Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte III/Capitolo IV

Capitolo IV

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CAPITOLO IV.


Dopo la riportata vittoria, Carlo d’Angiò entrò con le sue milizie nella città di Benevento, che fu occupata senza alcun fatto d’armi; dacchè i cittadini si tenevan sicuri che, come città pontificia, niuna offesa le potesse derivare dal vincitore. Ma furono crudelmente delusi nelle loro speranze, poichè le schiere francesi, calde ancora della vittoria, avvedendosi che il re Carlo, come quegli che avea in odio i beneventani per la loro fedeltà a Manfredi, era risoluto di serbarsi indifferente sui loro eccessi, si diedero a predare la città in tutti i punti, e in poco d’ora la empirono di uccisioni, nè v’ha crudele atto ed inumano a cui non trascorressero con gioia selvaggia. E non paghe del saccheggio della città, e di averne abbattute le mura, misero a ruba i sobborghi, e infierirono sui loro abitanti. E il re Carlo tutto ciò vide e permise, per punire i beneventani della loro devozione a Manfredi, il quale avea posto molto amore a Benevento. E anzi, come scrive il Macchiavelli nelle sue istorie, Manfredi ebbe dal padre il titolo di duca di Benevento.1 E le crudeltà commesse in tale occasione dall’armata di Carlo in Benevento fan fede di quanto vadano errati quei patrii scrittori i quali ritennero che Manfredi non credendosi sicuro in Benevento, per aver trovato quivi avversa la fazione prevalente, traesse coll’esercito alla volta di Lucera, allorchè, scontratosi con le schiere francesi, gli fu forza suo malgrado perigliarsi in una battaglia campale.

[p. 140 modifica]Vero è che qualche scrittore ecclesiastico ha osato negare le enormezze commesse dai soldati di Carlo nella città di Benevento dopo la rotta di Manfredi; ma una tale opinione dà senza fallo nell’assurdo, poichè lo stesso Clemente IV ne volse amare rampogne al vincitore, o dirò meglio al ladrone francese, e la sua lettera è documento che vivrà quanto il mondo lontano, per attestarne la infamia.

Ma, anche in tali termini ridotti, i beneventani fecero manifesto che 1 antico valore non era spento nei lor cuori col seguento fatto. Un orda di quei ladroni francesi, scorrazzando nei dintorni di Benevento, avea invaso il monastero di S. Pietro, abitato dalle benedettine, e posto fuori della città, e propriamente in quel luogo che ora si dimanda S. Pietro da Fori, tanto è tenace il popolo a ritenere le antiche denominazioni, allorchè una mano di prodi guerrieri campati dalla battaglia, in cui fu morto Manfredi, traendo alla difesa di quel solitario asilo di pace, assale quei tristi, ne uccide molti e il resto pone in fuga. Quando un tal fatto fu riferito al re Carlo, questi, che non era del tutto sfornito di spiriti cavallereschi, ne esultò, e infrenato, benchè tardi, il mal talento delle sue schiere, commise a quei valorosi il governo della città, e li costituì mantenitori dell’ordine pubblico. La storia patria ci conservò i nomi dei principali di essi e sono Calogine Mascambruno, Luigi Capece, Giulio Scontrado, Antonio Zocco, Marco Pino, e Simone dei Tuso, i quali erano prestanti in armi e di non oscura prosapia.

Carlo d’Angiò trovò in Benevento doviziose suppellettili e ingenti somme di denaro, ivi riposte da Manfredi, nonchè le gioie di Federico imperadore, suo padre, e del re Corrado suo fratello, che colà erano custodite per provvedere in un caso di necessità ai bisogni della guerra. Egli allora si tenne per l’uomo predestinato al governo del più bel paese del mondo, e, reputandosi felice, fu prodigo di doni ai suoi baroni, e a tutti i condottieri delle sue milizie, e smise alquanto la consueta austerità del suo carattere.

Carlo d’Angiò prese stanza per alquanti giorni in Benevento, e i cittadini, benchè forse a malincuore, affine di [p. 141 modifica]rendersi propizio il vincitore, fecero a gara per mantenere l’abbondanza delle vettovaglie nell’armata. E il pontefice avendo in animo di ristorare i danni apportati ai cittadini col saccheggio, e lo sperpero della roba, concesse alla città diversi privilegi che lo stesso re Carlo con suo ispeciale diploma rifermò ai beneventani. E nella medesima investitura data da Clemente IV a Carlo del regno delle Due Sicilie ultra e citra dell’isola, e di tutta la terra di qua dal Faro sino ai confini degli stati della chiesa, tranne la città di Benevento con tutto il suo territorio, egli è chiaro che ebbe in mira di beneficare i beneventani.

