Ione (Euripide)/Primo episodio

Primo episodio

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Euripide - Ione (413 a.C. / 410 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Primo episodio
Parodo Primo stasimo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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Entra Creúsa riccamente vestita, e si appressa lentamente al tempio. Il suo aspetto è triste. Ione la guarda con interesse, e le rivolge la parola.

ione

È, la tua, generosa indole; è prova
dei tuoi costumi il tuo contegno, o donna,
quale tu sia: la nobiltà d’un uomo
già dall’aspetto per lo piú si giudica.
Creúsa fissa Ione, si nasconde il viso e piange.

Ahimè!
Tu mi colpisci di stupore, quando
il tuo viso hai celato, e la tua nobile
gota di pianto hai resa molle, come
le sacre sedi dell’Ambiguo hai viste.
Perché piombare in tanta ambascia, o donna?
Dove s’allegran gli altri, appena vedono
del Nume il santuario, ivi tu lagrimi?

creusa

Del mio pianto stupire, ospite, segno
di stoltezza non è. Questo vedendo

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tempio d’Apollo, ad un ricordo antico
io corsi: pure essendo qui, la mente
restava in patria. Ahimè, donne infelici!
O soprusi dei Numi! E che? Giustizia
dove trovare piú, quando ci strugge
l’iniquità di quelii che comandano?

ione

Perché disperi, e parli oscuri detti?

creusa

Nulla! Il dardo ho lanciato. Il resto ascondere
vo’ nel silenzio; e tu cura non dartene.

ione

Chi sei tu? Donde giungi? E da qual padre
sei nata? E quale il nome onde io t’appelli?

creusa

Creúsa è il nome mio: d’Erettèo nacqui;
mia terra patria è la città d’Atene.

ione

Celebre la città, nobili sono
i padri tuoi: come t’ammiro, o donna!

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creusa

Di tanto, e non di piú, sono felice.

ione

Pei Numi, è vero, come narran gli uomini...

creusa

Che vuoi saper? Fa’ ch’io chiaro lo intenda.

ione

Che dal suol nacque di tuo padre il padre?

creusa

Certo, Erittònio: e poco io n’ebbi d’utile.

ione

E da le zolle lo raccolse Atena?

creusa

Che sua madre non fu, con man virginea.

ione

E lo die’, come sogliono dipingere....

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creusa

Senza mostrarlo, alle figlie di Cècrope.

ione

So che il cestello le fanciulle aprirono.

creusa

Perciò, spente, le rocce insanguinarono.

ione

E dimmi ancora:
è vera forse quella voce, è falsa...

creusa

Qual voce? Chiedi, tempo ho da risponderti.

ione

Che le figlie Erettèo sacrificò?

creusa

Per la sua patria, cuore ebbe d’ucciderle.

ione

E come tu salvata unica fosti?

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creusa

Or ora nata, in braccio ero a mia madre.

ione

Vero è che il padre tuo nasconde un baratro?

creusa

Il tridente marin l’apriva, a struggerlo.

ione

È Rupilunghe di quel luogo il nome?

creusa

Che chiedi? Oh quale in me ricordo susciti!

ione

Febo e i suoi vampi onorano quel luogo....

creusa

d’onore indegno. Oh mai l’avessi visto!

ione

Che? Quanto al Nume è piú diletto aborri?

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creusa

No; ma quell’antro sa meco un obbrobrio.

ione

Qual degli Ateniesi a te fu sposo?

creusa

Non fu d'Atene: d'altra terra fu.

ione

E chi? Certo di stirpe ei nacque nobile.

creusa

Xuto, d’Eolo figlio, Eolo di Giove.

ione

Come te cittadina ebbe, egli estraneo?

creusa

Presso ad Atene è la città d’Eubèa.

ione

Che di mare ha confini, a ciò che dicono.

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creusa

Questa distrusse, a fianco dei Cecròpidi.

ione

Giunto alleato? E quindi ebbe il tuo talamo?

creusa

Dote di guerra, e premio al suo valore.

ione

E con lui giungi, o sola, a quest’oracolo?

creusa

Con lui: nell’antro di Trofonio or trovasi.

ione

Sol per vedere? O a consultar gli oracoli?

creusa

Anche il responso di Trofonio vuole.

ione

Forse intorno ai ricolti? O intorno ai pargoli?

