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IRCANA IN JULFA 399
Meco, e a Fatima unito, egli al Cadì sen venne,

Sciolte fur le tue nozze, ed il firman si ottenne.
Resta vincere Osmano, ch’esser potriami inciampo1.
Andrò senza riguardi a rinvenirlo al campo.
Ei sa chi sono; alfine ho anch’io ricchezze e onori.
Non dirà che il mio sangue la figlia disonori:
E avrà di voi narrata in guisa tal la storia,
Che si vedrà il gran fatto a terminar con gloria.
Eccovi in libertade; giuro quant’io vi dico.
(toccandosi la fronte
Ecco la pace tua. (ad Ircana) Ecco il tuo fido amico.
(a Tamas
Tamas. Oh d’amicizia esempio!
Ircana.   Oh cuor di virtù pieno!
Tamas. Eccomi tuo, mio bene. (ad Ircana
Ircana.   Ora ti stringo al seno.
(l’abbraccia
Tamas. Ama Fatima, Alì, che degna è del tuo affetto.
Ircana. Dimmi, è Fatima ancora di Machmut nel tetto?
ad Alì
Alì. Sì, qual padre amoroso ancor l’ama e l’onora.
Ircana. La sposa tua non guidi alle tue soglie ancora? ad Alì
Vanne, precedi, Alì; per tuo, per mio riposo,
Sgombra dal tetto nostro l’oggetto periglioso.
Tanto per sua cagione sono a soffrire avvezza,
Che superar non voglio del cuor la debolezza.
Demetrio. Ite, sposi felici, or che la sera imbruna.
Ircana. Signor, deggio gran parte a voi di mia fortuna.
Grata vi sarò sempre, cor di virtù ripieno.
Demetrio. Fu la pietà mai sempre grata ad un core armeno.
Le leggi nostre, il sangue, che in noi serbasi antico,
Fa che il costume nostro sia di pietade amico.
Noti noi rese un tempo ai popoli la guerra;
Or la pietà ci rende grati per ogni terra.

  1. Nella rist. torinese e nell’ed. Zitti: ch’esser potria d’inciampo.