E infatti nei capitoli della bolla d’investitura, di cui si conserva copia nell’archivio della nostra città, si legge «art. XI: che il re debba stare a quello che definirà il pontefice sulla determinazione dei confini da farsi una sola volta del territorio beneventano,» e nell’art: XII si aggiunge. « che dia sicurtà ai beneventani di disporre liberamente dei loro beni situati nel regno.» E come rilevasi dalla stessa bolla questi confini furono assai ampii, poiché il distretto di Benevento conteneva i seguenti comuni e villaggi: 1. Ponte – 2. Casalduini. — 3. Campolattaro. — 4. Fragneto Monforte — 5. Fragneto l’Abate. — 6. Monte Leone, feudo di Pietra Elcina, detta anticamente Pietra Pulcina. — 7. San Severo, che oggi è un predio rustico nelle adiacenze di S. Marco dei Cavoti. — 8. S. Giorgio la Molara. — 9. S. Andrea della Molinara, noto ora col nome di Molinara. — 10. Pietra Maggiore, ossia Pietra dei Fusi. — 11. Paduli col suo sobborgo. — 12. Montemale. — 13. Timplani, ora feudo denominato Tenchiane. — 14. Apice. — 15. Merrone, terra ignota, e forse con tal nome il papa si avvisò d’indicare Morcone. — 16. Dentecane. — 17. Monte Miletto. 18. Monte aperto, questo luogo era parte della contea di Montefusco. 19. Montefusco. — 20. Tufo. — 21. Altavilla. 22. Ceppaloni. 23. Pietra Stornina. — 24. S. Martino. — 25. Cervinara. — 26. Montesarchio. — 27. Tocco. – 28. Torrecuso.— 29. Paopisi.

Carlo d’Angiò, appena insignoritosi del regno, sia per [p. 142 modifica]che stretto dal bisogno, sia perchè fu sempre avidissimo di danaro, principiò ad aggravare il popolo con gabelle e tributi, e per soprassello impose un pagamento straordinario in tutte le terre del regno, le quali non erano assuefatte a simili gravezze, per cui tutti coloro che aveano fatto buon viso alla nuova signoria, cominciarono a sospirare il passato, e, comparando il d’Angiò con Manfredi, si accorsero assai tardi che al bel governo di un re splendido e savio nel tempo stesso era sottentrata la tirannide di un sovrano ingordo, privo di coltura ed ambizioso.

Dopo la morte di Manfredi fu Rettore di Benevento Maestro Berardo o Bernardo ricordato in alcune epistole di Pietro da Monte Bruno Camarlingo della sede apostolica dat Viterbii id. Martii. E da un documento accennato da Bartolomeo Chioccarello nei tom. 16 dell’indice dell’archivio della Regia Giurisdizione del regno di Napoli, si rileva che il Rettore Bernardo era ancora insignito del grado di suddiacono e Cappellano del papa, e che sul cadere dell’anno 1269 venne in odio al re Carlo, il quale con sue lettere ingiunse agli ufficiali ed università del regno che vietassero con pubblici bandi che fossero recate in Benevento vettovaglie, a dimanda del Rettore Bernardo o del suo Vicario, e che i regnicoli si mescolassero in negozii civili coi beneventani.

Al Rettore Bernardo successe nel 1271 Giacomo de Arcellis, del quale si conserva nel Vaticano un bellissimo documento, che ci manifesta qual fosse stata la formola del giuramento adoperata dai beneventani nel riconoscerlo per Rettore della città; affinchè avesse potuto prenderne il governo. E, ai tempi appunto in cui Benevento era retta da costui, vi fu spedito da Gregorio X Guidone de Zenaa eseguire una diligente inquisizione per la rivindica di tutti i dritti che spettavano alla sede Apostolica.

Nel 1280 era al governo di Benevento Uguccione Marzoli di Firenze, e nell’anno seguente il pontefice Martino IV soppresse in Benevento il maestrato dei confini. Una tale abolizione riuscì in quel tempo assai dannosa a Benevento, [p. 143 modifica]per essere la città divisa in varie fazioni, onde, a sedare là civili discordie, Onofrio IV, succeduto a Martino, vi deputò con illimitate facoltà verso il 1285 Teodorico Eletto di Palermo, il quale, venuto in Benevento, si comportò tanto saviamente da por fine in breve tempo ad ogni dissenzione, e fece sottentrare agli antichi rancori sincera pace e durevole accorcio tra i cittadini.

Nel 1288 tenne la rettoria di Benevento Leopardo Bonvillani di Osimo, il quale con la dolcezza de’ suoi modi potè procacciarsi la universale benevolenza dei già discordi cittadini. Ma non trascorse molto tempo che fu astretto a deporsi dal suo ufficio, poiché l’arcivescovo Giovanni de Castro Coeli, si propose di non tollerare alcuna dipendenza nel governo di Benevento, locchè ingenerò gravissimi disordini in tutti gli ordinamenti civili.

Il pontefice allora, a dar termine a siffatti abusi, spedi in Benevento Raniero de Casalis, suo cappellano, con la qualità di Nunzio, e costui compilò una lunga processura, per mettere in sodo se eran giuste, e sino a qual punto, le accuse intentate contro l’arcivescovo Giovanni. Però non si seppe mai nulla del successo di tale processura, e se avesse mai prodotto alcun effetto, ma dalla storia di quei tempi si rileva per lo contrario che Giovanni di Castro Coeli, non solo perdurò nel reggere a suo modo la città di Benevento, ma, succeduto nel 1294 al pontefice Niccolò, S. Celestino V, quello stesso

«Che fece per viltade il gran rifiuto»,


egli trasse profitto di quei tempi difficili, per essere promosso primamente alla dignità di Vice cancelliere della Santa romana Chiesa, e poscia a quella maggiore di Cardinale Prete. E a questi si riducono i fatti più notevoli dei rettori di Benevento, durante l’intero secolo XIII.

Note

  1. Federico II lasciò in Isvevia Corrado suo figliuolo, ed in Puglia Manfredi, nato di concubina, il quale avea fatto duca di Benevento Macchiavelli, istorie fiorentine libro I.