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creusa

Siamo sposi da tanto, e senza figli.

ione

Né partoristi mai? Sei senza prole?

creusa

Bene Febo lo sa, se non ho figli.

ione

O te felice in tutto, e in questo misera!

creusa

E tu chi sei? Beata la tua madre!

ione

Servo del Dio son detto, e tale io sono.

creusa

Dono dei cittadini? Oppur venduto?

ione

Appartengo ad Apollo: altro non so.

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creusa

Ospite, allora anch’io compiango te.

ione

Giusto è: ché il padre mio, la madre ignoro.

creusa

Abiti in questo tempio, oppure in casa?

ione

Mia casa è il tempio, i sonni miei lí dormo.

creusa

Pargolo qui venisti, o giovinetto?

ione

Pargolo, dice chi saper lo può.

creusa

Quale donna di Delfo t’allattò?

ione

Mammella io non conobbi: mi nutrí...

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creusa

Chi? Dogliosa qui giungo, e doglie trovo.

ione

La ministra del Dio: madre io la chiamo.

creusa

Da chi sinor sostentamento avesti?

ione

Mi nutrîr l’are, e quanti ospiti giunsero.

creusa

Misera, quale ella pur sia, tua madre!

ione

Certo dal fallo d’una donna io nacqui.

creusa

Belle son le tue vesti: hai di che vivere?

ione

Per il Nume che servo io mi fo bello.

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creusa

La tua stirpe a cercar mai non pensasti?

ione

Indizio non possiedo alcuno, o donna.

creusa

Ahimè! Patí
ciò che patí tua madre, un’altra donna.

ione

Quale? M’allegro, se il mio duol partecipa.

creusa

Per essa qui, pria del mio sposo io venni.

ione

A quale scopo? Aiuto io ti darò.

creusa

Per chiarire di Febo un motto oscuro.

ione

Parla: ché in tutto io vo’ servigio renderti.

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creusa

Odimi, dunque... Ah, mi trattien vergogna!

ione

È inetta Diva: a nulla approderai.

creusa

Stretta un’amica mia d’amor con Febo...

ione

Con Febo una mortale? Oh, piú non dire!

creusa

N’ebbe un pargolo; e suo padre nol seppe.

ione

Ma no, l’ebbe da un uomo; e n’ha vergogna.

creusa

Essa lo nega. E un tristo atto compie’.

ione

E come mai, se a un Nume ella soggiacque?

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creusa

Portò fuori di casa, espose il pargolo.

ione

E quel pargolo, ov’è? Vede la luce?

creusa

Niuno lo sa: perciò venni all’oracolo.

ione

Se piú non vive, in che modo scomparve?

creusa

Pensa che fiere ucciso abbiano il misero.

ione

Ed a qual prova s’affidò per crederlo?

creusa

Tornò dove l’espose; e piú non c’era.

ione

E c’era su la via stilla di sangue?

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creusa

Dice di no, per quanto il suol cercasse.

ione

E quanto tempo corse, dalla perdita?

creusa

Gli anni tuoi, se vivesse, appunto avrebbe.

ione

Empio quel Nume, e quella madre misera!

creusa

Né piú, dopo quel punto, ebbe altro figlio.

ione

Che rapito e nutrito il Nume l’abbia?

creusa

Chi gode solo un ben comune, è ingiusto.

ione

Ahi, questa sorte al mio dolore è cònsona.

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creusa

Anche te bramerà tua madre misera.

ione

Non ricordarmi un duol posto in oblio.

creusa

Taccio. L’ufficio compi onde io t'interrogo.

ione

Sai qual’è dei tuoi detti il punto debole?

creusa

E che, tapina, è in lei, che non sia debole?

ione

Svelar può il Nume ciò che vuol nascondere?

creusa

Sul tripode non sta per tutta l’Ellade?

ione

Onta di ciò che fece egli ha. Non chiedere.

