L'isola misteriosa/Parte terza/Capitolo V

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO V.


Le affermazioni dell’ingegnere — Le ipotesi grandiose di Pencroff — Una batteria aerea — I quattro projettili — Si parla dei pirati superstiti — Un’esitazione di Ayrton — Generosi sentimenti di Cyrus Smith — Pencroff si arrende di mala voglia.

Così adunque ogni cosa si spiegava coll’esplosione sottomarina d’una torpedine. Cyrus Smith, il quale, durante la guerra dell’Unione, aveva avuto occasione d’esperimentare quei terribili congegni di distruzione, non poteva ingannarsi. Gli è sotto l’azione di quel cilindro carico di materia esplosiva (nitro-glicerina, picrato od altro di simile natura) che l’acqua si era sollevata come una tromba, che il brik fulminato era colato a fondo istantaneamente; e perciò appunto era stato impossibile tirarlo a galla, perchè i danni erano stati immensi. Ad una torpedine, che avrebbe distrutto una nave corazzata al pari d’una semplice barca da pesca, lo Speedy non aveva potuto resistere.

Sì, tutto si spiegava, tutto, tranne la presenza della torpedine nelle acque del canale!

— Amici, ripigliò a dire Cyrus Smith, non possiamo più porre in dubbio la presenza d’un essere misterioso, di un naufrago al par di noi abbandonato sull’isola nostra; lo dico affinchè Ayrton sia al fatto di quanto accadde di strano in questi due anni. Quale è il benefico incognito il cui intervento è stato così provvidenziale per noi? Io non posso immaginarlo. Qual è il suo interesse d’agire in tal guisa? di nascondersi dopo tanti servigi resici? Io non lo posso comprendere. Ma non perciò i suoi beneficî sono meno reali, e sono di tal natura che solo un uomo fornito [p. 54 modifica]d’una potenza prodigiosa poteva renderceli. Ayrton gli debbe essere al pari di noi riconoscente, perchè se è l’incognito che mi ha salvato dalle onde dopo la caduta del pallone, è evidentemente egli stesso che ha scritto il documento e lo ha messo nella direzione del canale e ci ha fatto conoscere la situazione del nostro compagno. Aggiungerò che quella cassa, fornita di tutto quanto ci mancava, fu lui a porla sulla punta del Rottame; che quel fuoco acceso nell’isola, fuoco che ci ha permesso d’approdare, fu lui ad accenderlo; che quel pallino trovato nel corpo del pecari si deve ad una sua schioppettata; che quella torpedine che ha distrutto il brik, fu lui a collocarla nel canale: in una parola, che tutti i fatti misteriosi di cui non possiamo renderci conto si devono attribuire a lui. Perciò qualunque esso sia, naufrago od esiliato, saremmo ingrati se non ci credessimo legati a lui da riconoscenza; noi abbiamo contratto un debito, e spero che lo pagheremo un giorno.

— Avete ragione di parlare così, mio caro Cyrus, rispose Gedeone Spilett; sì, vi ha un essere quasi onnipotente, nascosto in qualche parte dell’isola e la cui influenza fu singolarmente utile alla nostra colonia. Dirò di più; mi sembra che quell’incognito disponga di mezzi d’azione che avrebbero del soprannaturale se nelle cose della vita il soprannaturale fosse accettabile. È lui forse che si pone in comunicazione con noi dal pozzo del Palazzo di Granito e conosce così tutti i nostri disegni? È lui che ci ha messo sottomano la bottiglia quando la piroga fece la sua prima escursione in mare? È lui che ha rigettato Top dalle acque del lago dopo aver dato morte al dugongo? È lui, come tutto induce a credere, che vi ha salvato dalle onde, Cyrus, e in tali circostanze che un uomo come voi ed io non avrebbe potuto? Se è lui, possiede adunque una potenza che lo rende padrone degli elementi. [p. 55 modifica]

L’osservazione del reporter era giusta, e ciascuno lo sentiva bene.

— Sì, se dell’intervento d’un essere umano non rimane per noi alcun dubbio, disse Cyrus Smith, convengo pure che egli ha a propria disposizione mezzi d’azione superiori a quelli che possiede l’umanità. Ecco un altro mistero. Ma se scopriamo l’uomo, il mistero si farà palese anch’esso. Ora, il quesito è questo: dobbiamo noi rispettare l’incognito dell’essere generoso o dobbiamo far di tutto per giungere fino a lui? Quale è la vostra opinione in proposito?

