Ione (Euripide)/Esodo
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Giunge in corsa affannosa Creúsa.
creusa
Inseguita, o mie ministre, sono all’ultimo supplizio:
fui tradita; e a morte m’ha condannato il voto pizio.
coro
Ben sappiamo in che sciagure ti ritrovi, in che cimento.
creusa
Dove fuggo? Ho districato dalle reti il piede a stento,
dalla morte son fuggita di nascosto; e giungo qua.
coro
Dove mai, se non sull’ara?
creusa
A che mai mi gioverà?
coro
Non si può dar morte a un supplice!
creusa
Se lo vuol la legge stessa!
coro
Ti dovranno innanzi prendere.
creusa
E uno stuol, vedi, s’appressa
di ministri armati e fieri.
coro
Dunque siedi sull’altare:
il tuo sangue, s’ivi sopra t’uccidessero, espïare
poi dovrà chi ti die’ morte. Tu rasségnati alla Sorte.
Creusa si rifugia presso l’altare. Poco dopo giunge furibondo Ione, la spada in pugno, seguito da uno stuolo d’armati. Da principio parla senza aver vista Creusa.
ione
Padre Cefíso, tauriforme Nume,
quale vipera mai, qual dragonessa
è questa figlia tua, fiamme sprizzante
dalle pupille di sanguigno foco?
Ogni audacia è la sua, meno terribile
essa non è delle Gorgonie stille
onde la morte m’apprestò. Ma fausto
un Dèmone trovai, prima di giungere
ad Atene, a morir sotto le mani
della matrigna: oh, qui, fra genti pronte
al mio soccorso, misurar potei
l’animo tuo, quale sciagura infesta
tu sei per me: ché nelle reti stretto,
all’Ade tu già mi spedivi.
Vede Creusa.
Ah trista!
Vedete, inganno sopra inganno trama.
All'altare del Dio s’è stretta, e il fio
pagar non vuol dei suoi misfatti; ma
non ti potrà l’ara salvare, né
di Febo il tempio. La pietà che invochi
per te, meglio a me spetta, alla mia madre:
ché, se lontano è il corpo suo, nel cuore
impresso ho sempre il nome suo. Prendetela,
sicché strappare dalla intatta chioma
possano i ricci le Parnasie rocce
quando giú da una rupe ella precipiti.
creusa
D'uccidermi io ti vieto, e per me stessa,
e pel Nume di cui stiamo sull’ara.
ione
Tra Febo e te, che mai c’è di comune?
creusa
La mia sacra custodia al Nume affido.
ione
E il suo fanciullo attossicar volevi?
creusa
Non dell’Ambiguo piú: di tuo padre eri.
ione
Sono del Dio, se padre è chi protegge.
creusa
Ti proteggeva: ora protegge me.
ione
No, che pia tu non sei, quale io fui sempre.
creusa
Volli un nemico del mio sangue uccidere.
ione
Non venni armato alla tua terra, no.
creusa
Certo! E bruciasti d’Erettèo la casa.
ione
Con che vampe di fuoco? Con che fiaccole?
creusa
La mia casa occupata a forza avresti.
ione
Pel timor del futuro ardivi uccidermi?
creusa
Per non morir, se tu giungevi all’esito.
ione
Figli non hai: perciò m’invidi al padre.
creusa
Delle sterili spose i beni agogni?
ione
Terre mi die’, ch’ei conquistò, mio padre.
creusa
Qual su Atene diritto hanno gli Eòlidi?
ione
Con l’armi, e non a ciance ei la fe’ libera.
creusa
Non può posseder terre, un mercenario.
ione
Mia dei beni paterni era una parte.
creusa
Sí, la lancia e lo scudo; e nulla piú.
ione
L’ara abbandona, e le divine sedi.
creusa
La tua madre consiglia, ov’ella trovisi.
ione
Morte vuoi darmi, e non avrai castigo?
creusa
Sí, se m’uccidi in questo luogo sacro.
ione
Nel recinto del Dio morir t’è gaudio?
creusa
Darò cordoglio a chi mi dà cordoglio.
ione
Ahimè!
Strano è però quanto son poco giuste
le leggi che un Iddio pose ai mortali,
poco assennate: tollerare i tristi
non dovrebber gli altari, anzi scacciarli.
