Esodo

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Euripide - Ione (413 a.C. / 410 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Esodo
Quarto stasimo Ione (Euripide)
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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Giunge in corsa affannosa Creúsa.

creusa

Inseguita, o mie ministre, sono all’ultimo supplizio:
fui tradita; e a morte m’ha condannato il voto pizio.

coro

Ben sappiamo in che sciagure ti ritrovi, in che cimento.

creusa

Dove fuggo? Ho districato dalle reti il piede a stento,
dalla morte son fuggita di nascosto; e giungo qua.

coro

Dove mai, se non sull’ara?

creusa

                                        A che mai mi gioverà?

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coro

Non si può dar morte a un supplice!

creusa

                                        Se lo vuol la legge stessa!

coro

Ti dovranno innanzi prendere.

creusa

                                        E uno stuol, vedi, s’appressa
di ministri armati e fieri.

coro

                                   Dunque siedi sull’altare:
il tuo sangue, s’ivi sopra t’uccidessero, espïare
poi dovrà chi ti die’ morte. Tu rasségnati alla Sorte.
Creusa si rifugia presso l’altare. Poco dopo giunge furibondo Ione, la spada in pugno, seguito da uno stuolo d’armati. Da principio parla senza aver vista Creusa.

ione

Padre Cefíso, tauriforme Nume,
quale vipera mai, qual dragonessa
è questa figlia tua, fiamme sprizzante
dalle pupille di sanguigno foco?
Ogni audacia è la sua, meno terribile
essa non è delle Gorgonie stille

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onde la morte m’apprestò. Ma fausto
un Dèmone trovai, prima di giungere
ad Atene, a morir sotto le mani
della matrigna: oh, qui, fra genti pronte
al mio soccorso, misurar potei
l’animo tuo, quale sciagura infesta
tu sei per me: ché nelle reti stretto,
all’Ade tu già mi spedivi.
Vede Creusa.
                                             Ah trista!
Vedete, inganno sopra inganno trama.
All'altare del Dio s’è stretta, e il fio
pagar non vuol dei suoi misfatti; ma
non ti potrà l’ara salvare, né
di Febo il tempio. La pietà che invochi
per te, meglio a me spetta, alla mia madre:
ché, se lontano è il corpo suo, nel cuore
impresso ho sempre il nome suo. Prendetela,
sicché strappare dalla intatta chioma
possano i ricci le Parnasie rocce
quando giú da una rupe ella precipiti.

creusa

D'uccidermi io ti vieto, e per me stessa,
e pel Nume di cui stiamo sull’ara.

ione

Tra Febo e te, che mai c’è di comune?

creusa

La mia sacra custodia al Nume affido.

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ione

E il suo fanciullo attossicar volevi?

creusa

Non dell’Ambiguo piú: di tuo padre eri.

ione

Sono del Dio, se padre è chi protegge.

creusa

Ti proteggeva: ora protegge me.

ione

No, che pia tu non sei, quale io fui sempre.

creusa

Volli un nemico del mio sangue uccidere.

ione

Non venni armato alla tua terra, no.

creusa

Certo! E bruciasti d’Erettèo la casa.

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ione

Con che vampe di fuoco? Con che fiaccole?

creusa

La mia casa occupata a forza avresti.

ione

Pel timor del futuro ardivi uccidermi?

creusa

Per non morir, se tu giungevi all’esito.

ione

Figli non hai: perciò m’invidi al padre.

creusa

Delle sterili spose i beni agogni?

ione

Terre mi die’, ch’ei conquistò, mio padre.

creusa

Qual su Atene diritto hanno gli Eòlidi?

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ione

Con l’armi, e non a ciance ei la fe’ libera.

creusa

Non può posseder terre, un mercenario.

ione

Mia dei beni paterni era una parte.

creusa

Sí, la lancia e lo scudo; e nulla piú.

ione

L’ara abbandona, e le divine sedi.

creusa

La tua madre consiglia, ov’ella trovisi.

ione

Morte vuoi darmi, e non avrai castigo?

creusa

Sí, se m’uccidi in questo luogo sacro.

