La Famiglia De-Tappetti/IV - De-Tappetti in villeggiatura

IV — De-Tappetti in villeggiatura

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IV.


De-Tappetti in villeggiatura.


Il sogno della signora Eufemia De-Tappetti è diventato una realtà. Policarpo è riuscito a farsi subaffittare, da un suo collega, una casa di campagna nelle vicinanze di Frascati.

Nei tre giorni precedenti alla partenza per la villeggiatura Policarpo non ha fatto che ripetere a tutto il vicinato:

— Ah, non ne posso piú; sarà meglio che ce ne andiamo subito al nostro villino.

— Un villino?

— Oh, una cosa da niente: una palazzina di due piani, con un po’ di giardino. Venite pure a trovarmi.... quando volete....ma è così lontano.... c’è due ore di cam[p. 35 modifica]mino, a piedi.... con questo sole.... eppoi, una strada impossibile.... il governo non pensa mai alle strade.... ma venite pure, mi farete tanto piacere.

La palazzina, tutt’insieme, è una casuccia rustica, molto vituperata dalle intemperie. Una porta sbocconcellata, munita di un semplice saliscendi, mette in una specie di stalla, che sarebbe la sala da pranzo, per la ragione che c’è la cucina fatta unicamente per abbrustolire le focacce dei tempi d’Isacco e di Giacobbe.

Una magnifica scala di legno, tarlata a dovere, e abbellita di spaventosi ragnateli, porta al secondo piano della palazzina, che si compone di una cameraccia schifosa, divisa in due da un tramezzo d’assi sconnesse, abitacolo sacro alle pulci, che professano un verace attaccamento ai membri della famiglia De-Tappetti.

Il giardino consiste in un pezzetto di terreno incolto, pieno d’erbacce, di sterpi, tra [p. 36 modifica]cui cresce rigoglioso il papavero, l’ortica abbonda, e i cespugli di corbezzoli si aggraziano dei loro bottoni di corallo. Il terreno è cinto da una staccionata cadente in cui lo stesso compianto Mazzarella non avrebbe trovato piú posto, per una nuova interruzione. In un angolo, si vede una cisterna in cui, secondo la leggenda che corre in paese, i gatti defunti avrebbero trovato l’estrema dimora fin dalla più remota antichità.

Policarpo, per godere una mesata intiera tale delizia, ha promesso di pagare 22 lire dicendo:

— Il sacrificio è grave, ma la salute prima di tutto.

La signora Eufemia, sposa e madre felice, avanti di partire ha gabellato alle amiche questa pietosa menzogna:

— Policarpo mi voleva fare un abito, ma io gli ho detto: abbi pazienza, caro mio, ma mi pare una bestialità: la prima [p. 37 modifica]cosa che si deve fare, in campagna, è di mettersi in piena libertà. E poi, non ce l’ho il mio abito di seta marron?

Da lunghi anni, la signora Eufemia parla con accento convinto e possessivo, di questo abito di seta marron, che nessuno ha mai visto e nemmeno lei. La cosa è talmente penetrata nelle abitudini, che lo stesso Policarpo ha detto più volte, disponendosi alla passeggiata:

— Per l’amor di Dio, dolce Eufemia!... non mettere il tuo abito di seta marron; il tempo è minaccioso. I miei calli non s’ingannano mai.

La partenza per la campagna è un vero avvenimento per la famiglia De-Tappetti, e per l’intero vicinato che — sia detto a sua lode — non ci aveva mai creduto.

Le lenzuola dentro a un secchio — i fazzoletti, i calzoncini di Agenore stiacciati nella cazzerola, le calze e le mutande del genitore, pigiate bene dentro la pignatta — [p. 38 modifica]altri indumenti rassettati con garbo dentro parecchi utensili di cucina; il tutto caricato sul gobbone della serva, l’infelice Rosa, che viene spedita alla stazione due ore prima della partenza del convoglio.

La signora Eufemia, s’è messa due abiti, quello per casa, e quello per fuori, uno sull’altro, a scanso di maggiori impicci; Policarpo ha le tasche piene d’ogni sorta di roba, dai pettini ai cucchiai, dalla scatolina del lucido per le scarpe, al macinino per il caffè. Il piccolo Agenore è ovattato di stracci per la cucina, di cartaccia per accendere il fuoco, ha una padella sullo stomaco e un soffietto sulla schiena, del quale dice talvolta di sentire il soffio, la qual cosa non è sufficientemente appurata dalla storia.

Tutti e tre hanno le mani impacciate da fagotti, in cui si celano i misteri della famiglia, dalle scarpe vecchie, alla conserva di pomidoro.

I De-Tappetti salgono sopra un omnibus, [p. 39 modifica]e arrivano alla stazione un’ora prima della partenza del treno.

