Il sorbetto della regina/Parte seconda/VIII

Parte seconda - VIII. Castellamare

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CAPITOLO VIII.


Castellammare.


È impossibile che alcuno dei nostri lettori non sia mai stato a Castellamare. Pel momento l’è Ischia, luogo di bagni e di ritrovo di piacere nel medesimo tempo che tiene il campo della moda.

Comunque sia, gli è nei mesi di luglio e di agosto che bisogna visitare Castellamare, rinomata per la bellezza de’ suoi asini e la bruttezza delle sue donne. Castellamare è l’anticamera di Sorrento, cantata da Lamartine e da lord Byron, patria del buon vitello.... e degli aranci profumati.

In questa stagione dell’anno, le acque richiamano gli ammalati da tutti i punti dell’ex-regno, i gastronomi, che vengono a scontare le indigestioni di dieci mesi, i disgraziati cui la medicina abbandonò.

Voi che avete visitato le città ed acque della Germania e dei Pirenei e le città da bagni della Francia e dell’Inghilterra, non vi aspettate di trovare a Castellamare ridotti da giuoco, sa[p. 223 modifica]loni da conversazione, balli e musica, passeggiate, boschetti, restaurant, alberghi, divertimenti, dame, i lions dello sport e del turf, un teatro, un caffè cantante od anche un semplice caffè, — una festa qualunque, infine, tranne la processione di san Catiello. — Dio vi abbia in guardia, se vi recate con queste idee diaboliche del mondo incivilito, che non è il mondo della Chiesa, e non era, quindi, neppur quello dei Borboni. La vita a Castellamare è più casalinga, più santa, quasi una vita di zoccolante. La noia non vi segna mai meno dei 94 ai 97 gradi centigradi.

Castellamare non è che una lunga e sporca via in riva al mare, ove il sole vi cuoce durante il giorno e l’umidità vi bagna durante la notte. Ovunque il fango o la polvere. Poi alcuni orribili chiassuoli, una dozzina di case di campagna perdute sulla montagna, a perpendicolo sul borgo, ed un equivoco di strada lambe i piè di codesta montagna, e vi si nuota in ondate convulse di polvere. Finalmente un piccolo sito, chiuso da inferriate, detto lo stabilimento, ed una sembianza di giardino, ove l’ortica e la malva si beano nella loro vegetazione spontanea. Non parlo degli insetti, prodotto naturale del paese.

Ecco ciò che l’uomo ha fatto di Castellamare.

Ciò che ne ha fatto la natura è incomparabile.

Quel mare, quel cielo, quella montagna, quei paesaggi, quei spuntar dell’aurora, quei tramonti, quelle feste di stelle la notte, tutto è delizioso, inebbriante, incantatore. [p. 224 modifica]

Lena aveva sempre vissuto a Napoli. Fu rapita di vedere Portici, il boschetto del Palazzo Reale, la Favorita a Resina, Torre del Greco inerpicata al Vesuvio, o meglio ribaditavi dalla lava, bitume di ferro, Torre dell’Annunziata, Pompei.... Arrivarono a Castellamare la sera. Don Gabriele - i nostri lettori l’avranno di già riconosciuto - volle mostrarle tutto ciò, non foss’altro per disorientare la polizia, la quale avrebbe potuto sorvegliare Ondina, onde ritrovare le tracce del marchese di Diano.

Si recarono all’albergo dell’Europa, ove si è sicuri di trovar sempre alloggio, poichè l’è troppo caro per gli avventori ordinari di questa città di bagni. Costoro si alloggiano in camere mobigliate.

Lena dormì bene e si svegliò tardi la mattina susseguente. Dico che si risvegliò. Dovrei dire fu risvegliata. Si picchiò alla sua porta: scese dal letto in accappatoio da notte, ma al momento stesso la porta s’aprì ed un monello, dorato al sole come un dattero, il petto ignudo, senza scarpe, in maniche di camicia, il berretto alla mano, si presentò fissando sulla giovane donna due occhi come due áncore di cristallo. Egli si avanzò liberamente e le chiese:

- Come lo vuole, vostra eccellenza?

- Chi sei tu? cosa vuoi? gridò Lena spaventata. Va via, via subito: non vedi che non posso riceverti in questi arnesi?

