Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/Governatori

Governatori

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Sonetti filosofici I Mascheroni
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GOVERNATORI.

(per sua eccellenza.)


Il veneto rappresentante.


O real fiume, che all’adriaca sponda,
E a quel mar torni onde principio avesti;
Poichè noi d’ogni ben ricchi facesti
Colla tua pura salutifer’onda;
Ascolta di che plauso a te risponda,
La Terra dove il tuo corso volgesti;
Qual l’uno e l’altro fiume onor ti presti.
Che dell’Orobia il suol bagna e circonda.
Altri t’ammira per l’augusta fonte;
Altri per l’acque dolci, e per l’immago
D’alma eguaglianza che ti splende in fronte:
Noi, perchè quasi Nil salvi il terreno,
E perchè lasci, qual novello Tago,
L’arene d’oro alle provincie in seno.


Per alto rappresentante.


Seguir per balze il gregge e per dirupi,
Pascerlo sempre di salubri erbette;
Cacciar le serpi ne’ lor antri cupi,
Perchè il velen non lo corrompa e infette;
In guardia star degli insidiosi lupi,
Cui la fame crudel in giro mette;
Scorrer ampie foreste, ascender rupi;
Poi sul dorso portar care agnellette.
Questa è, Ottolin, tua soma; al di cui pondo
Tu vedresti incurvar gli omeri Atlante:
Atlante che sostien l’etereo mondo.
Ma te, non mai di pensier saggi scarco,
Veggio correr la via quasi gigante;
Nè ti ritarda il passo il grave incarco.


Per partenza di podestà Cornaro.


Ah perchè mal si presto, invida stella,
Giri il tuo corso e il tuo dono ripigli?
Perchè il Cornaro di lasciar consigli
Bergamo, un dì per lui si lieta e bella?
Se del mio lagrimare in Ciel novella
Giunge, ah sospendi, e che si fermi digli:

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Chè lasciar anzi tempo i mesti figli,
Ben in un padre crudeltà s’appella.
Così pur or, da’ suoi colli, piangeva
Bergamo; e afflitto il Serio oltre l’usato,
Di sue lagrime gonfio al mar correva:
Ma alcun le disse: E non ti fu lasciato
Cornar più ch’altri? Accusa, pur diceva,
L’error della tua gioja e non il fato.


Per il rappresentante Contarini.

(1780.)


Signor preclaro, che all’Adriaca sede
Pien di bell’opre e d’alto applauso torni;
In oscuri cangiando i chiari giorni,
Che propizio destin veder ne diede.
Ben d’ogni pregio ti mostrasti erede,
Onde fur gli avi tuoi ricchi ed adorni:
Sì che in ogni atto agl’insubri contorni
Del nome Contarin facesti fede.
Or che farà, per eternare in carte,
E in bronzi e in marmi il suo Pretor, la mesta
Bergamo sconsolata, in suo lamento?
Il tuo bel nome incida in ogni parte:
Chè sarà, solo ancor, delle tue gesta,
Il nome Contarin chiaro argomento.


Per S. E. Contarini creato cavaliere.

(1784.)


Signor preclaro, che l’Adriaca sede
Non che te stesso del bel fregio adorni.
Lascia che a’ plausi tuoi Bergamo torni;
Bergamo, che tua figlia ancor si crede.
Pria ti vid’ella d’ogni vanto erede.
Che brillò ne’ grand’avi a’ prischi giorni;
Sì che in ogni atto agl’insubri contorni
Del nome Contarin facesti fede.
Poi d’aspro duolo al tuo partir compresa,
Lungo tempo accusò la sorte dura,
I suoi doni a rapir si presto intesa.
Or della nuova gioja entrando a parte,
Nelle sue che tu ornasti eccelse mura.
Mostra il tuo nome inciso in ogni parte.


Per il medesimo cavalier Contarini.

(in nome del signor dall’era.)


Quando la bella Cipro al ciel sì cara,
Per sovrano destin cangiò fortuna,

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E sotto l’ombra della curva Luna
Eclissò tanta gloria al mondo chiara;
In un drappello ogni virtù più rara,
Lungi fuggendo dall’antica cuna,
Si rivolse alla Veneta laguna,
Saldo di libertà rifugio, ed ara.
Dunque, o guerrier Leon, e che perdesti?
Grande ne’ tuoi gran figli ancora sei;
Gloria maggior di quella ah! non avesti.
Mira l’inclita stirpe Contarina,
Come splende immortale! obblia per lei,
Obblia di morte la fatai rapina.


In lode di podestà.

(1771.)


Quella virtù che l’uomo all’uomo arrende,
E dall’uffizio umanità s’appella;
E in chi per dignità sovr’altri ascende,
Nel discendere suo sembra più bella:
Quanto fra l’altre in te chiara risplende,
Giacomo, agli atti, e in tua dolce favella!
Quanto, unito a rispetto, amore accende,
Mentre tua stessa maestade abbella!
Essa eterno scolpì nel nostro petto
Di quanti in bronzo ed or, si vider mai
Simulacro di te ben più perfetto.
Con tue vive maniere in quel tu stai,
Con cui, benchè lontan, del nostro affetto.
Dolce come sinor preda farai.


per ingresso

di procuratore di San Marco.


Mentre in Andrea del mar l’alta reina
Oggi col premio la virtù misura:
Dalla somma del ciel parte più pura,
Marco lo sguardo approvatore inchina.
Tale, dice, alle mie sempre destina.
Ch’io la guardia sarò delle tue mura,
E presteremci entrambi alterna cura;
Tu quella de’ tuoi figli, io la divina.
Vivi, città diletta: e all’onor mio
Prepara, ed al divin, novi sostegni:
Questo è il tuo primo onor, questo de’ figli.
Vivi e conserva il tuo pregio natio:
Onde dal plauso, che assecura i regni,
Sian lodati nel cielo i tuoi consigli.


