L'isola misteriosa/Parte terza/Capitolo IV
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CAPITOLO IV.
— Sono saltati in aria! esclamò Harbert.
— Sì, saltati in aria come se Ayrton avesse dato fuoco alle polveri; rispose Pencroff gettandosi nell’ascensore insieme con Nab e col giovinetto.
— Ma che cosa è mai accaduto? esclamò Gedeone Spilett ancora stupefatto dell’inatteso scioglimento.
— Questa volta sapremo..., disse Cyrus Smith.
— Che cosa?
— Più tardi, più tardi. Venite, Spilett; quello che importa è che i pirati siano stati sterminati.
E Cyrus Smith, trascinando il reporter ed Ayrton, raggiunse sul greto Pencroff, Nab ed Harbert.
Più nulla si vedeva del brik, nemmeno l’alberatura. Dopo di essere stato sollevato dalla tromba, erasi piegato sul fianco ed era colato a fondo in quella positura, senza dubbio in causa di qualche enorme falla.
Ma siccome il canale in quel luogo non aveva più di 20 piedi di profondità, era certo che i fianchi del brik dovevano emergere a marea bassa.
Alcuni rottami galleggiavano alla superficie del mare. Si vedeva tutto un dromo composto di alberi, di pennoni di ricambio, di capponaje coi loro volatili ancora viventi, di casse e di barili che a poco a poco risalivano alla superficie dopo essere sfuggiti ai boccaporti. Ma non si scorgeva nessuna reliquia nè del fasciame, nè del ponte; il che rendeva inesplicabile l’inabissamento dello Speedy.
Peraltro i due alberi, che erano stati spezzati a qualche piede sopra la maestra, dopo d’aver rotto straglio e sartie, risalirono alla superficie colle loro vele, alcune delle quali spiegate, serrate le altre.
Ma non bisognava lasciare al riflusso il tempo di portar via tutte quelle ricchezze; perciò Ayrton e Pencroff si gettarono nella piroga coll’intenzione di ormeggiare i rottami, sia al litorale dell’isola, sia a quello dell’isolotto.
Ma mentre stavano per imbarcarsi, una riflessione di Gedeone Spilett li trattenne.
— E i sei che sono sbarcati sulla riva destra della Grazia? disse egli.
Infatti, non bisognava dimenticare che i sei uomini, il cui canotto s’era spezzato contro le rupi, avevano preso terra alla punta del Rottame.
Si guardò in quella direzione; nessuno dei fuggitivi era visibile. Probabilmente, dopo aver visto il brik inabissarsi nel canale, essi avevano preso la fuga verso l’interno dell’isola.
— Più tardi ce ne occuperemo, disse allora Cyrus Smith; possono essere ancora pericolosi, poichè sono armati, ma alla fine dei conti saremo sei contro sei, e le partite saranno pari.
Ayrton e Pencroff s’imbarcarono nella piroga, e remigarono vigorosamente verso i rottami.
Il mare era allora tranquillo ed altissimo, poichè la luna era nuova da due giorni; doveva scorrere una buon’ora adunque innanzi che i fianchi del brik emergessero dalle acque del canale.
Ayrton e Pencroff ebbero il tempo di ormeggiare gli alberi e le pertiche per mezzo di corde, il cui capo fu portato sul greto del Palazzo di Granito. Colà i coloni, riunendo tutte le loro forze, riuscirono ad alare quei rottami; poscia la piroga raccolse quanto galleggiava: barili, casse, capponaje, ed il tutto fu subito trasportato ai Camini.
Galleggiarono pure alcuni cadaveri, e fra gli altri Ayrton riconobbe quello di Bob Harvey che mostrò al suo compagno dicendogli con voce commossa:
— Ecco quello che sono stato!
— E che non siete più, bravo Ayrton.
Era singolare che i corpi galleggianti fossero in così piccol numero, cinque o sei appena, che il riflusso cominciava già a spingere verso l’alto mare. Probabilmente i marinaj sorpresi dall’inabissamento non avevano avuto tempo di fuggire, e la nave essendosi coricata sul fianco, la maggior parte erano stati presi sotto l’impagliettatura. Ora il riflusso, che stava per trasportare i cadaveri di quei miserabili verso l’alto mare, doveva risparmiare ai coloni il triste uffizio di seppellirli in qualche canto della loro isola.
