Iride/Il sabato di Carolina

Il sabato di Carolina

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Neera - Iride (1905)
Il sabato di Carolina
Patrizio Scipione Africano

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Il sabato di Carolina


L’ultimo sabato di aprile, Carolina si alzò con un gran progetto. Aveva terminati i suoi lavori della settimana, splendeva un magnifico sole e nessun impegno la chiamava fuori di casa — tre circostanze favorevolissime per deciderla a fare il suo piccolo bucato.

Intendiamoci. Ella non era così povera da non poter pagare un lavandaio; quando si ricama bene e lesto, come appunto ricamava Carolina, non si sarà ricchi, oh! no, ma per lo meno il necessario non manca; egli è che Carolina, ragazza economa, aveva osservato come i lavandai in genere siano sciuponi e come nelle loro manaccie le mussoline e i merletti realizzino troppo spesso il dettato: «Cosa bella e mortal passa e non dura.» Per questo lavava da sè la biancheria fina, le camiciette, i manichini, le cuffie e quegli aerei [p. 252 modifica]fazzolettini di velo ch’ella annodava intorno al collo e che le davano l’aspetto di una bella madonnina pudica.

Accese il fuoco, attaccò all’uncino il paiolo pieno d’acqua, dispose la biancheria a strati nel mastello dopo d’averla insaponata con cura, e siccome queste faccenduole avevano riscaldato il suo giovane sangue di vent’anni, aperse la finestra e vi si appoggiò un istante.

lo vi assicuro, lettore possidente, inquilino obbligato dei primi piani, che una sfilata di tetti rossi e brillanti sotto i raggi del sole di primavera non sono poi quella brutta cosa che vanno dicendo i pessimisti.

Dall’abbaino di Carolina si vedeva una quantità di tegoli civettuoli, alcuni coperti di un fitto musco vellutato, altri abbracciati dagli esili rami della glicine i cui fiori lilla disegnavano ghirlande intorno alle grondaie. Stormi di rondinelle volavano pigolando dall’uno all’altro tetto, e qualche bel gattino dal pelo lucido e dalle zampine rosa, faceva le sue prime armi dietro i comignoli dei fumaioli. Copriva tutto il padiglione azzurro del cielo... oh! come volete che Carolina trovasse brutto il panorama della sua finestra?

Se ne staccò finalmente a malincuore per dare [p. 253 modifica]un’occhiata al paiolo e già le pareva che l’acqua fosse a buon punto, quando si udì una vigorosa scampanellata e comparve il ragazzetto della portinaia con una lettera.

Carolina non era abituata a leggere il suo nome, non dirò stampato ma nemmeno scritto, pensò subito che fosse una disgrazia, tanto le riusciva strano che qualcuno avesse avuto la voglia di scriverle. Le balenò poi un secondo pensiero, sorrise, arrossì; chi sa che diavolo era! — e ruppe prontamente il suggello.

Non era il diavolo, peccato! — ma una vecchia signora che le doveva da molto tempo una discreta somma, sulla quale la giovane ricamatrice si rassegnava quasi a tirare una croce. La vecchia signora trovandosi in fondi la pregava di portarle la nota al più presto possibile perchè doveva partire per la campagna. Il contrattempo, via, apparteneva alla classe dei contrattempi sopportabili; difatti Carolina infilò senza rincrescimento i suoi stivaletti di brunello, cinse un vestitino di lana nera sparso di piselli bianchi, gettò il velo in testa affrancandolo con un fiocco celeste e scese lietamente le scale pensando: Al mio ritorno l’acqua sarà bollente, in un paio d’orette sbrigo il bucato. [p. 254 modifica]

Queste preoccupazioni non le impedirono — quando fu al piano di sotto — di volgere uno sguardo particolare ad un certo uscio... Santo Dio! ne aveva presa l’abitudine in causa di due baffi castagni che abitavano là dentro; due baffi carini carini che l’avevano l’aria di essere tanto buoni! Poi allungò il passo e in quattro e quattr’otto si trovò davanti alla sua debitrice che le pagò la nota in tanti biglietti da dieci nuovi, azzurrini, con due belle teste turrite. Carolina li chiuse diligentemente nel suo piccolo portafogli e se ne tornava lesta col suo bucato in mente, quando si sentì chiamare per nome.

Un’amica d’infanzia di cui aveva perduta la traccia ma che subito riconobbe, le si buttò al collo con quella innocente espansione dei giovani affetti che non hanno ancora provata la vita.

