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era stolido, e l’accusò poi sempre d’aver fatta cadere la muraglia per annegarlo. Che importa al valentuomo? Lui è contento d’aver salvato anche quel povero balordo, e gli altri valentuomini gli davano ragione. Ma torniamo a voialtri, cari lettori.

La parte del cittadino è generica, e non si può farla senza essere qualche altra cosa. V’è il cittadino scienziato, il cittadino mercante, il cittadino soldato, il cittadino artista, il cittadino operaio, contadino e va dicendo. Per essere l’uno o l’altro a modo, bisogna scegliere una, come dicono, carriera, ed averci, come dicono, la vocazione. Pur troppo alcune persone fanno male o di malavoglia l’arte loro, perchè l’hanno abbracciata contro genio o per caso. Non hanno pensato gli sciaurati a quel che le loro spalle potevano portare, e si sobbarcarono per vanità, per leggierezza o per cupidigia ad un peso, che poi non possono portare. S’è mai dato un grand’uomo in questo numero? A voler bene riescire bisogna pensarci a lungo, consigliarsi molto, scegliere prudentemente, e poi dedicarsi alla cosa eletta con tutte le forze dell’anima e del corpo, con tutto il peso irremovibile dell’ostinazione.

La vocazione, sento dirmi, è una bella cosa, chi è sicuro d’averla; ma come si può conoscerla in un ragazzo? Si vedono tante vocazioni andate a male...

Intendiamoci, cari figlioli: questa parola vocazione, confiscata dai religionarii, è diventata mistica o, dirò meglio, ha aquistato un valore soprannaturale. Non parliamo di questa: parliamo delle cose umane, naturali e comuni. I segni di una vocazione sono due: una capacità speciale, un talento dato da natura, e la facilità del profitto nel suo esercizio. Ora i talenti