Per due ore Cyrus Smith ed i suoi compagni furono unicamente occupati a tirar su le pertiche e ad asciugar le vele che erano perfettamente intatte.
Cianciavano poco, tutti assorti nel lavoro, ma quanti pensieri attraversavano il loro spirito! Era una fortuna il possesso di quel brik o per dir meglio di quanto conteneva. Infatti una nave è tutto un piccolo mondo, e la colonia doveva arricchirsi di molti oggetti utili. Doveva essere, in grande, l’equivalente della cassa trovata alla punta del Rottame.
— Ed inoltre, pensava Pencroff, non sarebbe possibile tirare a galla il brik? Se non ha che una falla la si turerà, e una nave di tre o quattrocento tonnellate è un vascello a petto del nostro Bonaventura, e si va dove si vuole con essa... Bisogna che il signor Cyrus, Ayrton ed io esaminiamo la cosa. Ne vale la pena.
Infatti, se il Brik era ancora adatto alla navigazione, le speranze di ritornare in patria si accrescevano singolarmente; ma per decidere quest’importante quesito conveniva aspettar la marea bassa, affinchè lo scafo del brik potesse essere visitato in ogni sua parte.
Quando i rottami si trovarono al sicuro sul greto, Cyrus Smith ed i suoi compagni si unirono alcuni istanti per far colazione, poichè morivano di fame. Per fortuna la dispensa non era lontana e Nab poteva vantarsi d’essere un cuoco molto spiccio. Si mangiò adunque vicino ai Camini, e durante il pasto non si parlò d’altro che dell’avvenimento inaspettato per cui era stata miracolosamente salvata la colonia.
— Miracolosamente proprio! esclamò Pencroff, perchè bisogna pur confessare che quei mariuoli sono saltati in aria al momento buono. Il Palazzo di Granito cominciava a non offrire tutti i comodi.
— Immaginate voi, Pencroff, domandò Gedeone Spilett, come sia andata la cosa, e che abbia potuto cagionar lo scoppio del brik?
— Eh! nulla di più semplice; una nave di pirati non è già tenuta come una nave da guerra. I pirati non sono marinaj. È certo che le sode del brik erano aperte perchè si cannoneggiava di continuo: un’imprudenza qualsiasi avrà cagionato lo scoppio.
— Signor Cyrus, disse Harbert, ciò che mi stupisce è che l’esplosione non abbia prodotto maggior effetto; la detonazione non è stata forte e tutto sommato i rottami sono pochi. Si direbbe che la nave sia colata a fondo meglio che scoppiata.
— Ti stupisce questo, figliuol mio? domandò l’ingegnere.
— Sì, signor Cyrus.
— E me pure, Harbert, rispose l’ingegnere; ma quando visiteremo lo scafo del brik avremo, senza dubbio la spiegazione del fatto.
— Ah! signor Cyrus, disse Pencroff, non volete già pretendere che lo Speedy sia semplicemente colato a fondo come una nave che batta contro uno scoglio?
— Perchè no? fece osservare Nab, se vi sono degli scogli nel canale?
— Buono, rispose Pencroff, tu non hai aperto gli occhi al momento buono. Un istante prima d’affondare, io l’ho visto il brik; si è sollevato sul dorso d’un’enorme ondata ed è poi ricaduto piegando a babordo. Ora, se non avesse fatto che toccare, si sarebbe affondato tranquillamente come una nave onesta.
— Gli è bene che non era una nave onesta, disse l’ingegnere.
— Vedremo, rispose il marinajo, ma scommetto la testa che non vi sono scogli nel canale. Vediamo, signor Cyrus; vorreste dire che vi sia ancora qualche cosa di miracoloso in questo avvenimento?
Cyrus Smith non rispose.
— In ogni caso, disse Gedeone Spilett, urto o scoppio, converrete meco, Pencroff, che la cosa è venuta a tempo.
— Sì, sì, rispose il marinajo, ma non è questa la questione. Io domando al signor Smith se egli vede in tutto ciò qualche cosa di soprannaturale.
— Non dico nulla per ora, Pencroff, rispose l’ingegnere, ecco tutto quanto posso rispondervi.
La risposta non soddisfece Pencroff, il quale teneva per uno scoppio e non voleva cedere. Egli non avrebbe acconsentito mai a convenire che in quel canale di sabbia fina che egli aveva attraversato tante volte a marea bassa, vi fosse uno scoglio non conosciuto. E d’altra parte, al momento in cui la nave affondo, la marea era alta, vale a dire vi era più acqua che non bisognasse per superare qualunque scoglio che non fosse stato scoperto a marea bassa. Dunque la nave non aveva toccato. Dunque era scoppiata.