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ione

Nel recinto del Dio morir t’è gaudio?

creusa

Darò cordoglio a chi mi dà cordoglio.

ione

Ahimè!
Strano è però quanto son poco giuste
le leggi che un Iddio pose ai mortali,
poco assennate: tollerare i tristi
non dovrebber gli altari, anzi scacciarli.
Giusto non è che s’avvicini ai Numi
un’empia mano. I giusti, allor che soffrono
qualche sopruso, seder vi dovrebbero,
non già, godendo uguale privilegio,
i buoni e quei che i Numi abbandonarono.
Dal tempio esce la sacerdotessa Pizia, recando un cestello avvolto in bende di lana.

pizia

O figlio, sta: del tuo padre fatidico
io, di Febo ministra, a queste soglie
venni: ché i riti dell’antico tripode
le Delfe donne a custodir m’elessero.

ione

Salve a te, madre che non m’hai concetto.

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pizia

Pure, cosí mi chiami; e a me non duole.

ione

Sai che costei la morte a me tramò?

pizia

Lo so; ma troppo tu sei crudo, e sbagli.

ione

Chi morto mi volea non debbo uccidere?

pizia

Son le spose ai figliastri ognor nemiche.

ione

Ed io, se il mal mi fanno, alle matrigne.

pizia

Basta. E, lasciato per Atene il tempio...

ione

Che cosa debbo far? Che mi consigli?

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pizia

Puro, con fausti auspíci in patria torna.

ione

Puro è ciascun che i suoi nemici uccide.

pizia

Non però tu. Ciò che ti dico ascolta.

ione

Parla. Amicizia ogni tuo detto ispira.

pizia

Questo panier fra le mie braccia vedi?

ione

Veggo, in bende ravvolto, un vecchio cofano.

pizia

Qui, nato appena, io ti raccolsi un giorno.

ione

Che dici? Nuovo è ciò che tu mi narri.

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pizia

Perché finor lo tacqui; ora lo svelo.

ione

E per sí lungo tempo a che nasconderlo?

pizia

Ministro al tempio ti voleva il Nume.

ione

Or non mi vuole piú? Come saperlo?

pizia

Per congedarti, il padre ei ti svelò.

ione

Perché mai lo serbasti? Avesti un ordine...

pizia

Il Nume ambiguo m’ispirò l’idea.

ione

Di far che cosa? Parla dunque, affréttati!

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pizia

Di serbare il cestello insino ad oggi.

ione

Ed io, vantaggio oppur danno ne avrò?

pizia

Vi son le fasce ascose in cui t’avvolsero.

ione

Della madre a me dunque indizi rechi.

pizia

Or che lo volle il Dio: prima non volle.

ione

Beato dí, che tanto io veder posso!

pizia

Prendilo: e a ricercar tua madre ingégnati.

ione

Asia tutta cercando, Europa tutta...

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pizia

Questo da te giudicherai. Nutrito
io t’ho fanciullo, per voler del Nume,
e il cestello ti do, ch’io di buon grado,
com’egli impose, presi, e lo serbai:
perché volle, non so. Ma niun sapeva
ch’io lo serbassi, e dove ascoso fosse.
Addio! Come una madre io ti saluto.
E comincia a cercar donde conviene
la madre tua: prima, se fu di Delfo,
qualche fanciulla che ti generò,
e poi t’espose in questo tempio: quindi
se fu d’Ellade. Ed ora, tutto avesti
da me, da Febo, ai casi tuoi partecipe.
Consegna il cestello a Ione.

ione

Ahi ahi, dagli occhi quante umide lagrime
verso, quando il pensier volgo a quel punto
in cui la madre mia, sposa di furto,
m’abbandonò nascostamente, e il seno
non m’offerse. E del Dio nel santuario,
privo di nome, al par di schiavo io crebbi,
ché amico il Dio mi fu, nemico il Dèmone.
Perché, quando io fra le materne braccia
goder dovevo, e vivere felice,
privato fui del latte della madre
mia prediletta; e, sciagurata anch’essa
che mi die’ vita, il dolor mio medesimo
patí, che priva del diletto fu
del suo bambino. Ed ora, questo cofano

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prendo, e lo reco quale offerta al Nume,
ch’io non vi trovi ciò che non desidero.
Che se la madre mia si trova ad essere
qualche fantesca, ritrovar la madre
è peggio che lasciar tutto in silenzio.
Si avvia per entrare nel tempio; ma quasi súbito si arresta.

