Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo V

Capo V

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CAPO V.

Cavado con legge proclama la comunanza di tutte le donne. — I sudditi, depostolo ed eletto in sua vece Blaso, rinserranlo nella prigione di Lete. — Origine di questo nome. — Tragico fine di Arsace re dell’Armenia.

I. Dopo queste vicende Cavado, abusando con ogni maniera di violenza dell’autorità sua, pubblicò una legge che metteva a comune tutte le donne1.

II. La qual cosa riscuotendo l’universale abborrimento de’ sudditi, questi, ribellatisi, il presero e gittaronlo in carcere2; dopo di che elessero a re loro [p. 17 modifica]Blase3, fratello di Perozo, mancando a Cavado prole maschile, nè accordando le persiane leggi di mettere in trono uom privato, se non se quando la regale prosapia vada al tutto estinta. Blase ricevuta la corona tenne consulta cogli ottimati del regno sopra i destini del prigioniero, e varie furono le costoro opinioni, avendovene molti propensissimi a conservargli la vita. Gusanascade4 però, canarange di grado (voce che suona presso di noi comandante delle truppe d’una provincia a frontiera cogli Eutaliti), procedè nel mezzo del consiglio e mostrando il coltelluzzo adoperato in Persia al tagliare delle unghie: «La picciol arma, disse, è di per sè stessa bastevole a troncare in oggi la contesa, ma temporeggiando voi, più che venti mila de’ migliori guerrieri verranno meno all’uopo stesso»; e davasi con ciò a significare che non spegnendo prontamente la vita di Cavado, ne proverrebbero grandi molestie. L’orrore nondimanco inspirato loro dall’imbrattare le mani col regio sangue indusseli a soscriverne la chiusura nel carcere di Lete5.

III. E degli infelici condannati là entro v’ha pena capitale a parlarne o a profferirne tampoco il solo nome. Dall’istoria dell’Armenia poi abbiamo il perchè venisse chiamato di tal guisa quel luogo, e vi leggiamo [p. 18 modifica]parimente una singolare circostanza che si uscì del precetto.

IV. In epoche lontane, riferisce la stessa, fuvvi ostinata guerra pel corso di trentadue anni tra Persiani ed Armeni, questi capitanati da Arsace di schiatta arsacida6, e gli altri da Pacoro. Ed avvegnachè la sua durata recasse danni sommi ad amendue le parti, l’Armenia in preferenza v’andò colla peggio; siffattamente poi i due competitori perduto aveano ogni scambievole assicuranza che fin le ambascerie erano tra loro interdette. Datisi però intanto i Persiani a guerreggiare altra gente prossimana agli Armeni, questi in pruova di aver cessato l’antico sdegno, e che bramavano ricuperarne l’amicizia, deliberarono scorrere il tener di que’ barbari, ed accintisi all’opera, mandatone prima avviso a Pacoro, tutti passaronli a fil di spada senza perdonare ad età o sesso. Il re persiano sorpreso dell’avvenuto spedì pregando Arsace che si portasse da lui, ed arrivato lo accolse urbanissimamente, e trattollo [p. 19 modifica]da germano e da re suo pari. Nulladimeno accusatogli dopo breve tempo l’Armeno come fomentatore di nuove guerre, il richiamò in Persia col pretesto di voler seco trattare intorno a comuni bisogne; e quegli tornovvi all’istante accompagnato da’ suoi duci più famosi nelle armi, e soprattutto da Bassizio, duce anch’egli e suo consigliere in campo, sendo uomo di grandissima prudenza e di sommo valore. Il Persiano allora forte rimprocciò ammenduni di lor mala fede, e della violazione del giuro non sì tosto profferto; ed avvegnachè quelli protestassero altamente contro l’accusa, volle tuttavia rinserrarli con molto disdoro in prigione, e quindi fecesi ad interrogare i maghi sul come ridurre a buon termine la faccenda. E questi dissero non volersi condannare perchè non confessi e neppure convinti; avervi però mezzo da costringere Arsace ad incolpare sè stesso: al qual uopo consigliarono di coprire il pavimento dell’aula regale per metà con terra scavata di sul tenere persiano, e per metà con altra proveniente dall’Armenia. Compiutosi il consiglio loro, e celebrati su tutta quell’area non so che riti, e’ persuasero al re di camminarvi in compagnia dell’Armeno e di riprenderlo intrattanto siccome violatore degli accordi, ma dovere anch’eglino essere al tutto presenti, e porgere orecchio ai discorsi d’entrambi. Disposta ogni cosa Pacoro chiamò al suo cospetto Arsace, e passeggiando seco, testimonj i maghi, addimandògli perchè avesse, rendendosi spergiuro, tramato di avvolgere i loro popoli in nuove sciagure. Ma l’Armeno sinchè rispondea di su la terra persiana asseverantemente dimentiva le accuse [p. 20 modifica]adducendo invece di essersi mai sempre conservato fermo nelle sue promesse. Giunto nullamanco nel mezzo del luogo, al premere col piede la terra natale, il suo discorso ad un tratto prendeva opposte forme, come se inspirato da una qualche soprannaturale potenza, e vendicar proponeasi a miglior tempo la ricevuta ingiuria, nè punto moderava il parlar suo nel rispondere di su quella terra; ma valicatala appena eccolo di bel nuovo tutto sommesso a Pacoro, ed articolare voci piene d’onore e rispetto; se non che al ricambiar del suolo tornava a prendere il suo primo linguaggio: e così fatto parecchie volte disvelò gli arcani del cuor suo7. I maghi adunque il dichiararono violatore degli accordi e spergiuro, ed il Persiano allora comandò che si scuoiasse Bassizio, e che venissene la pelle, imbottita con paglia, ad un altissimo albero appesa. Non essendogli poi lecito di punire colla morte Arsace in grazia della sua regale prosapia, il dannò alla prigione di Lete. E là vivea quando coll’andare del tempo un Armeno, suo intrinseco e del novero di quelli che avevanlo accompagnato in Persia, valorosamente pugnando contro de’ barbari segnalossi cotanto innanzi agli occhi del re, quanto era spediente perchè fossegli attribuita la parte maggiore di quella vittoria. [p. 21 modifica]Laonde Pacoro ammiratone il coraggio diedegli ampia facoltà di scegliere il meritato premio; e questi chiese di servire Arsace un giorno intiero secondo ogni suo desiderio. Tale domanda recò grave molestia al Persiano, il quale non potea aderirvi senza rompere una legge antichissima com’era quella sul carcere di Lete; volendo nondimeno tener sua parola v’acconsentì, e l’Armeno ito di fretta alla prigione salutò Arsace, e tra’ più affettuosi abbracciari e le più tenere lagrime sulle miserande loro sciagure venner meno ad entrambi le forze di reprimere i trasporti dell’animo e di ricomporsi delle persone. Sazio al fine il dolore dello sfogo avuto col pianto, l’amico lavò Arsace, e messagli regale veste fecelo adagiare su di magnifico letto, da dove l’infelice re con tutto lo splendore della primitiva grandezza lautamente banchettò, porgendo in tanto orecchio a mille piacevolissimi racconti. Durato il conversar delizioso e le squisite imbandigioni sino a molto inoltrata notte, entrambi soddisfatti appieno delle ore sì lietamente passate diedersi l’ultimo addio. Taluni qui aggiungono che Arsace allora perdendo ogni speranza di più reggere agli oltraggi della fortuna, dopo gustate le dolcezze di quell’intertenersi col più fido tra gli amici, preso dalla mensa un coltello di sua mano s’uccidesse8. La storia d’Armenia conferma la costui morte in simigliante guisa, e che nell’antedetta [p. 22 modifica]congiuntura i Persiani contravvenissero alla patria legge sul carcere di Lete. Ma riprendiamo le mosse donde ci siamo partiti.

