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osservare le condizioni dell’investitura. Infatti, allorquando Clemente IV concesse la investitura del regno di Sicilia a Carlo d’Angiò e suoi successori, fece obbligo ai re di Napoli di somministrare un discreto numero di soldati a cavallo, i quali per lo spazio di tre mesi erano astretti a militare negli stati della chiesa in Italia, a spese del re, per accorrere ove lo richiedesse il bisogno.

Intanto i padulesi vassalli di Guglielmo de Sabrano conte di Ariano e di Apice, cogliendo l’occasione della rinascenza delle antiche dissensioni civili in Benevento, aggravarono di indebito tributo tutti i beni posseduti dai beneventani lungo le rive dei fiumi Calore e Tammaro, detraendo in tal modo ai privilegi largiti alla città da Carlo d’Angiò. E il Rettore di quel tempo Gerardo della Valle indignato contro il conte Guglielmo, il quale invece di reprimere le ingiuste pretese dei suoi vassalli sempre più le fomentava, chiese giustizia al re Roberto, e questi seppe tosto infrenare l’orgoglio dei padulesi, e render liberi i beni dei cittadini di Benevento. Ma non debbo omettere che i padulesi anche in epoca posteriore osarono violare la giurisdizione beneventana, e ciò risulta dal processo dei confini che si conserva nell’archivio comunale, da cui rilevasi che Pio IV spedì in Benevento Girolamo del Monte Bresciano con la qualità di Commissario Apostolico per riconoscere i confini del territorio beneventano, e che in tale occasione il barone di Paduli fu scomunicato da Paolo IV per turbativa di giurisdizione, e che per questo il predetto barone, venuto ad un accordo col comune di Benevento, promise di non più contendergli il possesso del territorio di Saglieta, che giace tra i fiumi Calore e Tammaro. E nello stesso archivio si custodisce un breve di Sisto V, col quale fu ordinato al governatore di Benevento di ostare a qualsiasi ulteriore invasione dei padulesi, e mantenere sempre inviolata la giurisdizione beneventana.

Dal 1324 sino al 1350 non accaddero in Benevento altri fatti notevoli che il seguente. In un bel giorno si trasmise da Napoli alla nuova rocca, che fu denominata il castello di