Giusto non è che s’avvicini ai Numi
un’empia mano. I giusti, allor che soffrono
qualche sopruso, seder vi dovrebbero,
non già, godendo uguale privilegio,
i buoni e quei che i Numi abbandonarono.
Dal tempio esce la sacerdotessa Pizia, recando un cestello avvolto in bende di lana.
pizia
O figlio, sta: del tuo padre fatidico
io, di Febo ministra, a queste soglie
venni: ché i riti dell’antico tripode
le Delfe donne a custodir m’elessero.
ione
Salve a te, madre che non m’hai concetto.
pizia
Pure, cosí mi chiami; e a me non duole.
ione
Sai che costei la morte a me tramò?
pizia
Lo so; ma troppo tu sei crudo, e sbagli.
ione
Chi morto mi volea non debbo uccidere?
pizia
Son le spose ai figliastri ognor nemiche.
ione
Ed io, se il mal mi fanno, alle matrigne.
pizia
Basta. E, lasciato per Atene il tempio...
ione
Che cosa debbo far? Che mi consigli?
pizia
Puro, con fausti auspíci in patria torna.
ione
Puro è ciascun che i suoi nemici uccide.
pizia
Non però tu. Ciò che ti dico ascolta.
ione
Parla. Amicizia ogni tuo detto ispira.
pizia
Questo panier fra le mie braccia vedi?
ione
Veggo, in bende ravvolto, un vecchio cofano.
pizia
Qui, nato appena, io ti raccolsi un giorno.
ione
Che dici? Nuovo è ciò che tu mi narri.
pizia
Perché finor lo tacqui; ora lo svelo.
ione
E per sí lungo tempo a che nasconderlo?
pizia
Ministro al tempio ti voleva il Nume.
ione
Or non mi vuole piú? Come saperlo?
pizia
Per congedarti, il padre ei ti svelò.
ione
Perché mai lo serbasti? Avesti un ordine...
pizia
Il Nume ambiguo m’ispirò l’idea.
ione
Di far che cosa? Parla dunque, affréttati!
pizia
Di serbare il cestello insino ad oggi.
ione
Ed io, vantaggio oppur danno ne avrò?
pizia
Vi son le fasce ascose in cui t’avvolsero.
ione
Della madre a me dunque indizi rechi.
pizia
Or che lo volle il Dio: prima non volle.
ione
Beato dí, che tanto io veder posso!
pizia
Prendilo: e a ricercar tua madre ingégnati.
ione
Asia tutta cercando, Europa tutta...
pizia
Questo da te giudicherai. Nutrito
io t’ho fanciullo, per voler del Nume,
e il cestello ti do, ch’io di buon grado,
com’egli impose, presi, e lo serbai:
perché volle, non so. Ma niun sapeva
ch’io lo serbassi, e dove ascoso fosse.
Addio! Come una madre io ti saluto.
E comincia a cercar donde conviene
la madre tua: prima, se fu di Delfo,
qualche fanciulla che ti generò,
e poi t’espose in questo tempio: quindi
se fu d’Ellade. Ed ora, tutto avesti
da me, da Febo, ai casi tuoi partecipe.
Consegna il cestello a Ione.
ione
Ahi ahi, dagli occhi quante umide lagrime
verso, quando il pensier volgo a quel punto
in cui la madre mia, sposa di furto,
m’abbandonò nascostamente, e il seno
non m’offerse. E del Dio nel santuario,
privo di nome, al par di schiavo io crebbi,
ché amico il Dio mi fu, nemico il Dèmone.
Perché, quando io fra le materne braccia
goder dovevo, e vivere felice,
privato fui del latte della madre
mia prediletta; e, sciagurata anch’essa
che mi die’ vita, il dolor mio medesimo
patí, che priva del diletto fu
del suo bambino. Ed ora, questo cofano
prendo, e lo reco quale offerta al Nume,
ch’io non vi trovi ciò che non desidero.
Che se la madre mia si trova ad essere
qualche fantesca, ritrovar la madre
è peggio che lasciar tutto in silenzio.
Si avvia per entrare nel tempio; ma quasi súbito si arresta.
Ma no, che faccio? Al buon voler del Nume
cosí contrasto, che serbar mi volle
i contrassegni della madre? Io debbo
farmi cuore, ed aprirli: e già, non posso
sfuggire al fato. O sacre bende, o lacci
ch’ogni mio ben custodivate, a che
vi celarono a me? L’arte vedete
del rotondo cestello, e come illeso
fu da vecchiezza, per voler divino,
né sugl’intrecci vedi muffa. E tempo
che il mio tesoro custodisce è molto.
