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394 ATTO QUINTO
Quattro bei disperati, che fan chi può far peggio.

Ircana avea l’amante celato ne) giardino;
Costui è qua venuto in aria d’assassino;
Zulmira dar la morte voleva ad una schiava;
E a me certo amoretto lo stomaco m’aggrava.
Facciam tutti così, facciam quel che io vi dico,
Cerchiam di liberarci l’un l’altro dall’intrico.
Che Demetrio non sappia quel che fra noi seguì,
Taccia l’un, taccia l’altro. Figli, facciam così.
Tamas. Seguasi di costei sì provido consiglio.
Sia il silenzio opportuno al comune periglio.
Taci, Ircana, ten priego; scordati l’onte andate.
L’onte sue, l’onte mie, prego, voi pur scordate.
(a Zulmira
Zulmira. Per me, se Ircana tace, non parlerò, lo giuro.
Ircana. Purché Tamas si salvi, di tacer vi assicuro.
Kiskia. Brave, ed io vi prometto, i servi e le figliuole
Far che taccian coi doni; non facciam più parole.
Zitto, cognata mia, che tutto bene andrà.
Andiamo, poverini, lasciamli in libertà. parte
Zulmira. Io serberò la fede, se a me la serberai.
Se d’ingannarmi ardisci, tu pur ti pentirai.
Ircana. Chi così meco parla, non mi conosce ancora.
Zulmira. Lascioti a lui vicina, che t’ama, che ti adora.
Lieta ti doni il Cielo con lui felice sorte;
Basta che non mi levi l’amor di mio consorte.
Se m’ha per te delusa amor coi scherni suoi,
Deh non levarmi almeno quello che dar non puoi.
parte

SCENA VI.

Ircana e Tamas.

Ircana. Viva, Tamas, mi vedi per la pietà dei Numi.

Tamas. Vivo son io, mio bene, per l’ardor de’ tuoi lumi.
Ircana. Vivo sei, viva sono: questo è il men che desio.