— La mia opinione, rispose Pencroff, è che chiunque egli sia è un brav’uomo, ed ha la mia stima.

— Sia pure, rispose Cyrus Smith, ma questo non è rispondere.

— Padrone, rispose Nab, io penso che potremo cercare quanto ci piaccia, ma non scopriremo quest’essere se non quando egli lo voglia.

— Non è da stupido quello che dici, Nab, disse Pencroff.

— Io sono del parere di Nab, disse Gedeone Spilett, ma non è una ragione di non tentare. Sia che lo scopriamo, o no, faremo il nostro dovere cercando di giungere fino a lui.

— E tu, fanciullo mio, disse l’ingegnere, danne il tuo parere.

— Ah! disse il giovinetto collo sguardo acceso, io vorrei ringraziarlo colui che ha salvato voi prima e noi dopo.

— Lo credo anch’io, rispose Pencroff, e tutti lo vorremmo! Non sono curioso, ma darei un occhio per veder faccia a faccia quel messere! Mi par che debba essere bello, grande, robusto, con una bella barba, con raggi per capelli e che debba essere coricato sopra le nuvole con una grossa pallottola in mano!

— Eh! Pencroff! rispose Gedeone Spilett, è il ritratto del Padre Eterno quello che tu fai. [p. 56 modifica]

— Può essere, signor Spilett, ma io me lo figuro così.

— E voi, Ayrton? domandò l’ingegnere.

— Signor Smith, rispose Ayrton, io non posso darvi il mio parere in quest’occasione; quel che farete voi sarà ben fatto. Quando vorrete associarmi alle vostre ricerche sarò pronto a seguirvi.

— Vi ringrazio, Ayrton, disse Cyrus Smith, ma vorrei una risposta più diretta alla domanda che vi ho fatto. Siete il nostro compagno, vi siete sacrificato molte volte per noi, e voi pure dovete essere consultato quando si tratta di prendere una determinazione importante. Parlate adunque.

— Signor Smith, rispose Ayrton, io credo che dobbiam fare di tutto per trovar l’incognito benefattore. Chissà che non sia solo, che non soffra, che non sia anche la sua una esistenza da rinnovare. Io pure, l’avete detto, ho un debito di gratitudine verso di lui. Egli solo può infatti essere venuto all’isola Tabor, dove ha trovato il miserabile che avete conosciuto; egli solo vi ha fatto sapere che v’era là un disgraziato da salvare.... è dunque in grazia sua, ch’io sono ridiventato uomo. No, non lo dimenticherò mai.

— È dunque inteso, disse Cyrus Smith; cominceremo le ricerche il più presto possibile; non lasceremo nessuna parte dell’isola inesplorata, la frugheremo per ogni dove e l’amico incognito ce lo perdoni in grazia della nostra intenzione.

Per alcuni giorni i coloni si consacrarono operosamente alla raccolta del fieno e delle messi. Prima di porre in atto il loro disegno di esplorare le parti tuttavia incognite dell’isola, volevano che le bisogne indispensabili fossero compiute. Era anche il tempo in cui si raccoglievano i diversi legumi provenienti dalle piante dell’isola Tabor, e bisognava riporre tutto nei magazzini. Fortunatamente, non mancava posto al Palazzo di Granito, dove si avrebbe potuto conservare tutte le ricchezze dell’isola. I prodotti [p. 57 modifica]dell’isola erano là, disposti metodicamente ed in luogo sicuro, al riparo così dagli animali come dagli uomini. Non era a temersi l’umidità in quel masso di granito. Molti vani naturali nel corridojo superiore furono allargati col piccone o colle mine, ed il Palazzo di Granito divenne così un deposito generale contenente provviste, munizioni ed utensili di ricambio; in una parola, tutto il materiale della colonia.

Quanto ai cannoni provenienti dal brik, erano bei pezzi d’acciajo fuso, che per preghiera di Pencroff furono issati col mezzo di gru fino al pianerottolo del Palazzo di Granito. Presto allungarono le gole lucenti in vani appositi aperti fra le finestre, dominanti così tutta la baja dell’Unione. Quind’innanzi qualunque nave si fosse presentata in faccia all’isolotto, sarebbe stata inevitabilmente esposta al fuoco di quella batteria aerea.

— Signor Cyrus, disse un giorno Pencroff l’8 novembre era ora che l’armamento è terminato, bisogna pur che esperimentiamo la portata dei nostri cannoni.

