Il vecchio della montagna/II
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II.
Un po’ giù dalla radura, sotto le roccie dalle quali scaturiva un filo d’acqua, Melchiorre aveva pazientemente formato un piccolo orto e una rozza vasca di pietre. Piante di fagiuoli dai fiorellini scarlatti s’attortigliavano a lunghe pertiche, e i grappoli dei pomidoro cominciavano, nella frescura del luogo, a imporporarsi.
Come usava tutti i giorni, egli si arrampicò sulle roccie, e là ritto fischiò e battè le mani per radunar le capre onde s’abbeverassero senza saltar la siepe dell’orticello.
Zio Pietro scese il sentiero, fermandosi ogni tanto, tastando il terreno col bastone. Trovato il suo posto favorito, una pietra scavata in forma di sedia a bracciuoli, accanto alla vasca, sedette. Sentì l’odor fresco dell’orto, del musco bagnato; sentì le capre che saltellavano, scendevano dalle alture, salivano le chine, urtandosi, spingendosi, con un tremulo tintinnìo di campanelle. Nell’accostarsi all'acqua si facevano tranquille, e bevevano pacatamente una dopo l’altra. Stendendo la mano, zio Pietro poteva toccarle: gli passavano davanti con leziosa andatura di gatte.
Melchiorre intanto le contava, distinguendole una per una coi suoi occhi di falco; e continuava a fischiare e a battere le mani, mentre la voce, i belati e i fischi di Basilio spingevano quelle che erano rimaste indietro. Egli le chiamava con nomi bizzarri; ultimo a salire fu Zio Frate, un vecchio caprone nero dalla barba bianca, che aspettò si abbeverassero tutte le sue compagne, poi s’avvicinò alla vasca, cozzandole un po’, benevolmente, e spingendole alla discesa. Qualche capretta s’indugiava, rizzandosi sulla siepe, ma un feroce hoc! di Melchiorre e la fronda di Basilio l’allontanavano.
Zio Pietro ascoltava, e quando il suono dei campanacci si sparse nuovamente per le chine, sentì Melchiorre scendere il sentiero e passar oltre.
Dove andava? Zio Pietro provava sempre una vaga inquietudine, quando il figlio s’allontanava. In quei giorni, poi, Paska non era lontana.... Dove andava adesso Melchiorre? Forse in cerca della ragazza e di uno scandalo?
In alto, al di là delle roccie, il vecchio sentiva il bosco stormire, percosso da un brivido di brezza: e questa voce lamentosa e monotona gli echeggiava dentro, nel buio dell’anima inquieta, dandogli un senso disperato di tristezza e di abbandono. Per lui la luce era la presenza del figliuolo. Ma da qualche tempo sentiva che Melchiorre, incalzato dalla sua passione, lo abbandonava anche lui, e talvolta provava un terrore simile a quello d’un bimbo smarrito in luoghi deserti.
S’alzò, e stette in penoso ascolto. Solo il bosco continuava a mormorare. E di qua e di là, i cristallini tintinnii delle capre. Ma quando tornò alla capanna i soliti rumori, il ruminar del cavallo, il guaire del cane, il rosicchiar della lepre, lo rassicurarono. Sentì la bestiuola raspargli le ghette, la prese fra le mani e la carezzò.
— Malignaccia, malignaccia, — mormorò, sentendole batter forte il cuoricino. — Anche tu hai paura. — Poi cominciò a preparare il pranzo, cercando a tastoni i pochi utensili domestici che erano nella capanna. Si curvò sul focolare, avvicinò la mano alla cenere, e sentendo calore scoprì una grossa brage con la punta del bastone forato che serviva anche da soffietto: mise una manata di fuscelli secchi e soffiò; la cenere si sparse intorno al focolare, il gatto scappò scuotendo le zampe, e la fiamma brillò.
Al suo ritorno, Melchiorre trovò i maccheroni conditi entro la casseruola, la stuoia spiegata, il pane preparato nel canestro.
Era passato mezzogiorno: l’elce descriveva appena un cerchio d’ombra intorno al suo tronco, e il sole penetrava per tutte le fessure della capanna. Dentro e fuori faceva caldo; l’azzurro del cielo vaporava chiaro all’orizzonte; sotto la luce fiammante del sole allo zenit le roccie parevano fatte di cenere ardente.
