L'armata d'Italia/Testimonianze
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TESTIMONIANZE
Pare che l’ammiraglio di Saint-Bon, per invito dell’onorevole Brin, abbia inviato al Consiglio superiore dell’Ammiragliato una minuta relazione scritta, intorno la gran questione delle navi.
La questione, in verità, è cosí intricata che non sarebbe possibile riassumere le diverse teorie senza aver molto tempo e molto spazio disponibili. Le discussioni tecniche e tattiche su la struttura delle navi, su i diversi tipi, su i loro còmpiti in guerra, sono innumerevoli. Sono scesi nel campo i più esperti uomini che abbia oggi l’armata; e, poiché il contrasto de’ giudizi è fervidissimo, tutto è ancora nella incertezza, nulla è definito.
Però i tipi che oggi prevalgono nella ricostituzione della nostra flotta sono tre.
I. Grandi corazzate, “tipo Italia.”
II. Incrociatori rapidissimi e potentemente armati, “tipo Tripoli.”
III. Torpediniere d’alto mare.
Un tempo l’Italia possedeva molte navi che oggi o sono del tutto scomparse o sono inservibili per vecchiezza. Il naviglio attuale è ottimo, ma non bastevole affatto alle necessità della difesa e della offesa. Di questa pericolosa scarsità tutti son persuasi; ma i provvedimenti non vengono, e l’indugio non sarà certo senza grave pregiudizio della patria.
Tra le molte lettere pervenutemi in proposito di questo mio studio su le condizioni dell’armata, una ve n’è, d’un illustre officiale, riguardante a punto la scarsità del "materiale.” Poiché le considerazioni mi paiono giuste ed esatte, ne trascrivo qualche brano.
“Fra le 12 corazzate che ne’ quadri figurano in prima classe e le 3 che sono collocate nella seconda, se ne trovano ben 6 le quali non esprimono che una unità numerica. Stanno là per dar pretesto d’affermare che abbiamo tante corazzate. Ma che s’ha a fare della Roma, della Terribile, della Formidabile, della Varese? Peggio ancora: che s’ha a fare della Palestro e del Principe Amedeo?
“E noti che quest’ultima corazzata si trova da due anni alla Spezia per riparazioni; noti che ha passato piú di due terzi della sua grama vita in continue riparazioni, ora alla caldaia, ora allo scafo, ecc.
Il Brin, che voleva sfoggiare il suo genio (quello navale) nelle grandi costruzioni, non s’è affatto curato di queste navi; le quali pure con ricopertura o rinnovamento dello scafo (l’avviso Messagero informi) sarebbero diventate servibilissime.
Noti che la Terribile e la Formidabile, gemelle, e la Varese sono costruzioni in ferro, non altrimenti della Ancona e compagne. Perché non sono state modificate? L’Inghilterra ha ben 6 di queste antiche corvette corazzate (tipo Pallade) e se ne serve ancora. Più navi deboli valgono una nave forte — questo è un assioma ormai indiscusso.
E, di più, la Maria Pia perché non si arma mai? Delle quattro corazzate cosidette francesi è la migliore. Eppure infracidisce a Venezia fra inutili conati pel suo armamento.
Quindi di tutte le nostre navi siamo costretti a girare e rigirare fra le 7 o 8 che rimangono: sempre armate con quanto vantaggio per la loro conservazione è facile imaginare. Le grandi manovre di quest’anno si faranno con 7 corazzate. Dio non voglia ch’esse costituiscano tutta la forza di cui all’occasione potremmo servirci.
Un’ultima osservazione e poi basta. È o non è vergognosa colpa richiedere per l’armamento della Morosini e del Lauria un altro anno, e certo più per il Doria? Son navi varate dai quattro ai sei anni fa!
Da un’altra lettera, d’un ufficiale superiore che un tempo pubblicò scritti marittimi assai notevoli, tolgo il seguente brano:
Secondo me, a raggiungere nel minor tempo possibile un numero di navi sufficiente, bisogna mettere in cantiere altre 6 corazzate per completare il quadro organico che ne richiede 16, in 6 anni. Quattro sono in armamento (Dandolo, Duilio, Lepanto, Italia); tre sono in allestimento (Doria, Lauria, Morosini); tre sono in costruzione (Umberto, Sicilia, Sardegna). Ne mancherebbero dunque altre 6.
Bisogna inoltre, nello stesso tempo, avere non meno di 30 fra incrociatori ed avvisi; e costruire la maggior quantità possibile di torpediniere d’alto mare.
La somma necessaria per tali costruzioni sta, secondo me, tra i 260 e i 280 milioni. Il bilancio si aggraverebbe quindi di una cinquantina di milioni all’anno. E l’aggravio non mi pare soverchio. Ad ogni modo, qualunque sia la gravità del sacrifizio, è necessario un provvedimento energico e sollecito, per la sicurezza dello Stato.
