Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/I Mascheroni
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I MASCHERONI.
Recitati nell’Accademia degli Affidati, li 25 gennajo 1788.
Ottave.
Canto dei mascheron l’origin bella
(Lungi, volgo profan, che sempre ridi),
E l’antica lor gloria, e la novella;
4Se vi sarà chi del mio dir si fidi.
Monna Talia, di Febo alma sorella,
Il tuo favor questi miei versi guidi.
Dammi i pensier dammi lo stil sublime,
8E sul rimario trovami le rime.
Tu l’Elicona in maschera passeggi,
La Commedia ordinando in festa e in riso.
Il soverchio splendor così correggi,
12Ovver qualch’altra cosa del tuo viso.
T’hanno offerto le Grazie un de’ lor seggi,
Nè ti han le Muse mai da lor diviso:
Tanto piace la maschera, che cavi
16Sol quando in Ippocrene il viso lavi.
A qualche sollazzevol mascherata
Io potrei farvi, o miei Signori, invito;
Dove ognun tien allegra la brigata,
20Con sembiante gentil di nuovo rito,
Pazzie facendo tutta la giornata.
l’osso ancora condurvi in altro sito,
Pieno di mascheroni adorni e lieti,
24E v’assicuro, che staran quieti.
Deh! cortesi uditor, meco venite
In qualche gran palagio, in qualche sala,
Dove di sè fan mostra insieme unite,
28Pittura e Architettura in tutta gala.
Porte e finestre di bei marmi ordite,
Insigne galleria, superba scala,
Si può appena veder, che non s’ammanti
32Di molti mascheron varj e galanti.
Quell’architrave a mio fratel s’appoggia.
Ahi, che geme il meschin sotto l’incarco!
Sostengon gli avi miei quell’alta loggia,
36Quei che primi insegnaro a far San Marco.
Tocca al degno nipote, in nuova foggia,
Assicurar la spinta di quell’arco.
Serie persone, che ti fanno ridere,
40E dai pensieri d’amor l’alma dividere.
Roma superba le fontane sue
Senza il casato mio non seppe porre.
Per quelle bocche, a larghi rivi in giue
44A comun beneficio acqua trascorre.
Dove una è poco, se ne metton due:
E un bel problema si potria proporre
A tutte l’Accademie oltramontane:
48Trovare un mascheron per due fontane.1
Dove di Tizïan spiran le tele:
Dove di Michelangelo i colori;
Dove incanta gli sguardi Raffaele;
52I mascheron, come in aprile i fiori.
Spiegano la lor pompa a piene vele.
Fateci riverenza, o miei Signori,
Questi non son della medesma razza
56Dei vili e brutti mascheron di piazza.
Un piange, e l’altro ride in grazia vostra:
Un bello al par d’un pomo il naso porta:
Un dell’immensa bocca apre la chiostra;
60Un la fa quadra a guisa d’una porta;
Un le due file de’ bei denti mostra;
Un caccia al mento la linguaccia storta:
In questo assai si lodano le orecchie:
64In quel le grinze delle brutte vecchie.
Sorgi, mia Musa, a più sublime impresa;
Chè il volgo petulante non ti spregi.
La sovrumana origine palesa
68De’ si gentili mascheronei fregi.
Fa chiaro or tu, come da Giove appresa
Abbian l’usanza gran signori e regi
D’ornar di tai beltà quadri ed arazzi,
72Fontane, torrïon, ville e palazzi.
Il palazzo di Giove anticamente,
Prima che diroccasse, era sì vasto,
Che insiem coi Dei della più alta gente,
76Che vi voleano star con tutto il fasto.
Anco potea capir comodamente
La canaglia minor senza contrasto.
Era Dorico-Jonico, ed un piano
80Vi si vedeva d’ordine Toscano.
Interiormente, ne’ saloni immensi,
Tutto dal Tintoretto era dipinto.
Vedeansi i fier Giganti orridi e densi
84Un monte aver di monti al ciel sospinto.
E poi da Giove fulminati e accensi,
Chi star sotto il Vesuvio arso ed avvinto,
E chi tanto cader sotto l’inferno,
88Quant’è alto da terra il ciel superno.
Ne’ gabinetti suoi l’altera Giuno
Avea dipinta la Trojana guerra.
Vulcan, Marte ed Apollo, avea ciascuno.
92Poste in quadri lor gesta in cielo e in terra
Avea piene le stanze il gran Nettuno
Di paesetti che il mar cinge e serra:
E ad olio a ciascun nume avea pur fatto
96Quel divino pennello il suo ritratto.
Tralascio di Scoltura altri prodigi.
De’ quai forse a nessuno importerà:
E dico che in la stanza, ove i vestigi
100Dovea arrestar la bassa umanità,
C’eran d’ultima moda di Parigi,
Sparse maschere mille qua e là.
Sui comò, sui tremò, sui canapè.
104Da potersele porre su’ due piè.
Giove di queste maschere prendeva
Or l’una or l’altra nel sortir di casa:
Ed ora il gobbo Anfitrïon pareva,
108O qualch’altra anticaglia a testa rasa:
Ora d’un cigno il becco si poneva:
Or una cuffia di monton rimasa;
Or cangiando in un toro i panni sui,
112Prendea le corna per donarle altrui.
Io dico, perchè alcun mal non m’intenda,
Che volendo gl’Iddii cortesemente
Dalla del ciel stellata azzurra tenda
116Scendere a visitar l’umana gente,
Per ricoprir lor maestà tremenda,
Atti e sembiante uman finser sovente:
E se bestie talor si voller fare.
120Fecero un fallo ch’io non so lodare.
Or qui do fine al nobile argomento,
Pria che rompa la nave a qualche scoglio.
Dissi dei mascheron quello che sento,
124Per pura verità, non per orgoglio.
Era giunto a un mal passo, e son contento
Che lo schivai senza sporcare il foglio.
Or appendo la tromba a quell’anello.
128Che tien là in bocca quell’amico bello.
Io volea pur correggere i difetti,
Prence, com’è tuo venerato bando.
Di chi nel carnoval muta gli aspetti,
132Ed impor leggi ai mascheron cantando.2
Ma se un perdon benigno mi prometti,
Mio tristo caso ti verrò narrando.
Tu pur, tu quello, che a me tanto spiace,
136Cortese come sei, sopporta in pace.
Vogliono far le maschere a lor modo,
Scritto han sul naso: olà, nessun mi tocche.
Hanno il viso di carta, e ad un uom sodo
140Ridon in faccia con quell’ampie bocche,
Io che il sapea; con esse in alcun modo
Non volli pormi a far parole sciocche:
Pur feci alcuni tentativi primi,
144Sol per furti veder quant’io ti stimi.
Una maschera in piazza io presi in mano,
Come la volpe, che da Fedro sai.
Sotto la fronte il gabinetto arcano,
148Dove nasce il pensier tosto cercai;
Ma sotto quella scorza, altro, che vano,
E stanze d’affittare io non trovai.
E dissi in fine a quel color si bello:
152Quanta bellezza, che non ha cervello!