Io cerco moglie!/XVI
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XVI.
CANI E GATTI.
Il giorno ventisei del mese di maggio ho preso possesso della villetta. Vi trovo madre figlia e servetta che sfaccendano ancora nelle ultime operazioni di raddobbo.
La mia presenza, di perfetto gentleman, incute un po’ dì soggezione.
— Ci dispiace che ci trovi così — dice la signora, — ma gl’inquilini che c’erano prima, hanno lasciato una casa, una casa....
Mi fa poi osservare la disposizione delle camere; ma a me importa la sua disposizione. Solida! Anzi dirò che se fosse messa con civetteria e non dovesse diventare mia suocera, vagheggerei che ella non fosse uno dei casi di fedeltà coniugale debitamente constatati.
Mi dice:
— Questa camera, la più grande, la riserbiamo per la sua signora madre.
— Perfettamente.
— E adesso, Oretta, bambina mia, dà al signore la consegna. Hai fatto per benino la nota di tutto? Sa, per regolarità.... Lei, se vuole, può confrontare.
Lodo la sua regolarità amministrativa, ma presento la mano guantata: — Prego.
In quella occasione sento per la prima volta la vocina della signorina Oretta:
— Sì, mamà, — e levò dalla tasca del grembialetto un foglio piegato in quattro, e mi porse la lista degli oggetti casalinghi consegnati, oggi, ventisei maggio, al signor....
— Ci manca il nome che non lo sapevo.
— Cavalier Ginetto Sconer.
È un po’ mortificata.
Il mio sguardo penetrante passa dalla lista degli oggetti casalinghi, bicchieri, piatti, posate, alla lista del di lei volto: capelli, naso, bocca, ecc.
Ma ella non resiste a lungo al mio esame: i suoi occhi devono essere di quelli secondo la prescrizione del dottor Pertusius perchè si turbano subito, e dice:
— Scusi bene, se non è scritto bene....
— Oh, benissimo. Bicchieri, piatti, posate.
Certo non è quella scrittura vibrante delle signorine della buona società: è una scritturina come lei, e anche la voce è come lei: una tranquilla cantilena, un po’ provinciale. Il volto è regolare, anche troppo, perchè non ha nessuno di quei motivi decorativi su cui il desiderio si impiglia. È così liscio che anzi il desiderio vi scivola. Gli occhi non hanno specialità: due semplici occhi! Il petto non offre rilievi visibili: ma certamente si formerà, perchè la madre autorizza le più lusinghiere speranze.
Molto notevoli sono invece i capelli di un nero nubian. Se non fossero lì, tirati, tirati, se ne potrebbero ricavare effetti di primissimo ordine.
“Ci sarà molto da fare per ridurvi all’altezza della situazione, il giorno in cui anche voi, signorina Oretta, amabile oggetto casalingo, sarete regolarmente consegnata al cavalier Ginetto Sconer„; ma in questo punto delle mie meditazioni sento qualche cosa che mi fruga dietro, sui calzoni.
— Eh, ma cosa c’è? — dico facendo un salto indietro.
Una testa tremenda era attaccata ai miei calzoni. Era un cane di proporzioni colossali.
— Oh, non fa niente, signore; Leone, Leone, vieni qui.
(È il cane della signorina. Veramente, non mi sarei pensato che anche questa signorina avesse la specialità del cane).
— Non è mica pericoloso quest’animale?
— Oh, tanto buono, tanto intelligente. Leone, vedi il signore? Ricôrdati, Leone, che devi essere molto educato col signore.
La signorina Oretta parla così al suo cane con molta grazia; e sorride. Veramente prima aveva riso del mio spavento.
Il bestione non mi sembra bene intenzionato.
L’episodio sgradevole mi ha permesso però di osservare che la signorina è fornita di magnifica dentatura e, quando ride, le si chiudono gli occhietti e le si apre la bocca.
Mamma e figlia se ne vanno con il cane Leone, attaccato al grembiale della signorina.
Rimane la servetta con la quale ispeziono meglio la nuova abitazione. Molto campestre. Il gabinetto poi è in istato, direi, primitivo.
— Vedete, ragazza mia, lo stato dei gabinetti è quello che permette di rilevare il grado di civiltà dei popoli. Io, nella casa di mia proprietà a Milano, ho in ogni appartamento due closets: uno per i signori, l’altro per le persone di servizio....
Ma le mie parole svegliano nella servetta una ilarità infrenabile. Dice: — Come se ci fosse una differenza....
— Non si ride così davanti a Ginetto Sconer!
Ma ella proseguì a ridere lo stesso: — Ringrazi piuttosto se trova la casa così! È da tre giorni che lavoriamo. Lei deve sapere che per gli inquilini che c’erano prima, era tutto un gabinetto. Guardi il giardino, che ci avevamo messi tanti bei fiori, in che stato è ridotto! C’erano quattro diavoli scatenati di bambini che, con la scusa che adesso c’è la guerra, facevano i tedeschi, rovinando tutto.
*
Ho dormito nella nuova abitazione. Il letto è un po’ sconquassato e le lenzuola un po’ ruvide; però mandavano un odorino di roba fresca che mi rassicurò. Sono stato un po’ in ascolto se sentivo zanzare. Perchè, dico, è una cosa indecente che un uomo sia come una botte di sangue a disposizione di un animalino che va e viene tutta la notte e vi prenda in giro col suo ronzio! Non sentendo zanzare, mi sono subito addormentato.