— Credete che ciò sia utile? chiese l’ingegnere.

— Non solo è utile, ma è necessario! Senza di ciò come conoscere la distanza a cui possiamo mandare una di queste belle palle di cui siamo forniti?

— Proviamo dunque, Pencroff, rispose l’ingegnere; ma credo che dovremo far l’esperimento adoperando non già la polvere ordinaria, di cui preferisco lasciar la provvigione intatta, ma il pirossilo, che non ci mancherà mai.

— E i cannoni potranno sopportare la deflagrazione del pirossilo? domandò il reporter, il quale non era meno desideroso di Pencroff di provare i cannoni.

— Lo credo. D’altra parte, aggiunse l’ingegnere, agiremo con prudenza.

L’ingegnere aveva ragione di pensare che quei cannoni fossero di fabbrica eccellente. Fatti d’acciajo [p. 58 modifica]temprato, e caricantesi dalla culatta, dovevano avere una portata enorme. Infatti, relativamente all’effetto utile, la trajettoria descritta dalla palla deve essere tesa il più possibile; e siffatta tenzione non può ottenersi se non a patto che il projettile sia animato da un’immensa velocità iniziale.

— Ora, disse Cyrus Smith ai compagni, la velocità iniziale è in ragione della quantità di polvere adoperata. Tutta la questione si riduce, nel fabbricare i pezzi d’artiglieria, ad adoperare un metallo resi stente il più possibile, e di tutti i metalli, quel che resiste meglio è senza dubbio l’acciajo. Spero adunque che i nostri cannoni sopporteranno senza danno l’espansione del gas del pirossilo e daranno risultati eccellenti.

— Ne saremo sicuri quando avremo provato, rispose Pencroff.

S’intende che i quattro cannoni erano in perfetto stato. Appena estratti dall’acqua, il marinajo, s’era preso lui l’incarico di metterli in ordine minuziosamente. Quante ore aveva passato a strofinarli, ad ugnerli, a nettar l’orifizio dell’otturatore e la vite di pressione!

Ed ora i cannoni erano così lucenti, come se fossero stati a bordo d’una fregata della marina degli Stati Uniti.

In quel giorno adunque, in presenza di tutt’i membri della colonia, mastro Jup e Top compresi, i cannoni vennero esperimentati successivamente. Furono caricati con pirossilo: tenendo conto della sua forza esplosiva, che, come fu detto, è quadrupla della polvere ordinaria; il projettile che dovevano lanciare era cilindroconico.

Pencroff, tenendo la corda dello stoppino, era pronto a far fuoco.

Ad un cenno di Cyrus Smith, il colpo partì. La palla, diretta sul mare, passò sopra l’isolotto e andò [p. 59 modifica]a perdersi al largo ad una distanza che non si potè apprezzare con esattezza.

Il secondo cannone fu appuntato sulle estreme roccie della punta del Rottame, ed il projettile, battendo sopra un sasso aguzzo, a tre miglia dal Palazzo di Granito, lo mandò in ischeggie.

Era Harbert che aveva puntato il cannone e fatto fuoco, e fu fiero del suo primo colpo; Pencroff però ne fu più fiero di lui. Pensate, un colpo simile, la cui gloria spettava a quel caro figliuolo!

Il terzo projettile, lanciato sulle dune che formavano la costa della baja dell’Unione, battè sulla sabbia alla distanza di quattro miglia almeno, e dopo aver rimbalzato si perdette in mare in un nugolo di schiuma.

Del quarto cannone, Cyrus Smith forzò alquanto la carica per esperimentarne la portata estrema, poi ciascuno essendosi fatto in disparte, venne acceso lo stoppino con una lunga corda.

S’udì una detonazione violenta, ma il cannone resistette ed i coloni, precipitandosi alla finestra, poterono vedere il projettile mandare in ischeggie le roccie del capo Mandibola, a cinque miglia circa dal Palazzo di Granito, e scomparire nel golfo del Pescecane.

— Ebbene, signor Cyrus, esclamò Pencroff, i cui evviva avrebbero potuto gareggiare colle cannonate, che ne dite della nostra batteria? Tutti i pirati del Pacifico non hanno oramai che a presentarsi. Non ne sbarcherà uno senza nostro permesso.

— Credete a me, Pencroff, è meglio non farne esperimento.