Ma intorno i boschi fremevano con un sonoro susurro. Di nuovo i pastori sedettero per terra, e pranzarono, tornando ai soliti discorsi: le capre, i pascoli, i pastori amici o vicini. E Basilio rideva sempre. Melchiorre raccolse su un pezzo di sughero le sementi dell’anguria, mentre con la buccia il mandriano intagliava statuette piatte che parevano idoletti fenici e componeva una dentiera dai feroci denti verdi, che s’applicò sotto le labbra ridendo grottescamente.
Dopo pranzo Melchiorre e zio Pietro se n’andarono a meriggiare sotto gli alberi. Il vecchio pose il berretto sotto il capo, il bastone a fianco e in breve, cullato dallo stormire del bosco, si addormentò. Una chiazza di sole gli calava sul dorso, e la brezza smuoveva le candide ciocche della sua barba: pareva un vecchio santo, addormentato nella serena solitudine del bosco. Melchiorre, supino, con le gambe accavalcate e le mani sotto il capo, non poteva assopirsi.
Sotto il cielo luminoso le foglie degli elci investiti dalla brezza parevano perle; e con la voce canora e sonnolenta del bosco, s’accompagnavano sempre i tintinnii argentini delle capre, e le gazze tessevano liquidi fili di armonia. E Melchiorre non poteva trovar riposo. Il riso di Paska lo perseguitava. Che faceva essa nella capannuccia di frasche, a fianco della chiesetta? Col fazzoletto graziosamente ripiegato sulla sommità del capo, il volto roseo per il calore del fuoco, forse cucinava svelta il succulento pranzo del padrone....
Un violento desiderio di recarsi lassù, di entrare, di afferrarla e trascinarsela dietro, lo vinceva.
— Se non fosse per quello lì! — pensava; e fissava la macchia di sole che, lentamente, dal dorso saliva alla nuca di zio Pietro.
Durante la mattina, si era aggirato intorno alla chiesa con la scusa di cercare un pastore amico, avvicinandosi al punto d’attrazione sino a scorger la capannuccia di Paska. Aveva sentito voci di donne che attingevano acqua al pozzo della radura; e fra le erbe gialle e le pietre aveva veduto un bambino vestito signorilmente che dava la caccia alle cavallette, e acchiappatane qualcuna la portava ad un piccolo falco addomesticato. Il falco aspettava, fermo sopra una pietra, seguendo il bimbo coi suoi rotondi occhi gialli: avuta la cavalletta la premeva con la zampa, e la beccava crudelmente stringendo e starnazzando le ali fulve.
Melchiorre aveva lanciato una feroce occhiata sul bimbo, sul falco, sulla chiesa, sollevando le sopracciglia come per stender meglio il suo amaro sguardo fino all’orizzonte.
Ed era tornato dal padre.
Si volse sul fianco, continuò a fissare la macchia di sole che saliva verso i riccioli argentei di zio Pietro. E gli parve di provare un improvviso benessere fisico e morale.
— Come sono matto! — pensò. — Ho cento capre, sono giovine, sano, onesto. Qual donna non mi vorrebbe? Io m’infischio di mia cugina e dei signorotti suoi innamorati. Vadano al diavolo! Finiscila, Melchiorre; non vedi che stai diventando stupido come una pietra?
Ma a un tratto le tempie cominciarono a martellargli, e un calore molesto gli punse tutta la persona. Fra il susurro del bosco giungeva un suono di flauto, fino, tremulo, che or pareva morire tristemente, or s’avvivava di gorgheggi saltellanti e liquidi.
Melchiorre sollevò la testa per ascoltar meglio. Il suono, trasportato dalla brezza, oscillava, veniva ora sì, ora no, insinuandosi nel bosco, come ricamando una striscia serpentina di melodia sul fondo cupo del susurro degli elci. A intervalli, quando il mormorio del bosco era meno forte, qualche nota di chitarra vibrava grave e lenta fra i gorgheggi argentini del flauto.
Erano certo i signori del monte, che dopo il lauto pranzo suonavano e si divertivano: e Paska era forse fra loro. Melchiorre ardeva d’ira e d’odio.
— Io vado! — urlò fra sè: si sollevò ma vide il viso del padre illuminato dal raggio di sole, e non s’alzò.