La notte è passata tranquilla, ma al mattino presto, sul più bello del sonno, un gatto mi ha svegliato. Bisognava sentire che miagolii! e poi me lo vedo entrare in camera con la coda dritta, tutto spelato, con due occhi e la gola aperta proprio verso di me. Ma questa è la casa delle bestie! “Gnau, gnau!„ “Cosa vuoi? Via!„ Macchè! “Adesso mi monta sul letto.„
Mi è venuto un pensiero spaventevole: “È un gatto arrabbiato!„.
Mi butto giù dal letto, trincerato a buon conto da tutte le coperte, e munito del candeliere di ottone. Riesco a respingere il gatto e barricare la porta.
Riprendo il sonno.
Al mattino fatto viene la Lisetta, e dice: — Che bel sole, eh? — ma io le racconto la storia del gatto.
— Una gatta. È un regalo lasciato dagli inquilini di prima. Povera bestia! Non ha trovato più nessuno in casa, ed è rimasta affamata.
— Ma voi avevate il dovere di spazzare via quella bestiaccia. Che diamine! Io le darò da mangiare una pillola di stricnina.
— Non lo faccia, signore! Sa che ammazzare una gatta che dà il latte, porta disgrazia?
— Dà il latte?
— È il mese di maggio, e la gatta ha fatto i gattini. Ecco qui la colazione.
La Lisetta aveva una tazza di zuppa per la gatta.
— Ma voi siete così tenera con le bestie?
— È la signorina.
*
La Lisetta rassetta la camera. Mi pare abituata ad una pulizia molto sommaria; per lo meno molto a secco. Ah, i miei mobili, i miei parquets lucidi, odorosi di trementina!
— No, no. Quelle cose lì lasciatele stare: metto in ordine io. — Ma lei non se ne discosta. — Sono i miei arnesi di toilette.
— Quanta roba! — esclama. — Questo scatolino cos’è?
— L’ongloir.
— E questo cosino?
— Il polissoir. La tenuta delle unghie — dico con intenzione — distingue la rispettabilità delle persone.
— Oh, guarda che belle forbicine!
— Lasciate stare: per le vostre mani non servono.
L’uso dello spruzzatoio lo capì subito, e cominciò a pompare con soddisfazione: — Come sa di buono!
— Fate, fate, ragazza mia, ma prima dei profumi, sono indispensabili molte abluzioni intime e profonde. A proposito, se invece di contemplare i miei arnesi di toilette, mi portaste un po’ d’acqua....
— C’è lì la brocca e il catino.
— Molta acqua, molto più acqua.
— Allora dica che lei vuol fare un bagno.
— Come si potrà: à la guerre comme à la guerre. Voi, Lisa, e forse non voi soltanto, non potete imaginare la gioia del bagno. Un mio amico, che per una crisi economica dovette sostare per qualche settimana a Regina Cœli, mi confessava che la sua maggior sofferenza era stata quella di non aver potuto fare il bagno la mattina.
La Lisetta torna su, dopo un po’ d’attesa, con due secchi che traboccano.
— L’acqua è in fondo al pozzo, e il pozzo è cupo, — dice.
— Ah, povera Lisetta! Ma parliamo d’altro. Voi avete qualche notizia su l’effetto che la mia persona ha prodotto ieri?
Lisetta mi assicura che io ho prodotto un grande effetto, perchè la signorina le ha raccomandato di fare molto bene la pulizia.
— E non ha detto niente in particolare?
— Ha detto: “Quando vai da quel signore, mettiti il grembiale bianco„.
— Vedete, Lisetta? La vostra padroncina ha prevenuto quello che io stavo per dirvi. Credete: voi con un bel grembialino bianco; la vostra capigliatura un poco più ravviata, e sopra una cuffiettina bianca; le vostre braccia nude, e preventivamente insaponate insieme con le mani, fareste tutt’altro effetto....
— La livrea delle serve? — esclamò Lisetta. — Ah, mai!
— Pregiudizi, ragazza mia. Chi non porta una livrea? Anch’io indosso qualche volta il frac; l’abito, del resto, più semplice che vi mette allo stesso livello con un ministro, col papa, col re, come con voi.
Se ne andò infine; ed io stavo davanti allo specchio ultimando la mia toilette con un semplice vestito di sana democrazia, quando una voce mi fece trasalire.
Era ancora Lisetta. Un po’ seccante, in verità.
— Ah, che uomo straordinario è mai lei, signore!
— Perchè?
— Perchè non ho mai veduto farsi la cravatta così bene. La tocca, ci dà dei colpettini delicati delicati, qua e là. Pare che fasci un bambino.
— Il modo di portar le cravatte è il vero cibolet delle persone distinte. Avete mai visto simili cravatte? Senza fodera, mia cara, e tutta seta. Hanno un’altra anima le cravatte di tutta seta. E queste camicie le avete mai viste?
— Ah, signore! Tutta seta anche le camicie. E questi bottoncini sono brillanti veri? Mai visto un signore così.