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Ayrton esitò sulle prime a rispondere, e Cyrus Smith si dolse che Pencroff gli avesse alquanto storditamente fatta quella domanda; nè fu poco commosso quando Ayrton rispose umilmente:
— Io sono stato uno di quei jaguari, signor Pencroff, e non ho diritto di parlare.
E s’allontanò a passo lento.
Pencroff aveva compreso.
— La bestia ch’io sono! Povero Ayrton! ed ha pur diritto di parlare quanto chicchessia.
— Sì, disse Gedeone Spilett, ma la sua riserbatezza gli fa onore, bisogna rispettare questo sentimento ch’egli ha del suo triste passato.
— Un’altra volta, signor Spilett, rispose il maririnajo, non lo farò più; m’inghiottirò la lingua meglio che far dispetto ad Ayrton. Ma torniamo alla questione. Mi sembra che quei banditi non abbiano diritto a pietà di sorta e che dobbiamo sbarazzare l’isola al più presto.
— È tale il vostro parere? domandò l’ingegnere.
— Precisamente tale.
— E prima d’assalirli senza mercè, non aspettereste voi che avessero fatti nuovi atti di ostilità?
— E non bastano quelli che hanno fatti prima? rispose Pencroff, non comprendendo tante esitazioni.
— Possono cambiare sentimento, pentirsi forse.
— Pentirsi, essi! esclamò il marinajo scrollando le spalle.
— Pencroff, pensa ad Ayrton, disse allora Harbert prendendo la mano del marinajo; esso è pur ridiventato un onest’uomo.
Pencroff guardò i compagni gli uni dopo gli altri. Non avrebbe mai creduto che la sua proposta dovesse trovarli esitanti. Non poteva la sua rude natura ammettere che si venisse a patti coi complici di Bob Harvey, cogli assassini dello Speedy, cui considerava come belve che bisognava distruggere senza rimorso.