E bisogna convenire che il ragionamento del marinajo non si poteva dire errato.
Verso la una e mezza i coloni s’imbarcarono nella piroga e si recarono sul luogo dell’arenamento. Era un peccato che le due scialuppe del brik non si fossero potute salvare, ma una, si sa, si era rotta alla foce della Grazia ed era assolutamente inservibile; l’altra era scomparsa col brik, schiacciata senza dubbio da esso, e non si era più vista. Già lo scafo dello Speedy cominciava ad emergere dalle acque. Il brik era peggio che coricato sul fianco, poichè, dopo aver rotto i suoi alberi sotto il peso della zavorra rimossa dalla caduta, se ne stava, per così dire, colla chiglia in aria.
Era stato veramente capovolto dalla inesplicabile e formidabile azione sottomarina, che si era in pari tempo fatta manifesta colla formazione di un’enorme tromba d’acqua.
I coloni fecero il giro dello scafo, e man mano che la marea calava, poterono riconoscere, se non la causa della catastrofe, almeno l’effetto prodotto.
A prua, dalle due parti della chiglia, sette od otto piedi prima del principiar dell’asta, i fianchi del brik erano spaventosamente lacerati per venti piedi almeno di lunghezza. Colà si aprivano due larghe falle che sarebbe stato impossibile acciecare. Non solo la fodera di rame ed i fasciami erano scomparsi, ridotti in polvere senza dubbio, ma non vi era nemmeno più traccia delle membrature medesime delle caviglie di ferro e di quelle di legno che la tenevano insieme.
Lungo lo scafo fino alle forme di poppa, le tavole disgiunte non stavano più insieme. La falsa chiglia era stata separata con violenza inesplicabile, e la chiglia, strappata dalla carlinga, in molti punti era rotta in tutta la sua lunghezza.
— Per mille diavoli! esclamò Pencroff. Ecco una nave che sarà difficile mettere a galla.
— Dite che sarà impossibile, rispose Ayrton.
— In ogni caso, fece osservare Gedeone Spilett al marinajo, l’esplosione, se pur vi fu esplosione, ha prodotto bizzarri effetti. Ha spaccato lo scafo della nave nelle parti inferiori, invece di far saltare il ponte e le opere morte. Questa laceratura sembra meglio essere stata fatta dall’urto d’uno scoglio che dallo scoppio d’una santa-barbara.
— Non vi hanno scogli nel canale, rispose il marinajo. Tutto quello che vorrete, tranne l’urto d’uno scoglio.
— Entriamo nell’interno della nave, forse sapremo che pensare dell’affondamento.
Era il miglior partito da prendere, e d’altra parte conveniva far l’inventario di tutti gli oggetti contenuti a bordo e disporre ogni cosa per il loro salvataggio.
Era facile l’ingresso nella nave, per il calare continuo dell’acqua, ed il disotto della nave, divenuto oramai il disopra, era praticabile, poichè la zavorra, composta di pesanti massi di ghisa, l’aveva sfondata in molti luoghi. S’udiva il gorgoglio dell’acqua che scorreva dalle fessure dello scafo.
Cyrus Smith ed i suoi compagni, brandendo l’accetta, s’avanzarono sul ponte semirotto, ingombro di casse che non avevano soggiornato nell’acqua se non pochissimo tempo; si poteva sperare adunque che il loro contenuto non fosse avariato.
Si lavorò a porre quel carico in luogo sicuro; l’acqua non doveva tornare prima di qualche ora e l’intervallo di tempo fu speso col massimo profitto.
Ayrton e Pencroff avevano fissato all’apertura dello scafo un paranco che serviva ad issare i barili e le casse, la piroga li riceveva e li trasportava immediatamente sulla spiaggia. Si pigliava ogni cosa a casaccio, salvo a far più tardi una scelta di quegli oggetti.
Ad ogni modo i coloni potevano accertarsi a bella prima, con gran soddisfazione, che il brik conteneva un carico svariatissimo, composto di utensili, prodotti di manifatture, strumenti, ecc., come i bastimenti che fanno il gran cabotaggio della Polinesia. Era probabile che vi si trovasse un po’ di tutto, e si converrà che era appunto quello che abbisognava alla colonia dell’isola Lincoln.
