La Canzone del Carroccio/II. Il custode dell'Arengo

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II.
IL CUSTODE DELL’ARENGO

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Sul limitare siedono i biolchi,
mangiano pane. E quali son manenti,1
quali arimanni, del contado, astretti
al suolo altrui come le quercie e gli olmi.
5Ma dietro loro stridono le chiavi
e i chiavistelli, ed apparisce il vecchio
ch’ha in sua balìa le porte delle stalle:
Zuam Toso.2 Il lume ha grave ormai degli occhi
traguarda e dice: «Uomini, dove siete?»
10Cala il cappuccio, stringe a sè la cappa
con pelli agnine, ch’ebbe dal Comune
ad Ognissanti per il suo lavoro.
Zuam Toso trema, abben che sia d’ottobre.
Guarda a’ suoi piedi, sulla soglia, e dice:
15«Traete dentro, uomini, i bovi: è l’ora.
Già Bonifazio monta al bitifredo3».

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Dice il custode dell’Arengo; e i servi
taciti in piedi s’alzano, e del piede
tentano i lombi a gl’indolenti bovi
               20che s’alzano soffiando.

E parla il Toso, volto a gli arimanni,
volto ai manenti: «Io vedo ormai più poco.
Ben converrà che il frate mio m’aiuti,
buon uomo e savio: ch’io non son quel ch’ero,
25quando il passaggio feci in Terra Santa.4
Oh! mi ricordo Orso Cazanimici,
Pietro Asinelli, Scappa Garisendi,
pro’ cavalieri: io, piccolo ragazzo.
Io, sì, tornai: niuno tornò, di loro,
30sì che in Bologna ne fu poi gran pianto.
Poi l’altra volta mi crociai5. Ricordo
il Lambertazzo e il Geremeo seduti
placidi all’ombra, all’ombra d’una palma.
Era in Soria. Tenevo io per le briglie
35i due cavalli: si mordean rignando...»
Quivi un biolco avanti trae la coppia
prima de’ bovi, e dice: «Misèr Toso...»
E quei dà luogo, ed esce nella piazza.
Sotto l’Arengo vi son già fanciulli
               40con gli occhi aperti al cielo.

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Vogliono il re. Dice Zuam Toso: «Andate!
Quando ero putto come voi, ben altro
io vidi! Vidi, grande, alto a cavallo,
l’imperatore dalla barba rossa.6
45Lì!» Gli occhi tondi vanno dietro al dito.
Egli solcava col suo grande aratro
le piazze e vie delle città romane:
seguiano il solco nugoli di corvi.
Più lungi è un crocchio di donzelle e donne,
50chinano gli occhi all’appressar del Toso.
E il Toso dice: «E quale di voi, donne,
quello ch’io vidi, potè qui vedere?
Santo Francesco7. Trito, macilento,
piccolo; in veste disusata e vile.
55Ma e’ parlò così soavemente,
che tutti quanti furono in Dio ratti.
— Niuno è sì grande, che gli sia promesso —
diceva — uno palagio pieno d’oro,
che non portasse un sacco di letame
               60per un aver sì grande! — »

Poi Zuam aggiunge: «Ed era quello il tempo
che Dio sgrollava la città partita,
piena d’invidia. Ed e’ parlò di pace,
Santo Francesco, e non facea guadagno.

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65Ecco, e d’un soffio scosse Dio le torri
tra lor nimiche, e ignuna versò fuori
le sue colombe;, e stettero sull’alie,
e poi scesero al frate poverello,
quali sul capo, quali sulle spalle,
70alquante in grembio, alquante sulle braccia.
Allor sì venne la divina grazia,
in veder quelle l’alie aprire e i becchi,
semplici e caste, sotto la sua mano!»
Ma quivi il Toso muove inver’ l’Arengo,
75chè alcun lo chiama; e le donzelle, e donne
levano gli occhi verso le finestre.
Cercano il re. Vanno da torre a torre,
da torri guelfe a torri ghibelline,
e sopra i merli e sopra le baltresche
               80tubano le colombe.