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Per un procuratore di San Marco.

(per merito.)


O nuovi germi di famose piante,
Dell’Adriaca città delizia e cura;
Da cui difesa più che d’alte mura
Spera, e sostegno alle sue leggi sante;
Perchè dietro a virtute il piè costante
Corra a messe d’onore alta e sicura;
Nè questa invidiar possa, o la ventura
Età, alla scorsa le sue glorie tante;
Mirate i veri eroi, come Adria onora.
Nè si scorda ella già, siccome un giorno
Atene ingrata, de’ suoi chiari figli.
Grande qual prima, e più robusta ancora,
Crescer così vedrassi ognor d’intorno
Gl’incliti eroi dell’armi e de’ consigli.


in lode

di S. E. il nobil uomo Alvise Contarini.

Podestà e Vice-Capitanio di Bergamo.

per l’obelisco in piazza della legna, 1781.


Tu, che all’Orobie mura affretti il piede,
Leggi le note in questo marmo incise;
Mira le care immagini indivise,
Ove lieto si specchia Amore e Fede.
Questi, ch’alta virtù spirar si vede,
Le leggi vendicò, l’empio conquise;
Questa, cui sì natura e cielo arrise,
A’ miseri pregò grazia e mercede.
Al tuo, donde partisti estranio suolo,
Riporta il grido di sì chiari gesti,
Se fama pur non ti precorse a volo;
Ma, se natale in queste piaggie avesti,
Ah china gli occhi, e non mirar; chè solo
Qui ti puoi rammentar quanto perdesti.


per i lumi accesi di notte nella città di bergamo

provvedimento di S. E. Lionardo Valmaran Capitanio,

27 marzo 1789.


Quante splendon per te vive fiammelle
Nei cupi orror della maligna notte,
Lucide come un ciel seren di stelle,
Sull’Orobia, o Signor, da te condotte;

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Tante altre insidie dissipate e rotte;
Tanti inciampi sottratti al piede imbelle;
Tante rapaci mani, e d’oro ghiotte,
Veggo alle porte perdonar per quelle.
O chiare faci, del vegliante sguardo.
Che in un girar v’accese, immagin liete;
Vi saluta il mattin più lento, e tardo.
Pace vi nutre di sue pingui olive.
Deh propizie al riposo e sacre, ardete
Al nume tutelar di queste rive!


Per S. E. Girolamo Zustinian.

(1785.)


Signor, chi il vostro gentil cor non vede
Ne’ vostri occhi brillar, nelle parole.
Costui non vede a mezzogiorno il Sole;
Costui nacque senz’occhi, o senza fede.
Chi alla fama comun di voi non crede.
Venga a mirar cose inaudite e sole:
Vedrà fra quanti lampi apparir suole,
Cortesia che in un cor regina siede.
Se un astro perde i rai per troppa altezza;
In voi vedrà, quanto più d’alto move,
Tanto risplender più grazia e dolcezza,
E sentirà, se non è marmo o pietra.
L’alma e i sensi rapirsi in guise nuove.
E quante fibre amor passa e penetra.


Per S. E. Girolamo Zustinian podestà

Nella visita fatta insieme colla nobile Deputazione agli acquedotti pubblici, 1784.

Questa, un tempo del mar creduta figlia,
Nata dal ciel pietoso, onda perenne,
Che al cittadin, da cui suo corso tenne,
Conduce di ruscei lunga famiglia;
Or che le volge il gran Pretor le ciglia;
E fargli specchio in sì bel giorno ottenne,
Il corso per piacer quasi ritenne,
Ed obliò le sotterranee miglia.
O venuta dal mar limpida fonte,
In te si specchia, e nel tuo sen rimira
Tante al pubblico ben vene già pronte.
Essa nel Foro ancor verratti innanti;
E dove ognun più tue grand’opre ammira.
T’accrescerà col reco plauso i vanti.


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Per S. E. Girolamo Zustinuan podestà

quando assistè all’incendio della casa del signor Cortenovis, 1784.


Nelle buje di notte ore tranquille,
Vulcan trovato pascolo, fremente
Alta mole struggeva; e di faville
Temean più tetti il vortice rovente.
E tu, Signor, più che da rauche squille
Destato dall’amore, eri presente.
Dimentico per te, sol per noi mille
Cure affannose ti struggean la mente.
Ah, gridavi fra noi misto e confuso,
Sol conosciuto al tuo paterno affetto:
Ogni arte ora, ogni man si ponga in uso.
Gran Pretor, se men pronto alcun ti parve,
Fu lo stupor del novo esempio eletto:
Fu tua virtù che sì lucente apparve.


detto in occasione che s. a. r. l’arciduca fedinando

udì la lezione, li 4 marzo 1788.


Immortal ramo dell’augusta pianta,
Che tanti regni di sue frondi onora;
Dove aver nido l’aquila si vanta;
Nume d’Insubria, che fedel t’adora;
Mentre la destra del fratel, che tanta
Move percossa sui confin d’aurora,
La curva Luna d’atre nubi ammanta,
E Bisanzio real turba e scolora;
Tu pur cinto di raggi, amabil nume.
Ai gravi studi, e all’arti anima infondi,
Colla presenza del tuo caldo lume.
Vedi il ciel1 che s’allegra; e i dì giocondi
Per te dispensa; e pronta, oltre il costume,
Sveglia omai primavera e fiori e frondi.

Note

  1. Si fe’ sereno il cielo nel giorno appunto che il R. Arciduca arrivò in Pavia, essendo dirottamente in addietro piovuto.