Apre il cestello, e comincia a trarne il contenuto.
creusa
Oh, qual vista inattesa a me si scopre!
ione
Taci: di troppo anche già pria mi fosti.
creusa
Non consente il tacer ciò che m’avviene!
Non consigliarmi: ché il cestello io scorgo,
dove io te, figlio mio, deposi, pargolo
senza parola, ne le Rupi lunghe
e nell’antro di Pane. E questo altare,
anche morir dovessi, or lascerò.
Abbandona l’ara, e si precipita verso Ione, per esaminare il cestello.
ione
Afferrate costei: balzò, dal Nume
resa delira, dall’altar, l’effigie
sacre lasciò. Le braccia sue legate.
creusa
Tener non mi potrete, anche uccidendomi,
che a questo cesto io non m’afferri, e a quello
che c’è dentro nascosto, e, figlio, a te.
Si afferra al figlio, e lo tiene stretto: sicché le guardie non possono afferrarla né colpirla.
ione
Ora io debbo suo schermo essere: è strano.
creusa
No, ché diletto ai tuoi diletti appari.
ione
Ti son diletto? E mi volevi uccidere?
creusa
Se pur diletto ai genitori è un figlio!
ione
Lascia le trame: io ben saprò scoprirti.
creusa
Deh, fosse! È questo ciò ch’io bramo, o figlio!
ione
Vuoto è il cestello, o qualche cosa v’è?
creusa
Le tue vesti ci sono, in cui t'esposi.
ione
Puoi dire quali, pria che tu le vegga?
creusa
E se dir non lo so, voglio la morte.
ione
Parla: ché strano è questo ardire tuo.
creusa
Vedi un ricamo ch'io fanciulla feci.
ione
Com’è? Ricami assai fanno le vergini.
creusa
Non perfetto: qual può chi all’arte è novo.
ione
Quale figura c’è? Qui non m’inganni.
creusa
Proprio in mezzo all'ordito c'è la Gòrgone.
ione
O Giove! Qual destino ora m’incalza?
creusa
Orlato è di serpenti, a guisa d’ègida.
ione
Ecco il peplo ch’io trovo, ecco le fasce.
creusa
Dei miei telari o antica opra virginea!
ione
C’è altro? Oppure questo sol sai dirmi?
creusa
Due draghi: e tutte d’or brillan le fauci.
ione
Dono d’Atena, da fregiarne i pargoli?
creusa
Certo, ad esempio d’Erittonio antico.
ione
E l’aureo fregio, a che, dimmi, a quale uso?
creusa
Per portarlo, o mio figlio, al collo il pargolo.
ione
Ecco i dragoni. Un terzo segno or dimmi.
creusa
Ti cinsi attorno un serto dell’ulivo
che dalla rupe germogliò d’Atene:
se ancora c’è, non ha perduto il verde,
ché divina è la pianta ond’esso crebbe.
ione
Madre sopra ogni cosa a me diletta,
t’ho pur veduta! E lieto sono adesso,
e tu lieta! Alle tue guance mi stringo.
creusa
O figlio, o luce per tua madre fulgida
piú del Sole — perdono il Dio m’accordi —
fra le braccia ti stringo, allor che piú
non speravo trovarti, e con Persèfone
già ti credevo, fra la morta gente.
ione
Fra le tue braccia, o madre a me diletta,
ecco, già morto, e non piú morto appaio.
creusa
O gioia! O lucidi grembi dell’ètere,
qual voce emettere
dovrò, qual grido? Donde inatteso
ci giunse il bene?
Questa allegrezza, donde proviene?
ione
Tutto in mente potea, madre, venirmi,
e non già questo, che tuo figlio io fossi.
creusa
Tremo ancor di spavento.
ione
Forse di non avermi, or che tu m’hai?
creusa
Già da gran tempo ne avea la speme
deposta. Il pargolo
fra le tue braccia
onde, onde avesti, donna? Qual uomo
l’addusse al tempio del Dio lontano?
ione
Opra divina fu! Deh, quanto miseri
prima, tanto or felici esser potessimo!
creusa
T’ho dato a luce non senza lagrime:
dalle materne braccia, fra gli ululi
fosti diviso:
ora, godendo, con soavissimo
tripudio, spiro presso il tuo viso.