Note

  1. [p. 79 modifica]Do, dei manenti, la definizione, che è negli Statuti Bolognesi del 1250 (I, pag. 481: ed. Frati): Manentes... appellamus qui solo alieno ita se astrinxerunt ut nec ipsi nec sui liberi invitis dominis a solo discedere valeant. E più genericamente ed esattamente in Ranfrido (l. c. pag. cit.): Manentes sunt qui in solo alieno manent, in villis, quibus nec liberis suis invito domino licet recedere. Io chiamo manenti i servi della gleba indigeni. Quanto agli arimanni è ancor controversa la loro origine e conditione. Certo gli arimanni del contado di Bologna non erano liberi, messi come sono a fascio con gli altri servi: Ordinamus quod aliquis non possit deinceps esse manente vel astrictus ascripticius, vel conditionalis sive arimannus... Ma quelli che erano già, rimasero. Per me gli arimanni erano servi della gleba, a condizione quanto si voglia mitigata, ma d’origine langobarda. Come si vedrà appresso.
  2. [p. 79 modifica]Nello statuto cxlv del 1250 si stabilisce, e ordina, che per amor di Dio, e della Beata Maria vergine si diano iohanni tonso, qui firmat et apperit portas stabule palacij communis bononie, pro suo merito et labore C. sol. bon. in festivitate omnium sanctorum (Stat. comm. Bon., II, 148). Nei medesimi, vol. III, 214, e ’15, si leggono altre provvidenze per il buon vecchierello, chiamato qui custode delle [p. 80 modifica]porte dell’Arengo (curie): che oltre l’annuale paga di cento soldi di bolognini, gli si dia per Ognissanti tanto di panno bono di mezzalana da farsene un vestito e un mantello frodato di pelli d’agnello, e un cappuccio nel mese di gennaio, che non gli possano essere ritolti. E abbia pane e vino dal Podestà e non possa essere sindacato e rimosso. E c’è una giunta: che, sendo il predetto Giovanni lumine occulorum gravatus ultra quam sit sollitus, gli si permetta l’aiuto che gli può dare homo bonus frater eius. Circa il vernacolo Zuam, cfr. Zuam de Becaria in Parlamenti ed epistole, Augusto Gaudenzi, Dialetto... di Bologna, pag. 170.
  3. [p. 80 modifica]È parola in Stat. predetti, III, 158, di bonifacius qui sonat campanas communis, che hà di suo soldo lire dieci di bolognini, e perchè fa il servizio bene et fideliter, e ora ha più da fare (per la custodia di Enzio, verisimilmente), gli si dia un vestito, e una guarnacca e una pelle come quelli che si dànno ai banditori, e si davano a Deodato delle campane; e perchè ha da stare giorno e notte in palazzo, e non convien che discenda, abbia dal podestà pane e vino e companatico, come gli altri servitori del podestà.
  4. [p. 80 modifica]Fu nel 1188, quando, a detta del cronista Matteo de’ Griffoni (Mem. Hist., p. 6), duo millia Bononienses et ultra iverunt ultra mare pro recuperatione Terrae Sanctae Ecclesiae: et multi ex eis nunquam reversi fuerunt... Tra questi dominus Ursus de Chaçanimicis... dominus Scappa de Garisendis... dominus Petrus de Asinellis... Il Toso, se era nato, come si vedrà appresso, col carroccio, cioè nel 1173, ora, nel 1251, era sui 78 anni.
  5. [p. 80 modifica]E questa volta fu nel 1217, e fu memorabile. «Allorchè Giovanni di Brienne (uno de’ suoceri di Federico II) invocava soccorsi alla Palestina (1217), in Bologna si formarono due schiere di crociati; nell’una [p. 81 modifica]convennero i ghibellini, nell’altra i guelfi. — I primi si elessero a condottiero Bonifazio de’ Lambertazzi, i secondi Baruffaldino de’ Geremei. Da quel dì innanzi il nome delle costoro famiglie divenne un grido di guerra... (Savioli) — ». Così si legge in Il Dominio della parte Guelfa in Bologna di Vito Vitale (Bologna, Zanichelli 1902).
  6. [p. 81 modifica]Nel 1185, quando Zuam era putto di 12 anni, Imperator Federicus et Pocaterra, ejus filius, intraverunt Bononiam; s’intende, con buona pace de’ Bolognesi. Matth. de Griff., Mem. Hist., p. 6.
  7. [p. 81 modifica]Fu nel 1223, secondo il medesimo cronista (p. 8): Sanctus Franciscus de Ordine fratrum Minorum primo praedicavit in platea communis Bononiae. Ma il tremuoto e la predica, a cui allude la canzone, avvennero sull’ultimo dell’anno precedente. Su che vedi il bellissimo libro del nostro Alfonso Rubbiani, La chiesa di S. Francesco in Bologna, Bologna, Zanichelli 1886, pag. 1 e e2. E si leggano qua e là i Fioretti, specialmente il cap. xxvi, il iv e il xv e altri.