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bita ispirazione, mi venne incontro, offrendosi di «farmi vedere la chiesa». Rimasi addirittura sbalordito a quella strana profferta. Che mai poteva essere di prezioso e d’occulto fra quelle quattro pareti bianche che davano posto ad un unico altare? Egli mi guardò con certo lampo di malizietta contenta, indovinando quel mio pensiero e rinnovò la domanda. Ormai, fatto curioso, accettai.

— Se permette — egli disse, accendendo uno dei ceri disposti sui gradini dell’altare — se permette finisco di preparare questi benedetti lumi che bevono l’olio come... come... — e, non trovando comparazione plausibile, mi lasciò sotto l’incubo di quella ricerca, e seguì: — Vede queste cose le fo da me perchè la chiesa è povera e gli altri non hanno una cura... — (asciugò con un pannolino una goccia d’olio che scendeva lenta lungo la lampada), poi: — non hanno una cura al mondo, e allora... capisce bene!... —

Io capivo benissimo, e quel vecchio mi destava come una tenerezza, un rispetto affettuoso, per quei suoi capelli bianchi, per quelle sue parole semplici, e perchè sentiva che non era gretteria ciò che lo muoveva; si vedea bene dall’espressione dolce ed aperta de’ suoi occhi buoni, dal suo sorriso quasi infantile ed intelligente ad un tempo.

— Le ho detto che le mostrerei la chiesa, ma, per dire la verità..., per dire più esatto... avrei dovuto dire il quadro. La chiesa, come vede, è pulita ma poveretta... per ora — aggiunse con uno strano accento.

Mi credetti in obbligo di dire qualcosa a mia volta: — Se si tratta d’un quadro — risposi — tornerei piuttosto domani: sono pittore; innamorato dell’arte; e... al lume del sole, sa bene, si vede meglio ogni cosa.