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L’ARMATA D’ITALIA 133

In verità, l’egregio uomo, raccomandandomi d’essere equanime e spassionato nei miei giudizii, non mi dà un molto luminoso esempio di moderazione. Mi dà in vece, con evidenza grande, la ripruova di tutto ciò ch’io, per cognizion precisa dei fatti, affermai nel mio capitolo su gli Arsenali. In ogni caso, anche se le accuse contro gli officiali di Vascello fossero giuste, rimarrebbe dimostrato che la lotta di Corpo esiste, che la disciplina è scossa e che i continui dissensi turbano ogni ordine di lavoro.

Anche le mie considerazioni intorno agli operai han suscitato un tumulto. Molte lettere descrivono la misera vita degli arsenalotti costretti a star rinchiusi negli opifici per dodici ore senza interruzione. I lamenti sono infiniti. Scrive un fabbro:

“Nei RR. Stabilimenti marittimi vi sono degli operai, dei braccianti, come battimazza, cricatori, pittori, manovali, ecc. che vengono pagati a lire 2 per giorno. Tolti i giorni festivi, la paga si riduce a poco più di lire 50 mensili: mercede addirittura insufficiente per vivere, anche miseramente, in paesi ove tutto è caro, ove soltanto di pigione bisogna spendere dalle 8 alle 10 lire per ogni ambiente, al mese.