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— Torni pur domani, ma non la lascio andar via senza che l’abbia veduto intanto al lume d’una candela. È pittore? E tanto meglio! Avrà questa notte dei sogni d’oro, perchè io — soggiunse, abbassando la voce e togliendosi la papalina — perchè io le mostro una Madonna del Guercino.

— Oh! — esclamai io — davvero? —

Mi fece un gesto con la mano che voleva dire: vedrete, e s’incaminò alla sagrestia. La chiave che si tolse di tasca pareva fatta per qualche enorme forziere, tanto era grande, ma schiuse invece un umile armadio di abete, di dove, avvolto in una fitta stoffa nerastra, trasse il quadro famoso con un certo intervento anche della lingua, che aiutò lo sforzo delle sue mani tremanti, oltrepassando di lato i soliti suoi confini.

— Datemi la candela — dissi, vedendo che del quadro non voleva disfarsi, nè sapeva come rifarsi a svolgerlo dal suo involucro con tutte e due le mani occupate. Me la porse con un sorriso di compiacenza; e, scoperta la tela, me la pose innanzi.

Era una bella testa di madonna; non vi mancava la forza del colore che distinse il Barbieri, nè la sua imitazione larga del vero, ma non mi ci volle molto a capire che il quadro era apocrifo.

— È ben fatto — dissi — ; ma è una copia. —

Alzò gli occhi che prima fissava con riverenza alla tela e mi guardò con aria di così desolato stupore ch’io ne rimasi commosso e confuso. Volle dire qualcosa; poi si trattenne ad un tratto: trasse di tasca una larga pezzuola e se la passò su la fronte, poi: — Non ho ben capito — mormorò con un filo di voce.

Non scorderò mai l’accento con cui sussurrò quelle quattro parole; vi era dentro una preghiera così fer-