Ma no, che faccio? Al buon voler del Nume
cosí contrasto, che serbar mi volle
i contrassegni della madre? Io debbo
farmi cuore, ed aprirli: e già, non posso
sfuggire al fato. O sacre bende, o lacci
ch’ogni mio ben custodivate, a che
vi celarono a me? L’arte vedete
del rotondo cestello, e come illeso
fu da vecchiezza, per voler divino,
né sugl’intrecci vedi muffa. E tempo
che il mio tesoro custodisce è molto.
Apre il cestello, e comincia a trarne il contenuto.

creusa

Oh, qual vista inattesa a me si scopre!

ione

Taci: di troppo anche già pria mi fosti.

creusa

Non consente il tacer ciò che m’avviene!
Non consigliarmi: ché il cestello io scorgo,

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dove io te, figlio mio, deposi, pargolo
senza parola, ne le Rupi lunghe
e nell’antro di Pane. E questo altare,
anche morir dovessi, or lascerò.
Abbandona l’ara, e si precipita verso Ione, per esaminare il cestello.

ione

Afferrate costei: balzò, dal Nume
resa delira, dall’altar, l’effigie
sacre lasciò. Le braccia sue legate.

creusa

Tener non mi potrete, anche uccidendomi,
che a questo cesto io non m’afferri, e a quello
che c’è dentro nascosto, e, figlio, a te.
Si afferra al figlio, e lo tiene stretto: sicché le guardie non possono afferrarla né colpirla.

ione

Ora io debbo suo schermo essere: è strano.

creusa

No, ché diletto ai tuoi diletti appari.

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ione

Ti son diletto? E mi volevi uccidere?

creusa

Se pur diletto ai genitori è un figlio!

ione

Lascia le trame: io ben saprò scoprirti.

creusa

Deh, fosse! È questo ciò ch’io bramo, o figlio!

ione

Vuoto è il cestello, o qualche cosa v’è?

creusa

Le tue vesti ci sono, in cui t'esposi.

ione

Puoi dire quali, pria che tu le vegga?

creusa

E se dir non lo so, voglio la morte.

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ione

Parla: ché strano è questo ardire tuo.

creusa

Vedi un ricamo ch'io fanciulla feci.

ione

Com’è? Ricami assai fanno le vergini.

creusa

Non perfetto: qual può chi all’arte è novo.

ione

Quale figura c’è? Qui non m’inganni.

creusa

Proprio in mezzo all'ordito c'è la Gòrgone.

ione

O Giove! Qual destino ora m’incalza?

creusa

Orlato è di serpenti, a guisa d’ègida.

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ione

Ecco il peplo ch’io trovo, ecco le fasce.

creusa

Dei miei telari o antica opra virginea!

ione

C’è altro? Oppure questo sol sai dirmi?

creusa

Due draghi: e tutte d’or brillan le fauci.

ione

Dono d’Atena, da fregiarne i pargoli?

creusa

Certo, ad esempio d’Erittonio antico.

ione

E l’aureo fregio, a che, dimmi, a quale uso?

creusa

Per portarlo, o mio figlio, al collo il pargolo.

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ione

Ecco i dragoni. Un terzo segno or dimmi.

creusa

Ti cinsi attorno un serto dell’ulivo
che dalla rupe germogliò d’Atene:
se ancora c’è, non ha perduto il verde,
ché divina è la pianta ond’esso crebbe.

ione

Madre sopra ogni cosa a me diletta,
t’ho pur veduta! E lieto sono adesso,
e tu lieta! Alle tue guance mi stringo.

creusa

O figlio, o luce per tua madre fulgida
piú del Sole — perdono il Dio m’accordi —
fra le braccia ti stringo, allor che piú
non speravo trovarti, e con Persèfone
già ti credevo, fra la morta gente.

ione

Fra le tue braccia, o madre a me diletta,
ecco, già morto, e non piú morto appaio.

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creusa

O gioia! O lucidi grembi dell’ètere,
qual voce emettere
dovrò, qual grido? Donde inatteso
ci giunse il bene?
Questa allegrezza, donde proviene?

ione

Tutto in mente potea, madre, venirmi,
e non già questo, che tuo figlio io fossi.

creusa

Tremo ancor di spavento.

ione

Forse di non avermi, or che tu m’hai?

creusa

Già da gran tempo ne avea la speme
deposta. Il pargolo
fra le tue braccia
onde, onde avesti, donna? Qual uomo
l’addusse al tempio del Dio lontano?