Ma anzichè calmarsi si buttò nuovamente per terra, bocconi, con le braccia aperte, mordendo il fieno e gemendo come una belva legata. Per tutto il resto della giornata fu cupo e taciturno: andava e veniva dalla capanna al bosco, coglieva virgulti per il cavallo, si arrampicava sugli alberi e le roccie, e dall’alto guardava sempre verso la chiesetta: nella diafana serenità pomeridiana gli giungeva ancora, pungendogli il cuore, qualche trillo di chitarra.
Col tramonto un nuovo incanto dilagò intorno; gli alberi tacquero; dall’occidente il cielo di corallo versò una misteriosa luce rossa fra i colonnati del bosco, sulle roccie, sull’edera. E ogni cosa s’imporporò nel silenzio solenne dell’ora. Il fuoco del tramonto giungeva sino all’oriente, smorzandosi in vaporosità rosee, e gettando veli pavonazzi sulle montagne lontane.
Zio Pietro, seduto davanti alla capanna, pregava. Anch’egli nella dolcezza del tramonto pensava alla chiesetta, dove in quell’ora si recitava la novena: e ricordava le preghiere e i gosos dalla cadenza melanconica, e rivedeva la porta spalancata sul rosso occidente.
— Segnoredda ’e su Monte, — diceva fra sè, — piccola Signora del Monte, fammi la grazia di venirti ancora a laudare nella tua chiesetta. Fammela questa grazia, Segnoredda, fammela. Basilio mi guiderà; vedrò.... quella ragazza, e chissà che non possa dirle una parolina.... Paska, ricordati del vecchio zio Pietro, che ha gli occhi chiusi; non tormentarlo oltre, figlia mia! Ave Maria, grazia piena, il Signore è teco....
A momenti, qualche tintinnìo di capra gli sembrava lo squillo del campanello della chiesetta; e vedeva sempre quello sfondo di porta, quel cielo color fragola velato di violetto; e sull’altare le fiammelle dei ceri, tremule come foglie d’oro, con fragranza di ginepro arso.
— Paska, figlia di mio fratello, dove sei tu? Sei lì, inginocchiata? E preghi? Come puoi pregare, dopo tutto quello che ci fai soffrire? Ti ha veduto, Melchiorre? No? E allora, perchè è così cupo? Ave Maria, grazia piena, il Signore è teco.... Se domani potessi andare e vederla? Forse potrei accomodare ogni cosa. Cosa ne dici, vecchio Pietro? Nostra Signora del Monte, concedimi questa grazia, piccola rosa mia, piccolo giglio mio, concedimi questo miracolo! Ave Maria, grazia piena....
S’acquetò in questa speranza. Intanto udiva i tintinnii delle capre avvicinarsi, fondersi in un solo suono melanconico. La greggia tornava alla mandria: Melchiorre e Basilio gettarono fasci di fronde sulla siepe; poi chiusero i rozzi cancelli, e il mandriano entrò nella capanna per riaccendere il fuoco, mentre il padrone giovane si sdraiava accanto a zio Pietro.
Imbrunì: il fuoco dell’occidente si smorzò in luminosità violacee; qualche stella apparve come goccia di rugiada sugli estremi rami degli alberi neri. Le montagne ed il mare, ad oriente, svanirono nel sogno cinereo della sera. Era una pace sovrana; eppure da quel silenzio profondo, da quella immobilità delle cose che il crepuscolo rendeva gigantesche, da quell’incipiente mistero della notte, spirava un senso vago di angoscia.
L’oscura linea del bosco pareva una nuvola; e in quella immensità di paesaggio, nel silenzio, nella solitudine, i pastori, la capanna, le bestie, sembravano ancor più piccoli, punti smarriti sotto i profili di sfinge delle roccie enormi chiare all’ultima luce. Col cader della notte Melchiorre si fece ancor più cupo.
Il rumore delle pallottoline del rosario sgranato da zio Pietro lo irritava.
— Non vi stancate, voi, di pregare? — chiese ruvidamente.
Zio Pietro baciò la crocetta di metallo del rosario, si segnò con essa, si levò il berretto e disse: — Dio sia lodato.
— Perchè lodato? — domandò la voce acre del figlio.
— Per i beni che ci manda, per i mali che ci risparmia.
Dopo un momento di silenzio, Melchiorre proruppe:
— Vostra nipote è al Monte!
