Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte III/Capitolo V
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CAPITOLO V.
Fra le tante vicissitudini e sciagure che nella prima metà del secolo XIV travagliarono la chiesa romana per le cupide mire dell’imperadore Ludovico il Bavero, tanto ostile al pontefice Giovanni XXII, e lo scisma che ne seguiva, nonchè per le turbolenze suscitate dal famoso Cola da Rienzo, e l’ambizione dei più potenti baroni romani — onde fu diviso in molte piccole signorie l’ampio dominio pontificio — Benevento si tenne sempre fida ai pontefici romani, e solo tentò più volte di scuotere l’aspro giogo di qualcuno dei suoi rettori. Quegli che primamente tenne in Benevento nel secolo XIV la rettoria fu Guidone de Pileo, a cui successe Ugone de Laissaco nel 1316, il quale per il suo sregolato governo incorse talmente nell’odio dei beneventani, da indurli al disperato partito di circondare il palazzo a mano armata per fargli oltraggio, e ad esso seguirono i rettori Guglielmo de Balaeto ed Arnolfo Marcellino.
Ma siccome il popola spesso insorgeva contro i Rettori, i quali dal 1077 in poi ebbero la loro residenza nello splendido edificio che fu già la reggia dei principi longobardi; così il Pontefice Giovanni XXII, scorgendo che per i frequenti tumulti popolari quell’antico palagio non era più atto alla difesa dei Rettori, ordinò nel 1321 al rettore Guglielmo de Baleato che avesse fatto trasferire nel chiostro di S. Pietro la monache, che nel monastero di S. Maria di porta somma abitavano, e che avesse edificato in quel sito una forte rocca per sicuro ricovero non men suo che de’ suoi successori nella rettoria di Benevento. La lettera con la quale si emise un tal provvedimento fu scritta in Avignone, come risulta dalla data, e nel tomo 514, N. 14 dei volumi della Biblioteca popolare conservasi originalmente.
E da quell’epoca sino al 1860 quella rocca con l’attiguo palagio servì sempre all’uso a cui fu destinata nella fondazione, cioè di essere la residenza dei rettori, indi dei castellani e dei governatori, e infine dei Delegati di Benevento.
Nel 1328 cessò di vivere il Rettore Guglielmo de Baleato e la plebe, scontenta com’era del governo di alcuni precedenti Rettori, provocò un nuovo tumulto da ingenerare gravi disordini e confusione in tutti gli ordini della cittadinanza. Ma alla nuova di tale commovimento di popolo accorse tosto in Benevento Carlo duca di Calabria, figlio al re Roberto, il quale si adoperò in modo coi cittadini da rimettere in poco tempo l’ordine pubblico in Benevento, di che Giovanni XXII con lettere dat avin decemb. A. 7. gli rese segnalate grazie. Però non si creda che nel sedare prontamente i tumulti beneventani fosse stato mosso il duca di Calabria unicamente dal desiderio di attestare la sua stima e benevolenza al pontefice Giovanni, ma vi fu astretto principalmente dalla necessità di osservare le condizioni dell’investitura. Infatti, allorquando Clemente IV concesse la investitura del regno di Sicilia a Carlo d’Angiò e suoi successori, fece obbligo ai re di Napoli di somministrare un discreto numero di soldati a cavallo, i quali per lo spazio di tre mesi erano astretti a militare negli stati della chiesa in Italia, a spese del re, per accorrere ove lo richiedesse il bisogno.
Intanto i padulesi vassalli di Guglielmo de Sabrano conte di Ariano e di Apice, cogliendo l’occasione della rinascenza delle antiche dissensioni civili in Benevento, aggravarono di indebito tributo tutti i beni posseduti dai beneventani lungo le rive dei fiumi Calore e Tammaro, detraendo in tal modo ai privilegi largiti alla città da Carlo d’Angiò. E il Rettore di quel tempo Gerardo della Valle indignato contro il conte Guglielmo, il quale invece di reprimere le ingiuste pretese dei suoi vassalli sempre più le fomentava, chiese giustizia al re Roberto, e questi seppe tosto infrenare l’orgoglio dei padulesi, e render liberi i beni dei cittadini di Benevento. Ma non debbo omettere che i padulesi anche in epoca posteriore osarono violare la giurisdizione beneventana, e ciò risulta dal processo dei confini che si conserva nell’archivio comunale, da cui rilevasi che Pio IV spedì in Benevento Girolamo del Monte Bresciano con la qualità di Commissario Apostolico per riconoscere i confini del territorio beneventano, e che in tale occasione il barone di Paduli fu scomunicato da Paolo IV per turbativa di giurisdizione, e che per questo il predetto barone, venuto ad un accordo col comune di Benevento, promise di non più contendergli il possesso del territorio di Saglieta, che giace tra i fiumi Calore e Tammaro. E nello stesso archivio si custodisce un breve di Sisto V, col quale fu ordinato al governatore di Benevento di ostare a qualsiasi ulteriore invasione dei padulesi, e mantenere sempre inviolata la giurisdizione beneventana.
Dal 1324 sino al 1350 non accaddero in Benevento altri fatti notevoli che il seguente. In un bel giorno si trasmise da Napoli alla nuova rocca, che fu denominata il castello di Benevento, racchiuso in un cuoio, il cadavere di Carlo d’Artus conte di Monteredisi, fatto prigione ed ucciso d’ordine di Giovanna I perchè ritenuto autore della violenta morte del giovinetto Andrea di lei marito, e fratello di Ludovico re di Ungheria. Un tal fatto conturbò per qualche tempo non poco la cittadinanza, ma poi, per essersi accertate tutte le circostanze di quell’uccisione, l’inganno teso ai beneventani non apportò veruna conseguenza.
