Il sorbetto della regina/Parte prima/VIII
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CAPITOLO VIII.
Il pentimento dell’ubbriacone.
Don Noè fu ben lontano dal rallegrarsi del trionfo di Bruto. Egli s’accorse che suo nipote, invece di frequentare la scuola e gli ospedali, bazzicava con vagabondi e fannulloni. Don Noè cedette e perdonò, ma a patto che d’ora in poi suo nipote s’immergesse intieramente nello studio della medicina.
— Sì, disse Bruto, ma a due condizioni sine qua non.
— Ah! ah! trattiamo, dunque, da potenza a potenza ora? Va bene: sentiamo quali sono.
— Primo che mi diate il danaro per pagare il mio diploma di medicina.
Don Noè diede un grosso sospiro e non rispose.
— Secondo, continuò Bruto, che io mi abbia dei clienti.
— Oh! in quanto a questo, lascia fare la Provvidenza di Dio, rispose don Noè.
E diede il denaro.
Bruto aveva udito spesso dei motteggi poco piacevoli sopra i suoi vestiti. Quando si vide luccicare fra le mani quel bel pugnetto di scudi, la prima idea che gli montò al cervello fu di andarsi a comprare degli abiti più decorosi. Respinse, però, la tentazione, o piuttosto fece con lui un compromesso; comperò un paio di speroni, dei guanti gialli ed uno scudiscio dal pomo d’argento. Questi oggetti furono la causa della sua caduta.
Gli speroni fecero manifesta l’indegnità delle sue rozze scarpaccie ferrate: si comperò, dunque, degli stivali verniciati. Gli stivali fecero risaltare la sconvenienza dei suoi calzoni gialli; e allora fece acquisto d’un bel paio d’inesprimibili grigi. Le brache insorsero contro il famoso panciotto a mille fiori: ed un nuovo di piqué nero si affrettò a surrogarlo. Il panciotto non volle trovarsi a contatto di un gabbano, che mostrava i denti, come una vecchia inglese: bisognò dunque metterlo d’accordo con un bell’abito nero. Dopo di ciò, come far a meno di una bella cravatta e di un cappello nuovo?
Insomma, il denaro del diploma passò nelle tasche dei fornitori e Bruto, accorgendosi alla fine della meravigliosa sostituzione che aveva operata, sclamò:
— Vedremo come finirà tutto questo!
Gli restavano alcuni scudi. Bruto comperò un portasigari per sè, un collarino per suo zio, una pezzuola per Tartaruga; diede cinque lire ad un povero, trincò con don Gabriele una mezza dozzina di bicchierini e tornò a casa colle tasche nuove dei suoi calzoni asciutte come il mar Rosso al momento in cui gli Ebrei s’accinsero a passarlo.
È impossibile descrivere la faccia stupefatta e spaventata di don Noè, quando vide suo nipote così profumato e trasformato. Comprese ipso facto il naufragio del suo denaro. Si cacciò le mani nei capelli e non trovò neppure un suono nella sua gola, per cacciarne fuori l’imprecazione che vi rantolava. Bruto s’avvicinò con un’aria seducente e in pari tempo grave e solenne e gli disse:
— Caro zio, datemi la vostra benedizione, prendo moglie.
A questa notizia esorbitante, don Noè saltò al collo di suo nipote e l’avrebbe strangolato, se Bruto non l’avesse preso per le mani con gentilezza e forzato a sedere.
— Tartaruga, diss’egli, un bicchiere d’acqua fresca per mio zio.
— Il denaro? gridò il sagrestano con voce sincopata.
— Il denaro! che denaro? ah! il vostro.... ebbene, erupit, excessit, evasit, ha detto Cicerone; defluere ex templo, scrisse Plauto.
La collera, il dispetto, il dolore soffocarono don Noè. I suoi occhi erano iniettati di sangue e di bile, tutte le fibre del suo corpo erano invase dal tetano: balbettava.