— Ci sei stato?
— A far che? A cavarle gli occhi? Me lo hanno detto.
— Anche a me.
— Anche a voi? E chi?
— Basilio.
— Basilio? E come le sa queste cose, quella faina? Basilio, Basilio, vieni fuori, piccola volpe: hai abbandonato il gregge, forse, per andar lassù? Bada che io non ti tronchi le gambe, un giorno o l’altro.
Basilio apparve sull’apertura illuminata della capanna, e rise maliziosamente.
— Che andare? Che andare, zio Merzio? Sono venute qui le serve, e le signore anche, e i signori, in cerca di latte! Non ce n’è, ho risposto. «E di chi è quest’ovile?» «Di Melchiorre Carta». «Ebbene, allora faremo venire la cugina, a domandare il latte». «E perchè non è venuta oggi?» «Perchè è scesa a Nuoro e risalirà più tardi» — hanno detto loro.
— Ah, han detto queste cose? Perchè non vengono quando ci sono io? Che vengano, che vengano!... Che venga! — ruggì Melchiorre.
— Oh, non verrà, state tranquillo!
— Cosa ne sai tu, piccolo falco? Va e fa il fatto tuo; altrimenti ti faccio rider il riso sardonico! E non sapete, padre, — disse poi, rivolto al vecchio, — mi dimenticavo di dirvi le prodezze di questo piccolo astore. Ho trovato una capra legata, dalla quale egli cercava di far suggere la lepre, per esperimentare la vostra storiella!...
— Cattivi esperimenti! — disse zio Pietro.
Poi tacque, col viso sollevato. Melchiorre lo guardò; quel viso atteggiato a pace melanconica, quella bocca dolce e triste gli dicevano in silenzio mille cose buone, che gli echeggiavano entro il cuore oppresso.
Ricordò d’avergli, durante la giornata, parlato sempre aspramente, e provò un impeto di rimorso e di pietosa tenerezza.
— Padre, — domandò a un tratto, con voce mutata, non sapendo che altro dire, — ma è proprio vera la storia della lepre?
— Vera, — disse il vecchio, e raccontò altre storielle, finchè giunse l’ora di ritirarsi nella capanna e di andare a dormire. Melchiorre pareva rasserenato; ma svegliatosi dopo breve sonno, zio Pietro s’accorse che la stuoia accanto era vuota; nel posto ove Melchiorre soleva coricarsi, zio Pietro palpò il corpo molle e attortigliato del gatto.
— È andato! — gridò: ed ebbe paura.
— Basilio?
Ma questi dormiva il profondo sonno dei felici, e zio Pietro lo dovette cercare e pungere col bastone, per farsi sentire.
— Chi mi tocca? Cosa volete?
— Dov’è andato Melchiorre?
— Ne so molto! È uscito, non c’è, o ci sarà; non lo so. Lasciatemi dormire.
Zio Pietro si sentì paurosamente solo.
S’alzò, si sedette sul limitare della capanna, e ascoltò.
Il mistero della notte era completo; il bosco rombava di nuovo, col fragore di un torrente: un roteare d’acque fredde, torbide, che si perdevano in nere lontananze. Nessun altro rumore. Il cieco ricordava altre notti, e gli sembrava di vedere le roccie nere nell’ombra, e nel cielo incolore la Via lattea che descriveva appena una traccia di candore vaporoso: ad oriente una nebbia grigia e triste, e sulle montagne, fra la nebbia un fuoco vermiglio che sembrava un fiore di melograno.
Altri lavoratori erano lassù, e dissodavano la montagna; e la luce dei lentischi incendiati mandava un saluto ai solitari pastori dell’Orthobene.
Ma zio Pietro, nella sua tenebra profonda, dava ascolto solo al lamento di solitudine e d’abbandono del bosco, e gli sembrava d’esser circondato da un freddo gorgo d’acque nere.
Un’angoscia mortale lo opprimeva: pensava puerilmente che Melchiorre non sarebbe tornato mai più, che Basilio lo avrebbe abbandonato, che egli sarebbe rimasto solo su quel limitare, davanti al buio eterno.
Gli sembrava di piombare in un abisso: ed aveva due grandi occhi spalancati, ma con essi non vedeva che una immensità vuota e nera, solo in quella sua notte eterna, più angosciosa della morte stessa.