Nel 1355 la quiete, e, si può anche dire, il lieto vivere dei beneventani, rispetto agli altri popoli, cominciò ad essere turbato dai napoletani; per cui il pontefice Innocenzo VI emanò una bolla per la conservazione e tutela dello stato beneventano contro chiunque avesse osato occuparlo, o in qualsiasi modo turbare il possesso della chiesa romana. Ma con tutto ciò non fu restituita la calma alla città, perchè perdurarono i napoletani ad infestare il territorio di Benevento, onde al comune fu forza nei 1358 di muoverne grandi lagnanze al papa, a fine che apportasse efficaci rimedii a tanti mali. E allora Innocenzo, a liberare i beneventani da qualunque gravezza, commise con sue lettere al celebre cardinale Egidio Albornoz Arcivescovo di Toledo e suo legato in Italia di trovar modo da indurre i napoletani a non più tentare innovazioni in danno dei Beneventani.
Egidio non indugiò la sua venuta in Italia, e riuscì con raro senno non solo a far desistere i napoletani dalle loro incursioni ed avarie contro i cittadini di Benevento; ma anche a costringere tanti altri usurpatori dei dominii pontificii a ridare la libera signoria delle città al pontefice Innocenzo VI. Trascorsero dopo un tal fatto parecchi anni d’inalterata tranquillità in Benevento, allorché Giovanna I, regina di Napoli, dichiaratasi favorevole all’antipapa Clemente VIII eletto nel 1378 in Fondi da pochi cardinali scismatici, seppe tirare al suo partito anche i beneventani, i quali presero a sostenere la causa dell’antipapa.
E quindi espulsero dalla città l’arcivescovo Ugone Guidardi, e accolsero il legato di Clemente, che in suo nome ne tolse il governo. E la fazione la quale erasi dichiarata per l’antipapa prevalse in Benevento sugli altri partiti sino al 1381, in cui avendo Urbano data la investitura del regno di Napoli a Carlo duca di Durazzo, della prosapia di Carlo II re di Napoli. costui ne prese la signoria, facendo prigioniera la stessa regina Giovanna, che pose crudelmente a morte, e la città di Benevento non tardò a tornare in fede del vero pontefice. E nell’archivio del comune si conserva ancora una bolla di Bonifazio IX successore di Urbano VI che fa piena fede dell’essersi resi i beneventani, dopo la morte della regina Giovanna I, caldi sostenitori dei dritti del legittimo papa.
Ma i buoni accordi tra Urbano VI e il re Carlo III non furono durevoli per più cause, e soprattutto per essersi questi rifiutato di cedere il principato di Capua a Francesco Bottillo nepote del pontefice. Urbano, bramoso di ritogliere a Carlo di Durazzo il reame di Napoli, si recò a tal fine in Nocera dei Pagani, ove si adoperò con ogni sforzo a levare un’armata; però il re, per eludere i suoi disegni, non potendolo indurre a far ritorno in Roma, spedì nel giugno del 1385 il conte Alberico di Barbiano con buona mano di soldati a porre l’assedio a Nocera. Di ciò adirato Urbano, dopo di aver lanciato l’anatema contro Carlo, lo dichiarò decaduto, da ogni dritto sul regno di Napoli, ma ciò non ostante il conte Alberico continuò l’assedio con maggior pertinacia c i prima. (Revere) E sarebbe venuto di leggieri a capo del suo intento, se non fosse accorso in aiuto del papa con poderoso esercito Raimondo del Balzo di Casa Orsini, più comunemente noto col nome di Raimondello Orsini, che fu poi principe di Taranto, il quale dopo d’aver fugate le schiere nemiche, entrò vincitore in Nocera, e liberato il pontefice nel giorno 8 agosto del medesimo anno, lo condusse con pompa trionfale in Benevento. E il papa, grato a tanto beneficio, non solo gli confermò il possesso del contado di Lecce e della baronia di Flumeri, ma gli fece dono della città di Benevento, benché il Vipera e qualche altro scrittore affermino che Benevento non cessò di far parte degli stati della chiesa, ma non pare che una tale opinione sia molto fondata, ed altri pure ritengono che Raimondo Orsini non ebbe in dono che la sola Rettoria di Benevento e per un tempo limitato.
Nel 1388 venuto a morte il re Carlo di Durazzo gli successe nel regno il figlio Ladislao, che ne conseguì l’investitura da Bonifazio IX nel 1390. In questo anno tutto il regno andò sossopra, per essersi divisi i napoletani in due grandi fazioni, una delle quali sostenne i dritti di Ladislao, e l’altra quelli di Lodovico d’Angiò, e non mancavan pure altri partiti minori, i quali contribuivano a volgere in peggio le cose. Ma in tal frangente i beneventani seguiron tenacemente il partito di Ladislao, benchè il papa per sostenerlo avesse venduti tra gli altri anche alcuni possedimenti che eran situati nel territorio beneventano.
Nè gli sforzi del pontefice riusciron vani, poichè fu per essi anzitutto che a Ladislao fu dato di superare il suo emulo, e regnare senza contesa sullo scorcio del secolo decimo quarto. E in tutto questo tempo la città di Benevento rimase incolume da qualsivoglia offesa, ma però si diede luogo a una nuova circoscrizione che restrinse maggiormente i limiti del territorio beneventano.