Pagina:Poesie complete di Vittoria Aganoor, Firenze, Le Monnier, 1912.djvu/483

strinsi la mano al dottore, e sedendomigli vicino: — Ho da chiedervi qualche cosa — gli sussurrai.

— Ai vostri comandi — rispose ringalluzzito quella buona pasta d’uomo.

— Ditemi del parroco e... del suo quadro.

— Se non volete altro!... La è una storia che la sanno tutti, e non ve la farò cascar d’alto, ma è trista — aggiunse facendosi serio. — Dovete sapere che il parroco avea qualcosa di suo; una ventina di mila lire, lasciategli da suo padre, ch’era conte o marchese, non so bene, ma un riccone, certo, che si mangiò tutto il suo e fece vestir da prete il figliuolo per toglierselo di fra i piedi. Ora, don Mario, ch’è il parroco, aveva pure un grande amore per l’arte, perchè da bimbo gli avevano insegnato a dipingere, a colorire, che so io, e s’era preso di quello studio; ma poi, fatto prete, non ci pensò più: solo, se gli parlavano di tele vecchie, di dipinti antichi, andava in visibilio, e una volta lo so io che fece scarpa scarpa non so quanti chilometri per vedere una pittura fatta non so da chi, ma da anni molti sopra una muraglia e scoperta per caso, restaurando una chiesa.

Un... vendibubbole, saputo non so come la manìa del pover’uomo, venne qui un giorno con quel quadro, che v’avrà mostrato, mi figuro, e tanto disse, e tanto fece, e tanto il parroco se ne innamorò che delle sue ventimila lire ne passò più di tre quarti nella tasca di quel brigante, e a don Mario... restò il quadro.

Da quel giorno il povero prete non ebbe più pace. Appena videro sull’altare la Madonna che seppero comprata a così caro prezzo, i cattivi (e non ne mancano in questo paese!) gli abbaiatori di mestiere, cominciarono a mormorare che un buon parroco avrebbe