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ione

Opra divina fu! Deh, quanto miseri
prima, tanto or felici esser potessimo!
creusa

T’ho dato a luce non senza lagrime:
dalle materne braccia, fra gli ululi
fosti diviso:
ora, godendo, con soavissimo
tripudio, spiro presso il tuo viso.

ione

Di te parlando, anche di me favelli.

creusa

Priva di figli priva di pargoli
io piú non sono: la casa ha gli ospiti,
la terra i príncipi;
d’Erettèo giovine
torna la casa, del suolo prole:
verso le tènebre
non è piú volta, ma verso il sole.

ione

Madre, anche il padre qui venga, e partecipi
questi piacer che ho procurato a voi.

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creusa

Che dici? Oh, qual per me rampogna, o quale!

ione

Che dici?

creusa

                    D’altri tu sei figlio, d’altri!

ione

Ahimè! Fanciulla me bastardo avesti?

creusa

Non tra le danze non tra le fiaccole
furono, o figlio
gl’imenei, donde schiudesti il ciglio.

ione

O madre, ahimè! Da chi nacqui illegittimo?

creusa

Lo sa la Diva che uccise Gòrgone.

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ione

Che cosa hai detto?

creusa

Che nelle patrie mie rupi, il clivo
occupa dove crebbe l’ulivo.

ione

Non chiaro: oscuro è ciò che dici, oscuro.

creusa

A Febo, presso la rupe armonica
di rosignoli....

ione

                              Febo a che nomini?

creusa

A Febo un vincolo m’uní furtivo.

ione

Parla: un onore tu m’annunci, un giubilo.

creusa

Ed all’Ambiguo ne diedi, al mese
decimo il frutto, ma non palese.

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ione

Dolcissime parole, ove sian vere!

creusa

Con queste bende ch’io sopra i pettini
tessei virginei, t’avvolsi, o figlio.
Ma non io ti lavai, non t’ebbi meco
né mai suggesti il mio latte materno.
Ma degli aligeri nel vuoto speco
t’offersi ai rostri, vittima ed epula
da me gittato fosti all’Averno.

ione

Fu, madre, ardir crudele!

creusa

Nello spavento, figlio, irretita,
io feci getto della tua vita.
Contro mia voglia ti diedi a morte.

ione

E or or da me pativi un’empia sorte.

creusa

Ahimè, terribili fûr quegli eventi,
questi terribili! Siamo dall’una

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parte travolti nella disgrazia,
poscia dall’altra nella fortuna.
Mutano i venti,
ma calmi or posano: già lunga pezza
durâr gli affanni:
prospera, o figlio, soffia or la brezza.

coro

Dopo quanto seguí, nessuno reputi
che per gli uomini sian cose impossibili.

ione

Fortuna, o tu che mille e mille agli uomini
e di bene e di mal vicende alterni,
di quale scempio fui su l’orlo, uccidere
mia madre, e, senza colpa, il fio patirne!
Ahimè!
Tanto del Sol sotto i lucenti giri
in un sol giorno apprendere si può?
O madre, io te scoprii, dolce scoperta,
né la mia stirpe è tal ch’io mai la biasimi. —
Ma dire il resto a te, da solo a solo
desidero: vien qui: voglio parlarti
all’orecchio, e nasconder nelle tènebre
questa faccenda. Vedi un po’, se, madre
mia, non fossi incappata nella solita
colpa delle ragazze, che si sposano
di sotterfugio, e non avessi poi
data la colpa al Nume, per nascondere

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la mia vergogna, e detto ch’io di Febo
son figlio, e partorito a lui non m’hai.

creusa

No, per la Dea che sopra il carro armata
presso a Giove pugnò contro i Giganti,
per Nice Atena, padre alcun degli uomini
non t’è, ma Febo che ti crebbe, o figlio.

ione

E come mai suo figlio a un altro padre
diede, e dice ch’io son figlio di Xuto?

creusa

Figlio non già; ma il proprio figlio a Xuto
diede: all’amico può ben dar l’amico,
ché in casa poi signor gli cresca, il figlio.

ione

Fu veritiero il Nume, oppure il falso
vaticinò? Mi turba il dubbio, o madre.

creusa

Odi l’idea che m’è venuta, o figlio.
Per il tuo bene t’introdusse Apollo
in una nobil casa. Ove tu invece

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figlio del Nume fossi detto, erede
esser potuto non avresti, senza
nome di padre. E come, ov’io le nozze
tenni nascoste, anzi cercai d’ucciderti?
A un altro padre pel tuo ben ti diede.

ione

Non prenderò la cosa alla leggera;
ma nel tempio entrerò, consulterò
Febo, se figlio son suo, se d’un uomo.
Sul fastigio del tempio appare Atena.