Figurarsi gli abbracci, le ciarle le rimembranze evocate! Promisero di non abbandonarsi più, di vedersi tutti i giorni. L’indomani appunto era festa — sarebbero state insieme dalla mattina alla sera. Proprio veh! senza fallo. Addio. Addio. Un altro bacio! Sì, un altro.

Si divisero finalmente. Carolina entrò in fretta nella sua casa, salì le scale leggiera come un uccello, ma per quanta fretta avesse non crediate [p. 255 modifica]che l’uscio dei baffi sia rimasto defraudato della solita occhiata... queste cose non si dimenticano mai: aperse l’uscio della sua cameretta e per primo visitò il paiolo dell’acqua. Il fuoco era spento e l’acqua fredda.

Pazienza! Carolina si spogliò riflettendo che era appena mezzogiorno; con un poco di buona volontà sarebbe riuscita ancora a lavare la biancheria e sciorinarla al sole, al gaio sole che lasciava assai tardi la sua finestra.

Eccola dunque colle maniche rimboccate, col gonnellino tirato su a mezza gamba, in pianelle, eccola ad attizzare il fuoco, cantando, e ponendo ad ogni istante un dito nel paiolo per sentire se l’acqua si scaldava

Mancava poco, davvero, piccole bollicine apparivano alla superficie dell’acqua: Carolina non la toccava più col dito: aveva preso un pezzo di carta piegata in doppio e si disponeva a levare il paiolo

— Che è ciò? — Un timido squillo di campanello. — Capitano tutti oggi?

Tirò il catenaccio, spinse l’uscio, ma invece di tenerlo aperto lo rinchiuse precipitosamente.

— Ah! mio Dio, ah! mio Dio! — Giù in fretta la gonnella, giù le maniche... [p. 256 modifica]

— Signora, la prego, si tratta di mia madre.

Questa voce supplice e dolente indusse Carolina a riaprire l’uscio, rossa come una ciliegia, e a domandare al suo vicino:

— In che cosa posso servire sua madre?

— Sta male, — disse il giovane, rosso anche lui più del naturale — è un incomodo che soffre qualche volta, spero nulla di serio, ma tuttavia mi duole lasciarla sola. Sono fuggito dallo studio per vederla, ma devo tornarvi subito; se lei volesse curarla un po’...

— Volontieri, sì, volontieri.

— Scusi se mi sono rivolto a lei... mi è sembrata tanto buona.

— Oh no!

— E tanto...

— No, no — continuava a balbettare Carolina.

Il Signore le perdoni, non sapeva nemmeno lei quello che diceva.

— Dunque vado... tranquillo e.. la ringrazio.

Quei baffi castagni avevano un modo di parlare che toglieva lo spirito affatto a Carolina. Ella non disse più nulla, quantunque avesse detto ben poco. Tornò a mettere il suo vestito nero a piselli bianchi, e dimenticando di guardare il paiolo — sì, questo [p. 257 modifica]lo dimenticò — scese abbasso dalla vicina. Non l’aveva mai vista, a dire il vero, ma poichè era la madre, Carolina l’accostò con uno slancio di simpatia, che le valse uno sguardo profondo e scrutatore. Evidentemente la vecchietta pensava che suo figlio sapeva scegliere le vicine.

— Mia cara ragazza, temo assai che abbiate a disturbarvi per causa mia... forse il lavoro...

— Non lavoravo, signora. Ho terminato i lavori della settimana e facevo scaldare un po’ d’acqua per il mio piccolo bucato... ma non fa nulla, ho tempo; credo bene che un’ora mi basti per sbrigarlo, e alla più disperata oggi farò soltanto la prima lavatura.

La vecchietta raddolcì il suo sguardo; quei dettagli casalinghi la interessavano dandole una buona opinione della ragazza.

— Avrete insaponata la vostra biancheria, m’immagino.

— Senza dubbio; il sapone a secco la fa diventare bianca come un fiocco di neve.

La madre approvò col capo. Carolina, presa confidenza, soggiunse:

— Mi dica, che posso fare per lei?

— Sto meglio, assai meglio; tuttavia, se vi in[p. 258 modifica]tendeste di decotti prenderei volontieri un decotto di camomilla.

— Se me ne intendo? Ho avuto il mio babbo infermo cinque anni; son pratica di ammalati. È questo il cartoccio?

— Sì; guardate lì accanto che c’è la pezzuola per colare il decotto. Povera me! quando mi pigliano questi accessi nervosi non sono più buona a nulla; capisco che invecchio.