— Scusi — dice De-Tappetti, cavandosi il cappello, a un facchino — mi saprebbe dire a che ora parte il treno delle 5,50?

— Dieci minuti prima delle sei.

— Sempre ritardi! — esclama Eufemia: indi, volgendosi al marito: — in che classe si va?

— Andremo in terza.... non essendovi una quarta.

Finalmente la famiglia è in viaggio. Agenore non lascia un minuto il finestrino, e tempesta il babbo di domande imbarazzanti.

— Papà! che cosa è il vapore?

— Il vapore è il fumo che penetra nelle ruote e si converte in forza motrice, per modo che quando una locomotiva è in movimento tutti i vagoni le corrono appresso fino a che si scenda a una stazione che sarebbe per esempio Frascati.

— Papà! perchè si chiamano vagoni? [p. 40 modifica]

— Perchè vagano sulle ruote.

— Papà! perchè gli alberi fuggono?

— Non è che un’illusione ottica; quanto più si va innanzi, l’albero va sempre indietro, rimanendo fermo al suo posto, così che, a poco a poco, si perde di vista; mentre al contrario, se noi si restasse fermi, l’albero camminerebbe, cosa che non può stare, e che io tuo genitore, non dovrei neanche permettere.

Finalmente si scende a Frascati.

Un facchino si offre per il trasporto di tutto il bagagliume che affligge la famiglia De-Tappetti.

— No! — risponde con voce grave il De-Tappetti — l’uomo deve bastare a sè stesso; noi abbiamo, in questi fagotti, dei preziosi ricordi dei nostri avi, e non devono essere toccati da mani profane, e comecchessia mercenarie.

La giornata è afosa; il sole scotta, la strada è faticosa, la polvere accieca, il caldo [p. 41 modifica]è soffocante; Agenore ha fuori un palmo di lingua; la signora Eufemia va in acqua dal sudore; l’infelice Rosa fa salire gli ultimi rantoli d’una serva oppressa al trono dell’eterno; Policarpo s’asciuga la fronte, con un grembialino di Agenore, e dice con voce tronca e affaticata:

— Qui almeno.... si respira un po’ d’aria....un po’ d’aria sana.... fa piacere.... in verità....che bella frescura!

— A me pare — soggiunge Rosa — che ci si crepi di caldo.

— Tu non calcoli il peso delle parole, disgraziata! — grida Policarpo. — Tu calunnii la villeggiatura, tu vorresti insinuare nel core inesperto del mio tenero figlio, un sospetto: il sospetto che Policarpo De-Tappetti sacrifichi 22 lire d’affitto per fargli soffrire in piena campagna il caldo insopportabile delle grandi città.

— Scusami tanto, ma io provo un caldo simile a quello di Roma. [p. 42 modifica]

Policarpo, con un sorriso di profonda commiserazione:

— È naturale: tu ignori che cosa sia un termometro, il tuo caldo non è che un frutto della tua ignoranza!

La famiglia De-Tappetti entra in possesso della palazzina.

— Papà! quanto è brutta! — esclama il piccolo Agenore.

— Dio mio! — mormora la signora Eufemia; — mi pare una spelonca da ladri.

— Voi vi fermate alle apparenze — brontola Policarpo; — voi non cercate che l’opera dell’uomo, innalzate invece le vostre menti a contemplare la bellezza della natura.

La catapecchia, del resto, sarebbe comodissima, se non mancasse di tutto, specialmente di mobilio. Rosa accende il fuoco, e la palazzina si riempie di fumo. I De-Tappetti sono costretti a fare un cenino all’aperto, con cinque uova al tegame, e un po’ [p. 43 modifica]di prosciutto. All’ora delle galline vanno a letto. Rosa dorme in cucina sopra un pagliericcio e Agenore nella stanza superiore, sopra sei sedie, rese soffici da una quantità di stracci e di giornali vecchi.

Prima di coricarsi, Policarpo scrive al suo capo d’ufficio il seguente biglietto:


Illustre Signore!

“Ho preso oggi possesso del mio villino di Frascati. Non è una gran cosa; è una modesta palazzina da povera gente come siamo noi; ma tutte le volte che V. S. Ill.ma ci volesse onorare di sua presenza sarei lieto di porre un appartamento a sua disposizione.

“Umilissimo servo
Policarpo De-Tappetti.„

— Ma che fai? — gli dice la moglie, — diventi matto? [p. 44 modifica]

— Mi fo un merito senza costo di spesa; il principale non accetterà mai e poi mai la mia graziosa offerta.

Indi Policarpo si sveste e sale a letto: un letto alto quanto l’arco di Tito, con durezza analoga, e travertino. Poco dopo è quasi colto da vertigini, e prima di chiudere gli occhi, formula questa preghiera:

— Signore! fate che domattina io riesca a ridiscendere sulla superficie della terra.