- Cosa importa? I miei sono alla grazia di Dio. Sono venuto per domandarvi se lo volete calzato o no? [p. 225 modifica]

— Esci, ti dico, o chiamo, e ti fo gettare dalla finestra.

— Sarebbe la via la più corta. E vostra eccellenza sa che per la via più corta, come dice il padre Sillario, non si va in paradiso.

— Ma finalmente cosa vuoi? di che parli?

— Ma, Signor Dio benedetto, parlo dell’asino, dunque. Di che volete che vi parli?

— Esci, ti replico.

— Signora principessa, manca poco che mi prendiate per un ladro. Me ne vado: se vostra eccellenza ha bisogno di un asino o due, che faccia chiamare Antonio, conosciuto nelle quattro parti del mondo. Le milady inglesi non vogliono che me. Mi hanno ficcato persino nei libri. E non lo dico per piaggiarvi, ma ho un asino tanto bello quanto vostra eccellenza. Se lo vedeste! si alza sulle due zampe di dietro e recita il panegirico di santa Filomena. E, poi, ha una voce, una voce.... Sfido i canonici della cattedrale di farne udire di più deliziose. Mi consigliarono di esporlo al concorso pel posto di cantore al coro di Massa. Sì, l’udrete come esso gorgheggia l’Ite missa est! E poi come galoppa, come bacia le mani con grazia e buona creanza.... In una parola, che vostra eccellenza non dimentichi il suo Antonio e la vedrà. Balaam non fece un sogno quando profetizzò la sua somara: me lo disse un giorno il curato.

— Hai finito!.. Vattene ora a tutti i diavoli.

— Vado ad aspettare vostra eccellenza.

Per dire la verità, Antonio aveva un po’ esagerato le qualità della sua cavalcatura comparandola alla bellezza di sua eccellenza. Il suo [p. 226 modifica]somaretto era magro, lungo, ossoso, sciancato. Ma Antonio, da ragazzo astuto, da uomo, che dava la metà del suo guadagno al padrone dell’albergo, fece trovare la sua bestia ed una compagna di mangiatoia alla porta dell’albergo, ogni concorrenza messa da banda.

Lena e don Gabriele furono quindi obbligati di contentarsi di quei due asini per recarsi allo stabilimento.

Arrivati dinanzi al cancello, pagarono Antonio e scesero. Quella ginnastica asinaria dava il mal di mare a Lena. Furono allora circondati da una folla di mendicanti, di postulanti, di mercanti, di curiosi, da una mob malsana, direbbero gli Inglesi.

— Eccellenza, volete degli asini? domandava un altro asinaio a don Gabriele. Un milord, come vostra eccellenza, non può cavalcare che una gazzella come la mia. Lasciate codesta etica carogna di Antonio, che s’inginocchia ad ogni cinque passi, e porta la testa bassa come un seminarista. Vi darò un animale degno d’essere bipede come vostra eccellenza.

— Fatti via di là, rispondeva Antonio, punto nell’onore del suo somaro; il tuo struzzo ha più guidaleschi alla schiena, che un confessore non abbia peccati nelle orecchie.

— Eccellenza, guardatevi bene da quell’uomo, egli ha la rogna.

— Vostra eccellenza, vuol ella accettare un rasoio per la barba? diceva un mercante a Lena; è uno dei più perfetti inglesi, fabbricati a Campobasso.

— Eccellenza, diceva un altro a don Gabriele, [p. 227 modifica]ecco della Wagram, della fabbrica di Piedimonte a Manchester. Ve la vendo a prova di limone. Me la pagherete quando l’avrete adoperata! Non vi chiedo che un acconto di sette lire al metro, per ricordo dell’onore di avervi servito.

— Freschi, freschi! gridava una donna dalla faccia e dalla persona orribilmente sudice; vengono fuori or ora dal forno, i biscottini! Vedete, sentite, ci ho messo del finocchio. Andiamo, zio canonico, prendete il mio taralluccio. Vostra reverenza ne sarà contenta.