ione
Di te parlando, anche di me favelli.
creusa
Priva di figli priva di pargoli
io piú non sono: la casa ha gli ospiti,
la terra i príncipi;
d’Erettèo giovine
torna la casa, del suolo prole:
verso le tènebre
non è piú volta, ma verso il sole.
ione
Madre, anche il padre qui venga, e partecipi
questi piacer che ho procurato a voi.
creusa
Che dici? Oh, qual per me rampogna, o quale!
ione
Che dici?
creusa
D’altri tu sei figlio, d’altri!
ione
Ahimè! Fanciulla me bastardo avesti?
creusa
Non tra le danze non tra le fiaccole
furono, o figlio
gl’imenei, donde schiudesti il ciglio.
ione
O madre, ahimè! Da chi nacqui illegittimo?
creusa
Lo sa la Diva che uccise Gòrgone.
ione
Che cosa hai detto?
creusa
Che nelle patrie mie rupi, il clivo
occupa dove crebbe l’ulivo.
ione
Non chiaro: oscuro è ciò che dici, oscuro.
creusa
A Febo, presso la rupe armonica
di rosignoli....
ione
Febo a che nomini?
creusa
A Febo un vincolo m’uní furtivo.
ione
Parla: un onore tu m’annunci, un giubilo.
creusa
Ed all’Ambiguo ne diedi, al mese
decimo il frutto, ma non palese.
ione
Dolcissime parole, ove sian vere!
creusa
Con queste bende ch’io sopra i pettini
tessei virginei, t’avvolsi, o figlio.
Ma non io ti lavai, non t’ebbi meco
né mai suggesti il mio latte materno.
Ma degli aligeri nel vuoto speco
t’offersi ai rostri, vittima ed epula
da me gittato fosti all’Averno.
ione
Fu, madre, ardir crudele!
creusa
Nello spavento, figlio, irretita,
io feci getto della tua vita.
Contro mia voglia ti diedi a morte.
ione
E or or da me pativi un’empia sorte.
creusa
Ahimè, terribili fûr quegli eventi,
questi terribili! Siamo dall’una
parte travolti nella disgrazia,
poscia dall’altra nella fortuna.
Mutano i venti,
ma calmi or posano: già lunga pezza
durâr gli affanni:
prospera, o figlio, soffia or la brezza.
coro
Dopo quanto seguí, nessuno reputi
che per gli uomini sian cose impossibili.
ione
Fortuna, o tu che mille e mille agli uomini
e di bene e di mal vicende alterni,
di quale scempio fui su l’orlo, uccidere
mia madre, e, senza colpa, il fio patirne!
Ahimè!
Tanto del Sol sotto i lucenti giri
in un sol giorno apprendere si può?
O madre, io te scoprii, dolce scoperta,
né la mia stirpe è tal ch’io mai la biasimi. —
Ma dire il resto a te, da solo a solo
desidero: vien qui: voglio parlarti
all’orecchio, e nasconder nelle tènebre
questa faccenda. Vedi un po’, se, madre
mia, non fossi incappata nella solita
colpa delle ragazze, che si sposano
di sotterfugio, e non avessi poi
data la colpa al Nume, per nascondere
la mia vergogna, e detto ch’io di Febo
son figlio, e partorito a lui non m’hai.
creusa
No, per la Dea che sopra il carro armata
presso a Giove pugnò contro i Giganti,
per Nice Atena, padre alcun degli uomini
non t’è, ma Febo che ti crebbe, o figlio.
ione
E come mai suo figlio a un altro padre
diede, e dice ch’io son figlio di Xuto?
creusa
Figlio non già; ma il proprio figlio a Xuto
diede: all’amico può ben dar l’amico,
ché in casa poi signor gli cresca, il figlio.
ione
Fu veritiero il Nume, oppure il falso
vaticinò? Mi turba il dubbio, o madre.
creusa
Odi l’idea che m’è venuta, o figlio.
Per il tuo bene t’introdusse Apollo
in una nobil casa. Ove tu invece
figlio del Nume fossi detto, erede
esser potuto non avresti, senza
nome di padre. E come, ov’io le nozze
tenni nascoste, anzi cercai d’ucciderti?
A un altro padre pel tuo ben ti diede.
ione
Non prenderò la cosa alla leggera;
ma nel tempio entrerò, consulterò
Febo, se figlio son suo, se d’un uomo.
Sul fastigio del tempio appare Atena.