— Va via da casa mia, scellerato, ladro, dissipatore! gridava egli. Il sudore della mia fronte; i miei poveri risparmi! Cantare per quarant’anni litanie e responsori: servire per quarant’anni messe per farmi scialacquare il guadagno in pochi minuti da questo infame.... Oh! via, va via, che non ti veda mai più, o non so come l’andrà a finire.
— Zio! sanum extenuat ira, dice la scuola di Salerno, rispose Bruto con dolcezza angelica, incrociando le braccia sul petto.
— Fuori, dunque, canaglia! via, animale! continuava a gridare il sagrestano, storcendosi sulla seggiola e pestando i piedi.
— Ma dove volete che vada? a farmi turco?
— Va a farti boia, perchè un galeotto lo sei di già. Derubarmi in questa guisa!
— Tartaruga, disse Bruto, dà un altro bicchiere d’acqua allo zio. Lascia lì i tuoi confiteor e porta la pace fra Edipo e Creonte, o Tartaruga.
Don Noè era sbalordito da tanto sangue freddo e dalla impudenza così grande di suo nipote. Non rispose più; ma i muscoli della sua faccia rispondevano per lui. Bruto allora prese una seggiola e, postosegli flemmaticamente rimpetto, disse:
— Ora ragioniamo un po’.
Don Noè lo guardò con due occhi fulminanti e restò muto; Bruto continuò:
— State ben attento, barba Noè, che non son io che parlo ora, ma monsignore, o, come dite voi altri, Sua Eminenza reverendissima monsignor Arcivescovo, cardinale di Napoli. Egli chiede a voi, umilissimo dinanzi a lui, più umile che davanti al Santissimo:
— Don Noè, avete altri nipoti che quel bel pezzo di giovane lì?
— No, Eminenza.
— Sapete, don Noè, ch’egli mi ha l’aria di un ragazzo pieno di buone intenzioni, di modestia e che promette pel futuro?
— Ringrazio mille volte Vostra Eminenza reverendissima che si sia degnata di farne l’osservazione.
— Don Noè, voi siete vecchio.
— Pur troppo, Monsignore.
— Non siete ricco.
— Povero come un cappuccino, Monsignore.
— Non potete continuare ancora per molto tempo quella vita da cane: levarvi alle cinque della mattina, servir le messe, cantar le litanie, pulire gli altari, suonare le campane, fare le piccole commissioni del parroco e della sua governante, correr qua e là e respirare per quattordici ore l’aria fredda ed appestata della vostra chiesa.
— Vostra Eminenza Reverendissima parla come il Signore Iddio di Giacobbe e di Abramo.
— Avete bisogno di qualcuno che prenda cura della vostra vecchiaia, don Noè.
— Ah certamente, Monsignore.
— Codesto qualcuno sarà certo vostro nipote.
— Non ne dubito punto, Monsignore; egli ha buon cuore e sentimento d’onore.
— Bisogna, dunque, procurargli un mestiere, una professione, farne insomma qualche cosa che sia utile a sè stesso ed agli altri.
— Studia la medicina, Monsignore.
— Va benissimo, quantunque un medico sia spesso un oggetto di lusso e quasi sempre un empio.
— Vostra Eminenza reverendissima parla come il libro della Sapienza.
— E riflettete, don Noè, che per un medico occorrono degli ammalati.
— Eminenza, il nostro parroco dice che le chiese sono state inventate apposta per ciò.
— Apposta per ciò, no! in ogni caso non unicamente per questo.
— Gli è quello che aggiunge il vicario, Eminenza.
— Codesto vostro curato è un volteriano ed un carbonaro, don Noè; bisognerà che un giorno parliamo di lui.
— Sono agli ordini di Vostra Eminenza reverendissima.
— La vostra chiesa, dunque, somministrerà la sua parte di reumi, di raffreddori, di clorosi, d’idropisie, di pleurisie, di mali di petto: sta bene. Ma, caro don Noè, bisogna che tutte quelle malattie caschino sulle braccia di vostro nipote.