— Cose belle a leggere, urlava un libraio che aveva spalancato qualche dozzina di volumi sopra una tavola. Tutta roba venuta a luce mo’ mo’, ed a che prezzo ancora! Ecco un romanzo per le signorine: Trattato delle ipoteche del signor Pothier. Ecco un libro per vostra reverenza, signor canonico, un trattato sull’indigestione, e l’Uomo dai tre calzoni, compendio di teologia morale del professore della Sorbonne, signor Paolo di Kock. Volete un libro d’educazione per le vostre figliuole, signor sindaco? Eccovi Lelia, Spiridione del signor Giorgio Sand, professore d’etica al collegio di Francia. Il signor abate può terminare le sue devozioni nelle Novelle dell’abate Casti — abate casto se ve ne fu mai! E poi, libri ancora più nuovi, arrivati la settimana scorsa da Liverpool e da Marsiglia: Le Favole d’Esopo, l’Eneide travestita, il Cuoco milanese, l’Almanacco dell’anno scorso.... Ma leggete, dunque! leggete!

— Ecco degli occhiali per la vista del signor sindaco. Vengono dalla Baviera, signore: gli è Sacco che li ha fabbricati. [p. 228 modifica]

— Signora sindachessa, eccole dei cavastivali.

— Volete dei numeri sicuri per il lotto? susurrava misteriosamente un bietolone a don Gabriele.

— Signor giudice, prenda questo anello che ho rubato; glielo lascio a buon prezzo.

— Signora milady, ecco uno specifico contro le pulci, diceva un altro a Lena.

I nostri viaggiatori non ascoltarono il resto: avevano varcata la porta dello stabilimento.

La folla non era meno grande dentro che fuori. Si udiva dire da ogni punto:

— Buon giorno, compare. Hai bevuto?

— Quindici bicchieri, e tu?

— Ah! madama, diceva il vescovo di Policastro a Lena, che si era avvicinata ad una vasca; bisogna convenirne, la natura è prodigiosa. Metter tanti gusti differenti in una sola spaccatura.... d’acque!

Infatti, dall’istessa fessura della roccia, appiedi della montagna, sgorgano cinque sorta differenti di acque minerali.

— Dio è grande, monsignore, rispose Lena.

— Principalmente nella varietà delle acque e nell’immensa quantità delle bestie! soggiunse don Gabriele.

— Ho sempre abbisognato di lassativi, io, signora, confidava il sindaco di Aratusa a Lena, mischiandosi alla conversazione ed al capannello, che si formava intorno a Lena ed al vescovo. Mia moglie perdeva la pazienza, le mie figlie brontolavano, ed ecco che quest’acqua....

— Siete cattolica, milady? chiese il vescovo.

— Credo, almeno.... [p. 229 modifica]

— To’! avrei giurato che foste romana, milady, osservò il sindaco. Quella statura.... e poi parlate il napoletano a perfezione... Fareste arrossire mio nipote, che studia da sette anni il latino e l’italiano al seminario. E’ dice che io sono un imbecille: e gli altri lo ripetono. E bisogna che ci sia qualcosa di così, poichè son tutti del medesimo parere. Malgrado ciò, senza matematiche e senza lingua italiana, ho raggruzzolato una fortuna di 30,000 ducati. Ora, ella mi capisce, monsignore?

— Parola per parola.

— Anche l’intendente mi capisce, quantunque non faccia mai quello che io gli dico, e senza che io sia obbligato a fare ciò che egli ordina. Ma chi comanda è sempre a tre quarti sordo; la è vecchia. Non è vero, monsignore?

— Voi avete delle opinioni democratiche, signor sindaco, fate attenzione.

— Ah! ah! non sente nessun moto nel suo ventre, monsignore? Col permesso delle loro signorie.... se posso esser utile in qualche cosa.... Don Michele Cupola, sindaco d’Aratusa.... Vengano ad Aratusa.... Col loro permesso.

Lena e don Gabriele andarono a passeggiare nel giardino; ma vi erano a percorrere tante giravolte, montando e discendendo, che Lena s’appigliò al partito di sedere sulla terrazza, vicino ad un arciprete che recitava le sue ore.

Ad te, Domine, clamavi.... Che caldo, signora! Non ho mai sudato tanto in vita mia, neppure quando concorsi per essere arciprete. Un concorso famoso, signora.... Monsignore ne restò stupito.... Ad te, Domine clamavi.... Come [p. 230 modifica]vi chiamate, signora? Di che paese siete? Vorrei solamente sapere se nel vostro paese incontraste mai mio nipote. Ad te, Domine, clamavi.... Non lo credereste, signora? egli è andato a Londra per pagare una ghinea un piatto di maccheroni e vedere come i cani strozzano i topi e come si beccano fra loro i galli, per la conquista d’una gallina. Noi vediamo ogni giorno tutto ciò nelle nostre strade. Ad te, Domine, clamavi....