Note

  1. Platone nella sua tanto famigerata Repubblica vorrebbe anch’egli la stessa cosa. Diodoro Siculo narra tale costumanza essere stata in pieno vigore presso gli Etiopi: «Costoro, dic’egli, non menano moglie, ma tengono le donne promiscuamente in comune, e con eguale amore riguardano ed allevano come comuni a tutti i figli che nascono, e dalle nutrici sovente si cambiano i figli ancora infanti, onde le madri non possano riconoscere i loro» (T. i, lib. ii, trad. del cav. Compagnoni). Così parimenti adoperavano gli Agatirsi (abitatori d’una parte della Transilvania e del Bannato di Temesvar) scrivendo Erodoto di essi: «Gli Agatirsi sono delicatissimi uomini ed oro portano in copia. Godono delle donne in comune acciocchè sieno scambievolmente germani, e tutti essendo famigliari, nè invidia, ne inimicizia l’uno esercita verso l’altro» (lib. iii, § 104, traduz. del cav. Mustoxidi).
  2. Ciò fu negli anni 11 del suo regno, e 484 dell’era volgare.
  3. Da Agazia è nomato Zamaspe, e detto secondogenito di Perozo.
  4. Altri leggono Gusanastade, e così pure caranange.
  5. Dell’obblio; gr. λήθη.
  6. Così il N. A. negli Edifizj (lib. iii): «Dopo che Alessandro il macedone levò di mezzo il re de’ Persiani, questi stettero fermi sotto il giogo straniero; ma i Parti ribellaronsi ai Macedoni, ed avendoli vinti li cacciarono, e stesero la loro dominazione sino al fiume Tigri. I Persiani di poi furono soggetti ai Parti per 500 anni, sino cioè al tempo in cui Alessandro figliuolo di Mamnea tenne il romano imperio. Allora uno de’ re parti costituì suo fratello Arsace re degli Armeni, siccome la storia di questi riferisce. Nè credasi già che gli Arsacidi fossero originarj di Armenia, bensì per cinque secoli mantennero pacifici la parentela colla famiglia che regnava in Persia».
  7. Fu già osservato dal chiaro traduttore delle Storie segrete che il nostro Procopio teneva conto della superstiziosa credenza de’ filtri, degli incantesimi e fattucchierie, ec. ec., e vie più ne rimarremo persuasi proseguendo la lettura di queste persiane e Vandaliche guerre.
  8. V’ha similmente chi pretende che lo stesso Armeno, per effetto di compassione, abbia posto fine alla vita dell’infelice monarca.