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— Cattivi esperimenti! — disse zio Pietro.

Poi tacque, col viso sollevato. Melchiorre lo guardò; quel viso atteggiato a pace melanconica, quella bocca dolce e triste gli dicevano in silenzio mille cose buone, che gli echeggiavano entro il cuore oppresso.

Ricordò d’avergli, durante la giornata, parlato sempre aspramente, e provò un impeto di rimorso e di pietosa tenerezza.

— Padre, — domandò a un tratto, con voce mutata, non sapendo che altro dire, — ma è proprio vera la storia della lepre?

— Vera, — disse il vecchio, e raccontò altre storielle, finchè giunse l’ora di ritirarsi nella capanna e di andare a dormire. Melchiorre pareva rasserenato; ma svegliatosi dopo breve sonno, zio Pietro s’accorse che la stuoia accanto era vuota; nel posto ove Melchiorre soleva coricarsi, zio Pietro palpò il corpo molle e attortigliato del gatto.

— È andato! — gridò: ed ebbe paura.

— Basilio?

Ma questi dormiva il profondo sonno dei felici, e zio Pietro lo dovette cercare e pungere col bastone, per farsi sentire.