Oh! Qual dei Numi all’odoroso tempio
il suo volto di sole in vetta mostra?
Fuggiamo, o madre mia, ché non dovessimo
veder dei Numi i proibiti arcani.
atena
Non fuggite: ché a voi non son nemica,
ma vostra amica; ed in Atene, e qui
quella io sono onde nome ha la tua terra:
Pàllade Atena. E qui son corsa in fretta,
per mandato d’Apollo: esso in persona
non credè bene giungere al cospetto
vostro, ché in ballo non tornasse il biasimo
di ciò che è stato; ed invia me, ch’esponga
ciò che vuol dire: che costei concetto
t'ebbe da Febo; e che t’ha dato il Nume
a chi t'ha dato, e che non è tuo padre,
per introdurti in una casa nobile;
e poi che tutto si scoprí, temendo
che per l’insidie della madre tua
morir dovessi, e per le tue la madre,
con un’astuzia ti salvò: disposto
invece avea di tacer tutto il Nume,
ed in Atene di far sí che fosse
per madre tua costei riconosciuta,
tu per suo figlio, per tuo padre Apollo.
Ma per compire l’incombenza ond’io
strinsi al cocchio i cavalli, a voi gli oracoli
svelo del Nume. Uditemi. Creúsa,
questo fanciullo tu prendi, e di Cècrope
muovi alla terra, e sopra il trono insedialo:
ché ben degno è costui, nato dal sangue
d’Erettèo, di regnar su la mia terra.
E in Ellade sarà celebre; e i figli
nati da lui, da solo un ceppo quattro,
nome alla terra e alle tribú daranno,
fra cui diviso è il suolo mio rupestre.
Geleone sarà primo; secondo
Nel testo è una lacuna.
E gli Oplèti, e gli Argàdi, e la tribú
che dall’ègida mia deriva il nome,
degli Agicòri. E di costoro i figli,
popoleranno le città, nell’ora
che il Destino segnata ha, delle Cícladi,
e le spiagge marine, onde il mio suolo
gran forza avrà: d’entrambi i continenti
abiteranno le pianure opposte,
dell’Europa e dell’Asia; e il nome avranno
dal nome di costui, Ione, a gran gloria.
E comune tu e Xuto avrete prole:
Doro, per cui detta sarà negl’inni
Dòride, la città: secondo Achèo
signor sarà della Pelopia terra
prossima al mare, al Rio d’accanto; e achèo
sarà, dal nome suo, chiamato il popolo.
E in tutto Apollo bene adoperò:
ché senza male in pria sgravar ti fece,
sí che agli amici ti celassi; e quando
poi partoristi ed esponesti il pargolo
entro le fasce, in braccio egli lo tolse,
a Ermete impose di recarlo qui,
né lasciò che spirasse, e lo nutrí.
E taci adesso tu ch’esso è tuo figlio:
serbi Xuto la sua dolce credenza,
e tu serba il tuo bene, o donna, e godine.
Salute a voi; ché d’ora in poi sollievo
vi predíco dei mali, e sorte prospera.
ione
O tu, Palla, che nascesti dal piú grande fra gli Dei,
ciò che dici, ascolto e credo: che d’Apollo e di costei
figlio son, credo; né prima pensai ch’esser non potesse.
creusa
Odi or me: dò lode a Febo, che il figliuol che pria neglesse
ora m’ha restituito: noi potei prima lodare.
Or del Nume questi oracoli, queste soglie or mi son care,
che già pria m’erano infeste: di buon grado ora al picchiotto
io m'appendo, ed alla porta di saluto volgo un motto.
atena
Io ti lodo, ch’ài mutato, che il Dio lodi: anche tardiva
alla fin la man dei Numi mai di forza non è priva.
creusa
Figlio, entriam nel tempio.
atena
Entrate, ed io seguo l’orma vostra.
ione
Questa è assai nobile scorta.
creusa
Che ama Atena essa ben mostra.
atena
Sull’antico trono or siedi.
ione
Prezïoso è un tale acquisto.
Atena sparisce.
O di Giove e di Latona figlio, salve! E chi dai mali
vide oppressa la sua vita, non disperi, e agl’Immortali
presti onore: ché alla fine pur trionfa il buono; e il tristo
per virtú di sua natura, trionfar mai non fu visto.
Ione e Creusa entrano nel tempio. Il Coro abbandona l’orchestra.