Oh! Qual dei Numi all’odoroso tempio
il suo volto di sole in vetta mostra?
Fuggiamo, o madre mia, ché non dovessimo
veder dei Numi i proibiti arcani.

atena

Non fuggite: ché a voi non son nemica,
ma vostra amica; ed in Atene, e qui
quella io sono onde nome ha la tua terra:
Pàllade Atena. E qui son corsa in fretta,
per mandato d’Apollo: esso in persona
non credè bene giungere al cospetto
vostro, ché in ballo non tornasse il biasimo
di ciò che è stato; ed invia me, ch’esponga
ciò che vuol dire: che costei concetto
t'ebbe da Febo; e che t’ha dato il Nume
a chi t'ha dato, e che non è tuo padre,
per introdurti in una casa nobile;

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e poi che tutto si scoprí, temendo
che per l’insidie della madre tua
morir dovessi, e per le tue la madre,
con un’astuzia ti salvò: disposto
invece avea di tacer tutto il Nume,
ed in Atene di far sí che fosse
per madre tua costei riconosciuta,
tu per suo figlio, per tuo padre Apollo.
Ma per compire l’incombenza ond’io
strinsi al cocchio i cavalli, a voi gli oracoli
svelo del Nume. Uditemi. Creúsa,
questo fanciullo tu prendi, e di Cècrope
muovi alla terra, e sopra il trono insedialo:
ché ben degno è costui, nato dal sangue
d’Erettèo, di regnar su la mia terra.
E in Ellade sarà celebre; e i figli
nati da lui, da solo un ceppo quattro,
nome alla terra e alle tribú daranno,
fra cui diviso è il suolo mio rupestre.
Geleone sarà primo; secondo
Nel testo è una lacuna.

E gli Oplèti, e gli Argàdi, e la tribú
che dall’ègida mia deriva il nome,
degli Agicòri. E di costoro i figli,
popoleranno le città, nell’ora
che il Destino segnata ha, delle Cícladi,
e le spiagge marine, onde il mio suolo
gran forza avrà: d’entrambi i continenti
abiteranno le pianure opposte,
dell’Europa e dell’Asia; e il nome avranno
dal nome di costui, Ione, a gran gloria.
E comune tu e Xuto avrete prole:

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Doro, per cui detta sarà negl’inni
Dòride, la città: secondo Achèo
signor sarà della Pelopia terra
prossima al mare, al Rio d’accanto; e achèo
sarà, dal nome suo, chiamato il popolo.
E in tutto Apollo bene adoperò:
ché senza male in pria sgravar ti fece,
sí che agli amici ti celassi; e quando
poi partoristi ed esponesti il pargolo
entro le fasce, in braccio egli lo tolse,
a Ermete impose di recarlo qui,
né lasciò che spirasse, e lo nutrí.
E taci adesso tu ch’esso è tuo figlio:
serbi Xuto la sua dolce credenza,
e tu serba il tuo bene, o donna, e godine.
Salute a voi; ché d’ora in poi sollievo
vi predíco dei mali, e sorte prospera.

ione

O tu, Palla, che nascesti dal piú grande fra gli Dei,
ciò che dici, ascolto e credo: che d’Apollo e di costei
figlio son, credo; né prima pensai ch’esser non potesse.

creusa

Odi or me: dò lode a Febo, che il figliuol che pria neglesse
ora m’ha restituito: noi potei prima lodare.
Or del Nume questi oracoli, queste soglie or mi son care,
che già pria m’erano infeste: di buon grado ora al picchiotto
io m'appendo, ed alla porta di saluto volgo un motto.

[p. 264 modifica]


atena

Io ti lodo, ch’ài mutato, che il Dio lodi: anche tardiva
alla fin la man dei Numi mai di forza non è priva.

creusa

Figlio, entriam nel tempio.

atena

                              Entrate, ed io seguo l’orma vostra.

ione

Questa è assai nobile scorta.

creusa

                              Che ama Atena essa ben mostra.

atena

Sull’antico trono or siedi.

ione

                              Prezïoso è un tale acquisto.

Atena sparisce.

O di Giove e di Latona figlio, salve! E chi dai mali
vide oppressa la sua vita, non disperi, e agl’Immortali
presti onore: ché alla fine pur trionfa il buono; e il tristo
per virtú di sua natura, trionfar mai non fu visto.
Ione e Creusa entrano nel tempio. Il Coro abbandona l’orchestra.