirmi intero. Mi provai a confortarlo, dicendogli sperasse, e che ad ogni modo con quel danaro avrebbe appunto potuto rabberciare i muri della chiesetta; e tante altre cose. Egli mi confessò aver provato un gran rimorso sempre per non aver pensato alla chiesa tutta screpolata, ma che ora avrebbe deciso, avrebbe venduto... sì, avrebbe venduto il quadro; certo ormai voleva, e allora la sua chiesetta la vedrei... Ma il Bista non gli venisse più innanzi, perchè i suoi poverelli non li aveva... no, mai scordati, mai lasciati patire, e quel poco che gli era rimasto lo avea dato tutto per loro, e anche oggi, anche oggi... E ricominciava a piangere, e si pentiva a un tratto d’avermi svelato la sua carità in quel momento di passione, e voleva disdirsi, e mi supplicava a non dir nulla. Se aveste veduti quei suoi occhi, quei suoi capelli bianchi (continuava il dottore, più commosso di quanto non volesse parere), se aveste veduto in quel turbamento quella sua faccia buona e bella!... Basta; ora v’ho detto tutto.
Oh, io l’avevo veduto quel volto di santo, quei bei capelli candidi, quegli occhi velati di lagrime e ringraziavo il destino che m’avea condotto laggiù, in quel paesello tragico e caro, che non avrei più scordato.
⁂
— Insomma — dissi la mattina di poi, mentre don Mario mi stava innanzi con la Madonna del «Guercino» tra le braccia, mentre un bel raggio di sole baciava la sua bella testa bianca di martire; insomma, me la volete vendere?
— Ah! non è dunque una copia? — sorse a dire con un lampo di trionfo il buon vecchio.
— Forse... no — risposi, assumendo il fare brusco dei negozianti che spregiano per avere a buon patto — forse no, e... ad ogni modo... è un buon quadro; quanto vorreste?
— Sentite... non so fare io; vi dico la verità; io l’ho comprato per diecimila lire... Ma...
— Uhm!... è un po’ caro! pure... Via! accetto. —
Mi porse il quadro e volse il volto di lato; sorrideva, piangeva?... Volli saperlo, e presa la tela, feci un passo come per deporla sopra la panca, lì presso a lui: lo guardai... Aveva il volto come contratto da uno spasimo strano; negli occhi non aveva lagrime, ma qualcosa d’insolito che non avevo mai veduto in nessun altro occhio d’uomo; le labbra erano mosse da un tremito veloce.
— Sediamo! — dissi — ho qualche cosa da dirvi. — Avevo indovinata l’angoscia di quel vecchio nel separarsi da quella Madonna, ch’era diventata la sua vita, il suo amore, la sua fede; quella soave sembianza di donna ch’egli aveva comprata anche perchè risuscitava per lui, forse, un sogno di giovinezza, una speranza, una febbre, trasformata dal tempo, dal volere, dalle preghiere in un’ascetica tenerezza di parroco..., di buon vecchio parroco.
— Sediamo — dissi. Volevo trovar modo di dargli il danaro e lasciargli il quadro: chi sa? un’ispirazione mi sarebbe venuta..., avrei trovato... Ma intanto come fare, come fare?
— Senta — ripresi; e, vedendo che non rispondeva, lo scossi leggermente, ponendogli una mano sul braccio.
Egli s’era seduto, o piuttosto era caduto a sedere sopra una scranna lì presso, la testa sul petto, gli occhi chiusi... Ebbi paura; chiamai...
Venne il dottore, che stava in canonica, origliando, e la Perpetua, una buona donna, vecchietta, ma forte ancora.
Il dottore, appena lo vide abbandonato a quel modo, mi disse tosto: — aiutatemi a portarlo sul letto — e non fiatò più finchè non fummo giunti alla sua povera camera; là si riebbe un poco, si guardò intorno, si capiva che non poteva parlare. Il medico mise mano alla lancetta, e lo punse al braccio, ma non ne uscirono che poche goccie di sangue. Don Mario guardò ancora intorno con certa aria, con terrore crescente, e, raccolte le poche forze che ancora gli rimanevano per quell’estrema preghiera: — la mia Madonna! (bisbigliò ansando) — la mia Madonna!... — Corsi a prenderla e gliela posi innanzi. Ebbe un sorriso beato, un sorriso che divenne poi stanco subito, e il volto ridivenne composto e grave...: poi richiuse gli occhi di nuovo, per sempre... Sulla fronte larga una grande serenità si distese. Cessato ogni palpito umano, spenta ogni passione, l’anima visibilmente saliva, e il corpo, stanco, s’abbandonava pacato nella solenne immensità della morte...
⁂
Mentre scrivo, ho qui innanzi quella testa di Santa che mi guarda con occhi pieni d’amore, e ne’ suoi capelli castani il sole sveglia dei riflessi dorati. Ma dietro a lei mi si affaccia la fronte di quel candido vecchio, gli occhi di quel martire oscuro, cui la ingiustizia degli uomini contese anche il terreno conforto di una immagine che, dopo la Fede, era la sua gioia unica, la sua tenerezza, il suo mondo, la sua Madonna!
Note
- ↑ Esaminando i mss. dell’A., mi venne fatto di rintracciare, oltre a queste, altre prose di una finezza singolare; ma riprodurle qui tutte sarebbe stato fuor di proposito. Spero che, prima o poi, non manchi occasione di raccoglierle. — Questo bozzetto fu tradotto in francese dal Ciàmpoli per la Revue Anglo-Americaine, Paris, 1895.