Nondimeno — e Cyrus Smith ne faceva l’osservazione con uno stupore silenzioso — non solamente lo scafo del brik aveva sofferto enormemente di quel qualsiasi urto che aveva cagionato la catastrofe, ma tutto, all’interno, era sottosopra, specialmente a prua. Tramezzi e puntelli erano rotti come se qualche formidabile obice fosse scoppiato entro il brik. I coloni poterono andare facilmente da prua a poppa, dopo d’aver rimosso le casse che venivano estratte mano mano.
Non erano carichi pesanti che fosse difficile rimuovere: semplici bagagli il cui stivaggio non era più riconoscibile.
I coloni giunsero allora fino a poppa del brik, in quella parte che sormontava un tempo il casseretto. Gli era là che, stando alle indicazioni di Ayrton, bisognava cercare la santabarbara.
Cyrus Smith pensava che non fosse scoppiata e che sarebbe possibile salvarne qualche barile, giacchè la polvere viene di solito chiusa in invogli metallici e non doveva aver sofferto al contatto dell’acqua.
Così infatti accadde. Si trovarono, in mezzo ad una gran quantità di projettili, una ventina di barili, il cui interno era guarnito di rame e che furono estratti con tutte le precauzioni. Pencroff veniva convincendosi cogli occhi propri che la distruzione dello Speedy non poteva attribuirsi ad uno scoppio, essendo la parte in cui si trovava la santa-barbara appunto quella che aveva meno sofferto.
— Possibile! esclamò l’ostinato marinajo, e soggiunse: ma quanto ad uno scoglio, vi dico io che non vi sono scogli nel canale.
— E allora come è andata? domandò Harbert.
— Non lo so, rispose Pencroff, e il signor Cyrus, anch’esso, non ne sa nulla, nè nessuno saprà mai nulla.
In queste diverse ricerche si erano spese molte ore e già il flusso cominciava a farsi sentire. Bisogno adunque interrompere i lavori del salvataggio. Del resto, non si aveva a temere che lo scheletro del brik fosse portato via dalle onde, perchè era trattenuto saldamente dalla sabbia più che se fosse ancorato.
Si poteva dunque, senza danno, aspettare il prossimo riflusso per ripigliare le operazioni. Ma quanto al bastimento medesimo, esso era condannato e bisognava anzi affrettarsi a porre in salvo i rottami dello scafo perchè non dovevano tardare a scomparire nelle sabbie mobili del canale.
Erano le cinque della sera. La era stata una gran fatica per i coloni, i quali non mangiarono con buon appetito, e per quanto fossero stanchi non resistettero, dopo il desinare, al desiderio di visitare le casse, di cui si componeva il carico dello Speedy.
La maggior parte contenevano vestimenta fatte, che, come si può credere, furono accolte con gioja; vi aveva di che vestire una colonia: vi era biancheria per tutti gli usi, calzature per tutti i piedi.
— Eccoci troppo ricchi! esclamò Pencroff; che faremo di tutto questo?
E ad ogni tanto scoppiavano gli evviva dell’allegro marinajo, quando egli riconosceva barili di tafià, casse di tabacco, armi da fuoco ed armi bianche, balle di cotone, strumenti d’agricoltura, utensili da carpentiere, da falegname, da fabbro, casse di sementi d’ogni specie che il breve soggiorno nell’acqua non aveva guasto. Ah! come sarebbe giunta opportuna due anni prima tutta quella ricchezza! Ma anche ora non era inutile.
Non mancava il posto nei magazzini del Palazzo di Granito, ma quel giorno mancò il tempo e non si potè riporre ogni cosa. Non bisognava peraltro dimenticare che sei superstiti dell’equipaggio dello Speedy avevano preso piede sull’isola, ch’erano verosimilmente mariuoli di prim’ordine, e che bisognava stare in guardia.
Benchè il ponte della Grazia ed i ponticelli fossero rilevati, quei pirati non erano già uomini da trovarsi in imbarazzo per valicare un ruscello, e, spinti dalla disperazione, furfanti simili potevano essere un gran pericolo.
Salvo a veder più tardi qual partito convenisse prendere verso di loro; frattanto bisognava badare alle casse ammucchiate presso i Camini, e fu appunto in ciò che i coloni, dandosi il cambio, spesero la notte.