Ella rammenterà che quando l’Ammiraglio inglese Elliot dichiarò alla Camera dei Comuni che la Francia aveva 10 corazzate del tipo Gloire mentre l’Inghilterra ne aveva 2 sole, i rappresentanti della nazione votarono immediatamente un primo fondo di 62 milioni e 500,000 lire, dando un esempio bellissimo di patriottismo. Ma il nostro Parlamento non farà certo altrettanto.
In una terza lettera trovo due domande importantissime.
Vi è un piano prestabilito per l’azione delle nostre navi nel caso di una guerra con le nazioni vicine? E vi sono i rifornimenti nei porti dello Stato? — Dubito assai.
In una quarta trovo accennato un fatto che viene a dimostrare con nuova evidenza il poco rispetto del Ministero della Marina per l’umile Verità.
“Ella seguiti arditamente nella bella campagna intrapresa: e, se ci sarà il caso di una polemica con giornali officiosi, non si lasci spaventare dalle cifre. Le cifre sono il baluardo di ogni ministero. Il ministero nega sempre, ed appresta numeri su numeri e distribuisce copie di verbali, di spese, di calcoli. Tutta codesta roba è confezionata negli uffici, ordinata dalle autorità, e vidimata in buona fede. Gli uffici sono vere officine di menzogne. Io lo so per esperienza.
Nel tempo del mio soggiorno in Massaua, mandai diversi articoli a un giornale milanese, scritti con una precisione di fatti e di numeri a cui non si poteva giungere che essendo parte integrante delle cose in soggetto. Pure, furono pubblicate certe smentite così impudenti che io trasecolai; perché avevo in mano gli originali dei contratti!
Il giornale milanese prudentemente allora mi cancellò tutti i numeri, ed io cessai di mandargli articoli. L’ultimo venne riprodotto appunto dalla Tribuna che, in una nota, lo dichiarava scritto dalla persona più competente che fosse allora in Massaua. Lo pseudonimo era Echis; e forse, alla Tribuna, chi si occupa di cose africane se ne ricorderà.”
Ad alcuni è parso che nel capitolo su l’ordinamento degli Arsenali marittimi io abbia alquanto esagerato il male, o non abbia per lo meno ricordato il bene. Poiché io aveva già in altri luoghi lodata la eccellenza delle nostre construzioni, tralasciai d’occuparmi della minore o maggior bravura manovale e tecnica. Io non feci una questione d’abilità e di scienza ma una semplice questione d’ordine e di disciplina. Certo, dai nostri arsenali sono uscite le più belle navi del mondo; nelle officine gli operai hanno imparato quasi improvvisamente a lavorare il ferro, ch’è un’arte difficilissima; e vi si compiono talvolta opere incensurabili.
Quella parte delli arsenali più specialmente riserbata alle officine delle artiglierie e delle torpedini è, si può dire, quasi perfetta. Il lavoro è attivissimo e la direzione, nelle mani degli officiali di Vascello, è assai buona.
Ma a punto il mio accenno all’antagonismo tra gli officiali di Vascello e gli officiali del Genio Navale ha suscitato le maggiori proteste. Ho qui una quantità di lettere le quali, mentre negano quella vivace gara, mi dànno una prova evidentissima che la gara, anzi la “lotta di Corpo,” esiste. In fatti, tutte le lettere contengono accuse; e da ogni riga traspare l’animosità.
Scelgo, fra tutte, la più autorevole. È di un uomo che sa.
L’egregio signore, pur rimproverandomi, non si accorge che nelle sue stesse parole, nello stesso tuono della sua difesa, è una prova terribile in favore delle mie affermazioni.
“Comincia la lotta di Corpo! — È la volta del Genio Navale. Ecco l’ufficiale di Vascello che attacca l’ingegnere.
Disgraziato Corpo! Di lui si può ben dire incidit in Scyllam quando ha creduto di schivar Cariddi. — Ella chiama gli ufficiali del Genio Navale favoriti, bramosi di padronanza, uomini il cui verbo è santo, ecc. ecc. — Ebbene, sappia che lo scontento e lo sconforto in questo Corpo è grande. Giammai siamo stati tanto bistrattati quanto da che regge le sorti della Marina uno dei nostri. Sappia che in questi anni ultimi molti hanno abbandonato il Corpo perché trovarono presso la industria privata migliori compensi e maggiori soddisfazioni ed altri si dispongono ad imitarne l’esempio. E non valgono i concorsi ripetuti a breve distanza a riempire i vuoti che in esso si fanno, sicché il numero dei presenti è sempre inferiore a quello stabilito dalla legge che l’organizzava. Altro che favori!
Ma se gl’ingegneri non dovessero comandare nelle officine e a bordo quando vi si fanno lavori, dove e quando comanderebbero essi? È giusto ed è logico che il comando sia lasciato all’ufficiale di Vascello quando egli è sulla sua nave; né egli tollererebbe l’ingerenza altrui. E così è giusto e logico del pari che l’ingegnere comandi nelle officine dove è il suo regno.