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creusa

E doglie ha quella che patí tal sorte.

ione

Niun v'ha che possa a te dar quest’oracolo.
Se di tristizia nel suo tempio stesso
fosse Febo convinto, a chi ti desse
tale responso, un danno infliggerebbe.
Allontànati, o donna: ai Numi chiedere
ciò che ad essi fa scorno, non è lecito.
Della stoltezza attingeremmo il vertice,
se lor malgrado i Numi costringessimo,
le vittime sgozzando, o degli aligeri
spiando il volo, a dir ciò che non vogliono.
I beni a forza conquistati, o donna,
contro il voler dei Numi, util non recano.
Giova ciò sol che di buon grado accordano.

coro

Molti gli uomini son, molti gli eventi,
di varia forma; e avventurato in tutta
la vita, a stento trovi alcun degli uomini.

creusa

Né lí giusto, né qui, Febo, tu sei
verso l’assente, ond’io la causa pèroro.
Non salvasti tuo figlio, e lo dovevi,
né rispondi alla madre, e sei profeta,

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che dimande ti volge, affin che un tumulo
se non vive, gl’innalzi, e se ancor vive,
di sua madre al cospetto infine giunga.
Quando impedisce il Dio che quello io sappia
che bramo, è vano che ci siano oracoli.
Ma veggo, ospite, il mio sposo bennato,
Xuto: lasciato di Trofonio ha l’antro,
e viene qui. Di ciò ch’io dissi, nulla
ridire a lui, ché scorno a me non rechi
di segreti impacciarmi, e i detti miei
altri da come io svolti li ho, non corrano.
La femminil condizione, facile
non è, di fronte agli uomini: le buone,
se pratican le tristi, in odio vengono
anch’esse; tanta è la miseria nostra.
Entra Xuto.

xuto

Dei miei saluti le primizie accolga
primo, e s’allieti il Nume; indi tu, sposa.
Forse a temer t’indusse il mio ritorno?

creusa

No: pure ero in pensiero. E adesso, dimmi,
quale responso da Trofonio rechi?
Come daranno figli i nostri amplessi?

xuto

Non volle anticipar d’Apollo i detti:
sol disse ciò: che senza figli riedere
né io né tu dovremmo dall’oracolo.

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creusa

Madre di Febo veneranda, fausta
sia la nostra venuta, e in bene torni
l’amistà ch’ebbi con tuo figlio un giorno.

xuto

Cosí sia. Ma di Febo ov’è l’interprete?

ione

Io degli esterni: dei responsi interni
altri, che piú siedono presso al tripode,
fra i Delfi eletti, e l’indicò la sorte.

xuto

Bene. Quanto chiedevo or tutto so.
Entriamo dentro: poiché già la vittima
offerta dai foresti, innanzi al tempio,
dicono, cadde: e in questo dí, ch’è fausto,
del Nume consultar voglio i responsi.
E tu, del mirto i ramicelli, o sposa,
prendi, agli altari dei Celesti appressati,
e implora ch’io propizi rechi, dalla
casa d’Apollo, ai pargoli gli oracoli.
Entra nel tempio.

creusa

Lo farò, lo farò. Se vuole almeno
l’Ambiguo riscattar le colpe antiche,

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in tutto caro esser non può; ma come
brama, l’accoglierò: ch’egli è pur Nume.
Si allontana.

ione

Con quali detti oscuri al Nume allude
la stranïera, e sempre lo vitupera!
Per amor di colei, forse, per cui
l’oracolo consulta? O tace cose
che conviene tacer? Ma della figlia
d’Erettèo che m’importa? Ha con me forse
rapporto alcuno? Adesso vado, e verso
negli aspersorî, con le coppe d’oro,
rorida linfa. Ma convien ch’io biasimi
quello che Febo fa. S’unisce a forza
con le fanciulle, e le tradisce, e i figli
furtivamente procreati, lascia,
senza pensiero darsene, che muoiano.
Non imitarlo tu! Ma, fatto grande,
pratica la virtú. Vedete! Quando
tristo è un mortale, i Numi lo puniscono.
Bella giustizia! Voi, Numi, sancite
le leggi pei mortali, e siete i primi
a vïolarle? Se doveste un giorno
(non sarà mai, ma pure supponiamolo)
tu, Posidone, e tu, Giove, che reggi
il firmamento, rendere giustizia
dei soprusi d’amore a tutti gli uomini,
i vostri templi vuoti rimarrebbero
in poco d’ora. Ingiusti siete, quando
piú del vostro piacer che della cura

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dovuta a noi, pensier vi date. Giusto
non sarà, no, chiamare tristi gli uomini
che quanto ai Numi sembra bello imitano,
bensí quelli che a noi sono maestri.
Si allontana.