La Faoniade/Parte seconda/Ode quinta. Voto ad Apolline
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Ode quinta.
VOTO AD APOLLINE.
Alma, che più! Di Leucade
Ecco il sacrato sasso:
Ardita a questo accingiti
Irrimeabil passo.
Tempo è che omai decidasi
La tua funesta sorte:
Sia de’ tuoi affanni il termine,
O libertate, o morte.
Se andrai dell’orco orribile 1
Ne i regni oscuri e mesti,
Del nome tuo memoria
Più non sperar, che resti.
Più non sarai partecipe
Delle purpuree rose,
Che del parnaso colgonsi
In sulle vette erbose:
Ma ignota andrai dell’Erebo,
Per la region fumante
Trall’ombre tristi e pallide,
Eternamente errante.
Lucido Dio, che penetri
La nebbia de’ futuri,
Non far, che mai si avverino
Così funesti auguri.
Lucido Dio, cui supplice
Porsi i miei voti ognora,
L’ultimo d’essi accogliere
Oggi ti piaccia ancora.
Quì, appiè dell’ara, io misera
Il tuo gran Nume adoro:
Quì, a’ voti miei propizio
Il tuo soccorso imploro.
A te la bella Venere
Già non ricorse in vano, 2
Quando pel caro Adonide
Ardea d’amore insano.
Quando dolente e misera
Del di lui fato in forse,
Tutti i begli orti d’Espero,
E Pafo e Gnido scorse.
Ma poichè in esso esanime
Quì l’alma Dea s’avvenne,
Rimedio al foco inutile
Col fatal salto ottenne.
L’antico tuo prodigio
Per me, gran Dio, rinnova;
Qual’essa infausto incendio
Ancor quest’alma prova.
So, che compagna accogliermi
A Citerea non spiace:
Fu ognor per me propizia
La sua celeste face.
Sì: lo vedrai, se libera
Esco dal fier cimento,
Vedrai la stessa Venere
Lieta del gran portento.
Le mie pietose suppliche
Non sien da te neglette:
Son figlia tua: si deggiono
A te le mie vendette.
Tu, che lo puoi, quest’anima
Sciogli dal duro laccio:
Per te respiri libera
Dell’amoroso impaccio.
Inni festivi e cantici,
Sul grato labbro accolti,
Se tu mi dai vittoria,
Saranno a te rivolti.
Ecco il momento orribile;
Tremante ascendo il sasso;
Tu in questo, Febo, assistimi
Irrimeabil passo.
O la mia sorte cangisi
A i voti miei seconda
O me e l’ardor che m’agita
Il mar Leucadio asconda 3
Fine della seconda parte.
Note
- ↑ [p. 391 modifica]Presso di Stobeo tract. de amen. Si trova questo altro frammento di Saffo. Mortua quidem jacebis; neque unquam postea memoria tui exstabit. Non enim particeps es rosarum ex Pieria provenientium, sed obscura ad Orci domus ibis, neque te quisquam videbit; postquam ad umbras exiles advolaveris.
- ↑ [p. 391 modifica]Veggasi nelle notizie istoriche, (p. 36) che qui presso seguono, dove si spiega questo fatto di Venere, quando saltò dalla rupe Leucadia.
- ↑ [p. 391 modifica]Quì finisce il poema: E forse con la vita della nostra poetessa. Quest’ultim’ode è a mio parere alquanto debole, per cui convien credere, che il timor della morte prevalesse in Saffo alla speranza di guarire dalla sua infelice passione.