La Faoniade/Parte seconda/Ode quarta. A Venere

Parte seconda - Ode quarta. A Venere

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Ode quarta.

A VENERE.


Saffo, prega di nuovo questa Dea, acciò prima di morire le faccia rivedere il suo amato.


     Di Giove, o figlia amabile,
Vita di Saffo e speme,
Ecco al tuo piè la supplice,
Che a te tornar non teme.
     Il periglioso termine
Del mio penar si appressa:
Sono a i viventi in odio,
Ai Numi e da me stessa.
     Per tutto intorno, ahi misera!
Un freddo orror m’ingombra:
Di morte mi perseguita
La nera e pallid’ombra.

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     Qual’erba mai venefica 1
Per me produsse Averno,
Ond’è, che ognora avvivasi
In me l’ardore eterno?
     Già Febo il nono circolo
A consumar si avanza,
E ancor languisco vittima
Di vana mia speranza.
     Già sal, che di me sazio
Scorsi due lustri appena,
Lasciommi il Lesbio giovane
In braccio alla mia pena.
     Di non mai più disciogliersi
Dalle catene nuove,
Per il tuo figlio, il perfido
Me lo giurò, per Giove.
     Giove dall’alto ridesi
De’ suoi spergiuri in pace:
Amor punir dovríalo,
E Amor lo vede e tace.
     Tu sola ancor propizia,
Gran Dea, nel ciel mi resti;
Questi ti piaccia accogliere
Ultimi voti e mesti.

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     In van, lo so, con suppliche
Io spero Amor placato:
So che cangiar non puotesi,
Ciò che ha prescritto il Fato.
     Vo’ sol, che testimonio
Sia del grand’atto illustre
Ei stesso, ch’è l’origine
Del mio dolor bilustre.
     Faon me vegga intrepida
Spiccare il salto audace:
Orror, pietà risentane
Se è di pietà capace.
     Ah! se fia mai, che l’avida
Fiamma in me resti spenta,
Sciolta ei mi veggia, ed invido
Del suo rigor si penta.
     Qual io, di crudo incendio
Provi egli ancor nel petto
Le agitatrici furie,
La rabbia ed il dispetto.
     Ma se gli Dei me vogliono
Preda d’ingiusta morte,
Trionfi pure, e ridasi
Di mia dolente sorte.

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     Per lui mie fredde ceneri
Empio trofeo saranno,
Che accrescerà le glorie
Del fiero Amor tiranno.
     E per suo vanto additisi
Al passeggiero il loco.
«Quì giace Saffo vittima
D’incorrisposto foco.» 2

Note

  1. [p. 386 modifica]Non mi sarebbe stato possibile l’uscire dalla oscurità di questo passo del testo, se Plinio con i suoi lumi non me ne avesse tratto fuora. Odasi ciò, ch’egli conta d’un erba detta in greco Eringium, in latino centum capita, ed in Italiano calcatreppolo. Portentosum, quod de ea traditur: radicem ejus alterutrius sexus similitudinem referre: Rarum inventu; sed si viris contingerit mas, amabiles fieri; ob hoc et Phaonem Lesbium dilectum a Sapho. Plin. lib. XXIII, c. VIII.
  2. [p. 386 modifica]La parola incorrisposto non si usa in Italiano: Ma si può ben permettere ad un traduttore, quando non sa immaginarne una più adattata per esprimere fedelmente l’idea del testo; e poi dicendosi incorrigibile, incorrotto, e simili, non so perchè non sia lecito il dire incorrisposto.