— Ah! Eminentissimo, la divina Provvidenza ed il parroco ci aiuteranno.
— Va benissimo, don Noè. Ma non bisogna contare esclusivamente sulla Provvidenza divina, che ha tanto, tanto da fare, principalmente in questi momenti in cui i Carbonari mettono sossopra tutte le quattro parti del mondo.
— È ciò che dico spesso a me stesso, Monsignore.
— Dunque, per avere degli ammalati bisogna cominciare ad averne.
— Vostra Eminenza reverendissima parla come il santo re Salomone.
— Per cominciare ad averne, bisogna ispirare fiducia in quelli che vi chiamano.
— Verissimo, Eminenza.
— Ora, mio diletto don Noè, come mai volete che i clienti che pagano, e sono rari, possano essere attirati da un giovanotto che, a vederlo, pare un usciere in ritiro; che ha della biancheria sudicia e grossolana e dei vestiti che mostrano la trama?
— Eh! Monsignore.
— Don Noè, la povertà è ributtante. I ricchi la sfuggono. Vostro nipote, dunque, in quell’arnese da comico ambulante, non avrà mai dei clienti che paghino.
— Ma, Eminenza, se noi siamo poveri....
— Ragione di più, don Noè, per nasconderlo. Rothschild può permettersi un vestito sdruscito; gli è un merito per lui; ma per Bruto è una disgrazia. Invece di trovare qualcuno che paghi, troverà, e ancora non è ben sicuro, qualcuno che mosso a pietà gli offrirà l’elemosina. Don Noè, diffidate sempre di quelli che fanno l’elemosina. Quelli che la fanno per l’amor di Dio sono rari.
— Ma, dunque, Monsignore, cosa dobbiamo fare?
— Parer ricchi ed esser modesti; sembrar forti ed esser umani; sembrar sapienti e non abusarne; parer pronti a servire altrui, ma non profferirsi giammai; mostrarsi armati da capo a piedi ed aspettare.
— Ma, Monsignore....
— Basta così, sclamò don Noè in persona, visibilmente più tranquillo. Hai fatto parlare S. E. come un avvocato e come un frate me: t’inganni, t’inganni, te lo dico io. Tutto codesto viene dal tuo bagaglio, buffone del teatro. Vorresti ingannarmi di nuovo e rubarmi degli altri scudi. Tu fai i conti di un imbecille.
— Io fo i conti che pagherete il mio diploma: ecco tutto.
— Mai più.
— Rileggete la Clemenza di Tito di Metastasio.
Il domani, don Noè andava egli stesso a depositare alla banca l’importo del diploma di Bruto.
Occorsero quattro mesi per provare che Bruto era figlio di mastro Zungo e di Egidia Segala; che era un buon suddito, ed un perfetto cristiano; ch’era andato a messa tutte le domeniche e tutte le feste dell’anno; che s’era confessato e comunicato; che non aveva mangiato di grasso nei giorni proibiti dalla Chiesa, che non aveva ammazzato alcuno; che non aveva mai pensato male nè parlato male di Sua Maestà, il suo adorato ed augusto padrone Ferdinando II; che non aveva mai letto un libro proibito, nè fatto parte di setta liberale.... Finalmente fu ammesso agli esami.
Bruto non aveva studiato: ma, dotato com’era di una memoria meravigliosa, ciò che aveva udito dal professore Cosentini, la cui parola lo seduceva, bastò a farne uno scienziato, senza ch’egli se n’accorgesse, e più scienziato di tutti i suoi esaminatori.
Dunque, malgrado ciò, ricevette il suo diploma.
Il diploma per lo studente è come il marito per una ragazza; l’ambizione della sua vita, la speranza di tutti i suoi giorni, il desiderio di tutte le notti, avanti di averlo; un trastullo, dopo.