— Giusto! esclamò il marinajo, ed i sei mariuoli che gironzano nell’isola, che ne faremo noi? Li lasceremo vagare per le foreste, per i nostri campi, per le nostre praterie? Sono veri jaguari quei pirati, e mi sembra che non dobbiamo farci scrupolo di trattarli come tali. Che ne dite, Ayrton? [p. 60 modifica]

Ayrton esitò sulle prime a rispondere, e Cyrus Smith si dolse che Pencroff gli avesse alquanto storditamente fatta quella domanda; nè fu poco commosso quando Ayrton rispose umilmente:

— Io sono stato uno di quei jaguari, signor Pencroff, e non ho diritto di parlare.

E s’allontanò a passo lento.

Pencroff aveva compreso.

— La bestia ch’io sono! Povero Ayrton! ed ha pur diritto di parlare quanto chicchessia.

— Sì, disse Gedeone Spilett, ma la sua riserbatezza gli fa onore, bisogna rispettare questo sentimento ch’egli ha del suo triste passato.

— Un’altra volta, signor Spilett, rispose il marinajo, non lo farò più; m’inghiottirò la lingua meglio che far dispetto ad Ayrton. Ma torniamo alla questione. Mi sembra che quei banditi non abbiano diritto a pietà di sorta e che dobbiamo sbarazzare l’isola al più presto.

— È tale il vostro parere? domandò l’ingegnere.

— Precisamente tale.

— E prima d’assalirli senza mercè, non aspettereste voi che avessero fatti nuovi atti di ostilità?

— E non bastano quelli che hanno fatti prima? rispose Pencroff, non comprendendo tante esitazioni.

— Possono cambiare sentimento, pentirsi forse.

— Pentirsi, essi! esclamò il marinajo scrollando le spalle.

— Pencroff, pensa ad Ayrton, disse allora Harbert prendendo la mano del marinajo; esso è pur ridiventato un onest’uomo.

Pencroff guardò i compagni gli uni dopo gli altri. Non avrebbe mai creduto che la sua proposta dovesse trovarli esitanti. Non poteva la sua rude natura ammettere che si venisse a patti coi complici di Bob Harvey, cogli assassini dello Speedy, cui considerava come belve che bisognava distruggere senza rimorso. [p. 61 modifica]

— To’! esclamò egli, li ho tutti contro! Volete fare della generosità con quei cialtroni? Sia pure, purchè non abbiamo a pentircene.

— Quale pericolo corriamo noi, domandò Harbert, se abbiamo cura di stare sull’avvisato?

— Eh! disse il reporter, sono sei e bene armati; se ciascuno si apposta in un cantuccio e piglia noi di mira, diventeranno i padroni della colonia.

— E perchè non lo hanno fatto? rispose Harbert. Senza dubbio perchè non ci avevano interesse; d’altra parte, anche noi siamo sei.

— Bene, bene, rispose Pencroff, cui nessuna ragione avrebbe potuto convincere, lasciamo che quella brava gente attenda alle sue piccole occupazioni e non ci pensiamo più.

— Andiamo, Pencroff, disse Nab, non farti più cattivo di quello che sei; se uno dei disgraziati fosse qui dinanzi a te, a tiro del tuo fucile, non faresti fuoco.

— Farei fuoco come contro un cane arrabbiato, rispose Pencroff.

— Pencroff, disse allora l’ingegnere, voi vi siete tante volte acquetato ai miei consigli. Volete farlo anche questa volta?

— Farò quanto vi piace, esclamò il marinajo, niente affatto convinto.

— Ebbene, aspettate, e non assaliteli se non siamo assaliti.

Così fu deciso il modo di comportarsi coi pirati, benchè Pencroff non s’attendesse nulla di buono.

Non si doveva assalirli, ma stare in guardia.

Se qualche sentimento buono era rimasto loro in fondo all’anima, quei miserabili potevano forse emendarsi. Il loro interesse, ben inteso, non era forse, nella condizione in cui dovevano vivere, di farsi una vita nuova? In ogni caso, non foss’altro che per umanità, bisognava aspettare. I coloni non avrebbero forse più, come prima, la felicità d’andare e venire [p. 62 modifica]senza diffidenza, poichè se per lo innanzi avevano solo dovuto difendersi dalle belve, oramai sei mariuoli, della peggior specie forse, gironzavano nell’isola. Era cosa grave senza dubbio e sarebbe stata, per gente meno eroica, la tranquillità perduta.

Non importa.

Nel presente i coloni avevano ragione contro Pencroff. Avrebbero poi ragione in avvenire?