— Molto carico?

— Così, così.

Intanto che Carolina preparava la bevanda, la vecchietta non cessava dall’osservarla, argomentando dai suoi movimenti sicuri e precisi ch’ella fosse una molto brava massaia. Le piacque sopratutto il suo metodo di accendere il fuoco — innalzando prima un monticello di cenere per non disperdere la brace.

Carolina faceva anche lei molte osservazioni: le sembrava strano di trovarsi in quella casa, di toccare quei cucchiai, quelle scodelle, tutti quegli utensili: sedere su quelle sedie, passeggiare su quel pavimento — appunto, ella vide per terra una cravatta da uomo, si chinò e la raccolse: e’ era un po’ di polvere sopra e la sua mano attiva non potè trattenersi dal pulirla. Vi metteva tanta grazia che pareva proprio l’accarezzasse. [p. 259 modifica]

— Orsù, vedo che siete una donnina -disse la madre sorridendo — Quanti anni avete?

— Venti compiuti.

— Che bella cosa avere vent’anni! Alla vostra età ero svelta anch’io come un pesce e sana come una lasca. Ora invece mi trovo alla vigilia di dover passare la vita in poltrona... Avessi almeno una figlia!

— Signora, io ho desiderato tante volte di avere la mamma che non conobbi mai; se posso esserle utile, la servirò con vero cuore di figliuola.

— Buona ragazza! — esclamò la vecchietta commossa. — Ma come fu che non ci siamo incontrate mai sulla scala? È molto tempo che abitate qui?

— Da due anni. Ma io esco poco e quelle poche volte corro in fretta senza guardarmi attorno.

— Dimodochè non sapevate neppure chi c’era sotto a voi?

Qui Carolina perdette un po’ della sua franchezza: arrossì, torcendo l’angolo del grembiale e cercando una parola che non fosse proprio una bugia.

— Sapevo che c’era un signore, il signore... suo figlio. [p. 260 modifica]

— Oh! — fece l’altra guardandola col suo occhio esperto di vecchia mamma.

— Ma non gli avevo mai parlato! — si affrettò a soggiungere Carolina.

— Difatti. Quando mi sentii male, poco fa, mio figlio mi disse: «Vado a chiamare la nostra vicina, non la conosco, ma per un piacere non vorrà dir di no». Egli aveva letto la bontà nella vostra faccia, quelle volte che vi incontrò per caso sulle scale — sulle scale, nevvero?

La bonomia un po’ maliziosetta della vecchia turbava Carolina, la quale lasciava scorgere nei suoi sguardi smarriti come attraverso ad un limpido ruscello ogni pensiero della sua anima.

Per buona sorte sopraggiunsero i baffi castagni, e allora la fanciulla credette di poter ritornare al suo bucato; ma i baffi castagni erano di una curiosità incredibile — vollero sapere per filo e per segno come la signorina aveva guarita la mamma, cosa aveva fatto, cosa aveva detto e se la mamma on trovava veramente che era una fortuna per loro aversi accanto quella impareggiabile vicina.

La mamma confermò che le sembrava proprio una fortuna.

Soltanto dopo queste parole, Carolina potè ac[p. 261 modifica]commiatarsi. I baffi castagni la ricondussero fino sul ballatoio profondendosi in ringraziamenti. Carolina non lo seppe mai precisamente, ma avrebbe quasi giurato che in quella circostanza singolare una mano avesse stretta la sua con passionata tenerezza.

Di ritorno in camera trovò il fuoco spento per la seconda volta e l’acqua fredda. Erano le quattro. Carolina rinunciò al bucato.

Aperse la finestra, come aveva fatto al mattino, e vi si appoggiò. Il sole già basso sull’orizzonte mandava i suoi ultimi caldi baci ai tegoli vermigli e ai festoni di glicine profumate; le rondinelle intuonavano la canzone del tramonto, il giorno finiva.

Finiva tutto l’opposto di quello che avea imaginato Carolina, poichè la biancheria, suo costante pensiero, giaceva vergine d’acqua in fondo al mastello — pure Carolina non se ne dolse.

In luogo del bucato ella era riuscita a prendere dei denari che non aspettava più, a ritrovare un’amica che credeva perduta e, dulcis in fondo, Carolina non diceva il resto ad alta voce, ma si sentiva felice, la furbetta, poichè il cuore le diceva: Sì! Sì!