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132 L’ARMATA D’ITALIA

ed altri si dispongono ad imitarne l’esempio. E non valgono i concorsi ripetuti a breve distanza a riempire i vuoti che in esso si fanno, sicché il numero dei presenti è sempre inferiore a quello stabilito dalla legge che l’organizzava. Altro che favori!

Ma se gl’ingegneri non dovessero comandare nelle officine e a bordo quando vi si fanno lavori, dove e quando comanderebbero essi? È giusto ed è logico che il comando sia lasciato all’ufficiale di Vascello quando egli è sulla sua nave; né egli tollererebbe l’ingerenza altrui. E così è giusto e logico del pari che l’ingegnere comandi nelle officine dove è il suo regno.

O che l’ingegnere deve piegare al volere dell’ufficiale di Vascello sol perché questo è tale, o forse è stato creato per essere di lui dipendente e servo? E quale competenza potrebbero avere nelle officine e sui lavori gli ufficiali naviganti? Pur troppo, e assai più di quello che sarebbe tollerabile, si ingeriscono essi nell’andamento di molti lavori, spesso per autorità militare di grado; e ciò è male grave. Ma per essi non basta!

Ogni comandante che arriva in un porto militare o che sta su una nave in allestimento vorrebbe squadre di operai a sua disposizione ed ordinare lavori a suo libito, sieno essi necessarii o inutili, laudabili o dannosi, molte volte di puro lusso. L’ingerenza della direzione delle costruzioni li contraria, li irrita contro questo incomodo Corpo del Genio Navale, contro questi ingegneri ne’ quali vorrebbero trovare ciechi strumenti di loro capricciose voglie.”