— L’è un uomo prodigioso, vostro nipote, signor arciprete, osservò don Gabriele, che studiava i tipi ed i caratteri pel suo teatro.

Ad te, Domine, clamavi.... prodigioso! A chi lo dite? s’imbacucca col tabarro l’estate, ha veduto ciò a Saragozza — e porta calzoni di tela l’inverno. Ha la rabbia di comprar roba vecchia. Corre dietro a tutto ciò che è archeologico, perfino le donne! Ad te, Domine, clamavi.... Non parla che di Parigi. Credo che quel paese abbia inventate la luna e le anime del purgatorio.... Vorrebbe fare un Parigi del nostro borgo. Ad te, Domine, clamavi.... Clamavi.... Clamavi.... L’è arrivato. Col vostro permesso, signora, sono obbligato di assentarmi.... Gloria in excelsis.

L’ora di andar a trovare il marchese essendo giunta, i nostri viaggiatori uscirono dallo stabilimento e ripresero gli asini per ascendere ad uno dei poggi della montagna, ove il casino del principe di Caserta era situato.

Questa montagna è molto pittoresca, coperta di una bella vegetazione, e presenta una superba varietà di paesaggi, a misura che la strada [p. 231 modifica]tagliata su’ suoi spaldi, guarda la campagna — ove si rizza il Vesuvio e si vedono le città di Nocera, di Lettere, di Gragnano — e il mare con i suoi flutti d’indaco, ove si cullano in mezzo ai vapori violetti Capri, Nisida, Ischia, la punta di Sorrento e di Massa e il fondo di Napoli che appare come una candida striscia. Tutto ciò sembra un sogno a traverso quel velo leggero di molecole dorate che nuotano nell’aria, prodotte dal calore, attratte dalla luce. Lena ed il suo compagno, malgrado la loro ansietà al momento di raggiungere il loro destino, non poterono restar insensibili ad uno spettacolo così vago.

Un lungo e tortuoso viale a diversi piani, chiuso da un cancello sulla strada, precedeva la casa. Una vettura attendeva alla porta.

— Giuro a Dio! disse don Gabriele, mi pare di conoscere quel cocchiere. Sarebbe curiosa.... Aspettatemi qui....

Scese dall’asino, fece fermare Lena a un tiro di fucile dal castello e si avanzò verso il cocchiere. Dopo pochi minuti di conversazione, don Gabriele ritornò, fece scendere Lena, pagò e rimandò gli asinai. Poi si avanzarono verso la vettura, varcarono la porta e principiarono a montare su pel viale.

In una piazzuola che precedeva la casa, un’altra vettura, ma non da nolo questa, aspettava dietro un boschetto di acacie. Rimpetto alla casa si alzava un kiosque di caprifogli, bossi e mirti. La porta della casa era aperta ed una vecchia spazzava qualche granello di sabbia che gli stivali dei visitatori avevano lasciati sul lastrico. [p. 232 modifica]

— Fermiamoci all’ombra di questi alberi, disse don Gabriele. Quando uscirà, voi salirete dal marchese, io vi aspetterò qui. Egli ci aspetterà nella vettura, secondo le istruzioni che ho date al cocchiere, e tutti insieme partiremo per Napoli allegramente.

Don Gabriele finiva appena di parlare, che l’esplosione di due colpi di pistola nella casa li fecero trasalire. Si avanzarono verso la porta. Un uomo senza cappello, che gridava all’assassino! stramazzò per terra la vecchia in passando, varcò la porta e la gradinata in un balzo e passò dinanzi a loro come un camoscio.

— Bruto! sclamarono ad una voce Lena e don Gabriele, la prima sollevando il suo velo, l’altro sbarazzandosi di un rovescio degli occhiali e della parrucca.

Bruto li riconobbe e, senza dire una parola, li trascinò seco nella sua corsa a volo di allodola.

— A Napoli, ordinò don Gabriele al cocchiere, e ventre a terra fino alla Torre.