In quella notte, peraltro, i deportati non tentarono alcuna aggressione. Mastro Jup e Top, di guardia ai piedi del Palazzo di Granito, avrebbero dato la sveglia.
I tre giorni successivi (19, 20 e 21 ottobre) furono impiegati nel salvare tutto quanto poteva avere un valore od un’utilità qualsiasi, sia nel carico, sia negli attrezzi del brik. A marea bassa si sgombrava la stiva, a marea alta si riponevano nei magazzini gli oggetti salvati. Una parte della fasciatura di rame potè essere tolta dallo scafo, che ogni giorno sprofondava vieppiù nella sabbia; ma prima che le sabbie avessero inghiottito gli oggetti pesanti, Ayrton e Pencroff tuffandosi più volte nel letto del canale, ritrovarono le catene e le ancore del brik, la sua zavorra e perfino i quattro cannoni, che alleggeriti per mezzo di botticelle vuote, furono spinti a terra.
Così l’arsenale della colonia non guadagnò meno delle dispense e dei magazzini in quel salvataggio.
Pencroff, il quale soleva correre le poste nei suoi disegni, meditava già la costruzione d’una batteria che comandasse il canale e la foce del fiume. Con quattro cannoni egli s’impegnava di impedire a qualsiasi flotta d’avventurarsi nelle acque dell’isola.
Non rimaneva più che un carcame inutile di quel ch’era stato il brik, quando sopravvenne il brutto tempo a finir di distruggerlo. Cyrus Smith aveva avuto intenzione di farlo saltare in aria per raccoglierne i pezzi, ma un forte vento di nord-est ed un mare grosso gli permisero di far economia di polvere.
Infatti, nella notte del 23 al 24, lo scafo del brik fu interamente sconquassato e parte dei rottami venne sul greto.
Quanto alle carte di bordo è inutile dire che, sebbene avesse frugato minuziosamente negli armadî del casseretto, Cyrus Smith non ne trovò traccia. I pirati avevano evidentemente distrutto tutto ciò che concerneva sia il capitano, sia l’armatore dello Speedy, e siccome il nome del suo porto non era scritto sul quadro di poppa, nulla poteva farne sospettare la provenienza. Pure, dal sesto della prua, Ayrton e Pencroff credevano che quel brik fosse costruzione inglese.
Otto giorni dopo la catastrofe, o meglio dopo il lieto ma inesplicabile scioglimento, al quale la colonia doveva la propria salvezza, non si vedeva più nulla della nave, nemmeno a marea bassa. I suoi rottami erano stati dispersi, e il Palazzo di Granito era ricco di quasi tutto quanto aveva contenuto la nave.
Pure il mistero che celava la sua strana distruzione non sarebbe mai stato svelato, senza dubbio, se il 30 novembre, Nab, gironzando sul greto, non avesse trovato un pezzo di grosso cilindro di ferro che portava traccie d’esplosione.
Quel cilindro era torto e lacerato all’estremità, come se fosse stato soggetto all’azione d’una sostanza esplosiva.
Nab portò il pezzo di ferro al suo padrone, che era allora occupato nell’officina dei Camini.
Cyrus Smith esaminò attentamente il cilindro, poi volgendosi a Pencroff, disse:
— Voi dunque persistete, amico mio, nel sostenere che lo Speedy non sia perito in seguito ad un urto?
— Sì, signor Cyrus, rispose il marinajo. Lo sapete meglio di me che non vi sono scogli nel canale.
— Ma se avesse urtato in questo ferro? disse l’ingegnere mostrando il cilindro rotto.
— In questo pezzo di tubo? esclamò Pencroff con accento incredulo.
— Amici, soggiunse Cyrus Smith, vi ricordate che prima di colare a fondo, il brik si è sollevato in cima ad una vera tromba d’acqua?
— Sì, signor Cyrus, soggiunse Harbert.
— Ebbene, volete conoscere ciò che ha sollevato quella tromba? È questo, disse l’ingegnere mostrando il tubo rotto.
— Questo?
— Sì, questo cilindro è tutto quanto rimane d’una torpedine.
— Una torpedine! esclamarono i compagni dell’ingegnere.
— E chi l’aveva messa là? domandò Pencroff, che non si voleva persuadere.
— Tutto quanto vi posso dire è che non sono stato io; ma la torpedine vi era, e ne avete visto gli effetti.