O che l’ingegnere deve piegare al volere dell’ufficiale di Vascello sol perché questo è tale, o forse è stato creato per essere di lui dipendente e servo? E quale competenza potrebbero avere nelle officine e sui lavori gli ufficiali naviganti? Pur troppo, e assai più di quello che sarebbe tollerabile, si ingeriscono essi nell’andamento di molti lavori, spesso per autorità militare di grado; e ciò è male grave. Ma per essi non basta!
Ogni comandante che arriva in un porto militare o che sta su una nave in allestimento vorrebbe squadre di operai a sua disposizione ed ordinare lavori a suo libito, sieno essi necessarii o inutili, laudabili o dannosi, molte volte di puro lusso. L’ingerenza della direzione delle costruzioni li contraria, li irrita contro questo incomodo Corpo del Genio Navale, contro questi ingegneri ne’ quali vorrebbero trovare ciechi strumenti di loro capricciose voglie.”
In verità, l’egregio uomo, raccomandandomi d’essere equanime e spassionato nei miei giudizii, non mi dà un molto luminoso esempio di moderazione. Mi dà in vece, con evidenza grande, la ripruova di tutto ciò ch’io, per cognizion precisa dei fatti, affermai nel mio capitolo su gli Arsenali. In ogni caso, anche se le accuse contro gli officiali di Vascello fossero giuste, rimarrebbe dimostrato che la lotta di Corpo esiste, che la disciplina è scossa e che i continui dissensi turbano ogni ordine di lavoro.
Anche le mie considerazioni intorno agli operai han suscitato un tumulto. Molte lettere descrivono la misera vita degli arsenalotti costretti a star rinchiusi negli opifici per dodici ore senza interruzione. I lamenti sono infiniti. Scrive un fabbro:
“Nei RR. Stabilimenti marittimi vi sono degli operai, dei braccianti, come battimazza, cricatori, pittori, manovali, ecc. che vengono pagati a lire 2 per giorno. Tolti i giorni festivi, la paga si riduce a poco più di lire 50 mensili: mercede addirittura insufficiente per vivere, anche miseramente, in paesi ove tutto è caro, ove soltanto di pigione bisogna spendere dalle 8 alle 10 lire per ogni ambiente, al mese.
Il regolamento, che stabilisce le attuali mercedi secondo le diverse categorie d’operai, fu fatto in epoca in cui tutto era a minor prezzo; e quella mercede che allora bastava pel mantenimento d’una famiglia oggi non basta per una sola persona. È necessario quindi: rivedere il regolamento sul servizio degli operai; aumentare le medie delle mercedi fissate per ogni singola officina; stabilire il minimo della mercede giornaliera a lire 2,50; aumentare il minimo della pensione e portare il massimo almeno a lire 1000, come fu fatto recentemente per gli operai dipendenti dal Ministero della Guerra.
Mentre si va cercando di dare un impulso più vitale alla nostra Marina militare, si trascurano gli interessi degli operai. I quali, in fine, sono il fattore primo della nostra potenza marittima.”
A proposito delle officine d’armi, che hanno una importanza capitalissima in tempo di pace e più in tempo di guerra, un valente uomo di porto osserva:
Con gli attuali regolamenti, l’Ufficiale per essere promosso deve avere, tra gli altri requisiti, parecchi anni di navigazione. Avviene dunque che coloro i quali sono negli Uffici, non avendo compiuto il periodo di navigazione richiesto, chiedono d’essere imbarcati e sono, per giustizia, mandati a navigare. Di qui, negli uffici, cambiamenti frequentissimi, con danno manifesto dei servizii.
È necessaria la creazione d’un Corpo d’Ufficiali specialisti nelle Direzioni d’Artiglieria e Torpedini e delle Armi portaitli. E, poiché non è giusto che costoro soffrano nella carriera, è necessario stabilire speciali categorie d’Ufficiali di terra, il cui avanzamento non sia pregiudicato dalla mancanza di navigazione.
Questi ufficiali oltre che alle Direzioni delle Armi dovrebbero prestar servizi ai Comandi in capo, ed avere incarico di preparare gli strumenti della difesa generale e di studiare i problemi relativi alla difesa delle spiagge, costituendo, per così dire, lo Stato Maggiore del nuovo Corpo di difesa delle coste.”
Lo stesso scrittore, considerando che i Comandi in capo dei Dipartimenti Marittimi non hanno l’importanza e l’autorità richiesta dal loro alto ufficio, crede che ciò si debba in parte all’eccessivo concentramento dei servizi presso il Ministero, in parte all’ordinamento dei servizi stessi, ed in parte, forse, al fatto che i Comandanti dei Dipartimenti considerano la lor posizione come un meritato riposo, concesso alle fatiche dei Comandi di squadra.
“L’attività degli Ammiragli è un’attività tutta burocratica. Un telegramma ministeriale, o la diramazione degli inviti per un funerale grandioso, mette quegli Uffici in rivoluzione. Pare, insomma, che si tratti non di Comandi d’Armata ma di Prefetture marittime.”
L’onorevole Ministro della Marina è un savio. Egli sa che il mondo è sempre stato dei Prefetti e che nella moltiplicazione delle Prefetture sta la vera grandezza d’Italia.