Potere della musica sul cuore umano
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VI
POTERE DELLA MUSICA SUL CUORE UMANO
imitazione dal dryden.
Volgea festivo il giorno,
che il guerrier figlio di Filippo avea
doma la Persia. Alteramente adorno
di lauri, in trono d’òr egli sedea,
5simile a nume; e fea
a lui corona intorno
schiera di duci egregi,
di Macedonia il fiore,
cui, per nobil conforto,
10del gravoso di Marte aspro sudore,
di mirti e rose il crin velava Amore.
Sembiante a vaga giovinetta sposa,
in desio di piacer composta il viso,
Taide graziosa
15premea dorato scanno al re vicino;
e, partendo con lui gli sguardi e ’l riso,
traea di sua beltate
leggiadro orgoglio, e da sua fresca etate.
Bella coppia, a voi comparte
20Giove amico il suo favor:
ben co’ i lauri ancor di Marte
i suoi mirti intreccia Amor.
D’ogni canto signor, signor del suono
e degli affetti, in mezzo
25a coro armonioso
primier Timoteo sta. Vibra con l’agili
dita le corde de l’eburnea lira;
e in mille vari errori
l’aere agitato inonda
30soavitá d’armonici tremori,
e ineffabil dolcezza a l’alme inspira.
Ed egli il canto incominciò dal nume,
che per amor, che a’ dei pur regna in petto,
lascia l’Olimpo, il dio nasconde, e assume
35di simulato drago il vero aspetto.
— A la terrena Olimpia
estro d’amor lo stimola:
giá le va presso, e al morbido
seno si ruota, e avvolgele,
40col serpeggiar girevole
de le lucenti spoglie,
il molle grembo eburneo,
che, scosso, trema, e conscio
de la divina imagine,
45gioia del suol macedone,
del mondo intier, degli uomini
conquistatore ed arbitro. —
Dal canto, attonito
pende il monarca;
50arde di giubilo,
il ciglio inarca.
Giá un Dio s’imagina:,
l’aria ne prende,
e l’ordin medita
55de le vicende.
Dal sopracciglio
Arduo fa segno,
e pargli scuotere
degli astri il regno.
60Tutti in giocondo fremito
dan plauso e voti al nume e a lui festeggiano,
e in vicendevol tremito
le ripercosse vòlte al nume echeggiano.
Ma di Bacco in Lidii modi
65l’alte lodi
il gentil musico intona:
— Ecco ei viene il giovin dio,
vezzo e brio,
cinto d’indica corona.
70Squillin trombe, il flauto echeggi,
romoreggi
cupo timpano proteso:
ecco il Dio; si mostra al tondo
rubicondo,
75volto e a l’occhio umid’acceso.
Di vin pretto arrubinate
tazze aurate
largo a’ labbri offran tesoro;
dagli affanni pur col bere
80le guerriere
alme traggono ristoro.
Grande in pace, grande in guerra,
grande in terra,
grande in ciel, grande in Averno,
85salve, o nume agenorèo,
semelèo,
o figliuol di Giove eterno.
Tu ne’ regni ignoti al giorno
d’aureo corno
90discendesti il fianco armato:
al tuo piè Cerbero giacque
steso, e tacque
il tergemino latrato.
Monte a monte impose Reco,
95che far bieco
volea fraude a’ dèi celesti;
ma, ne l’orrida tenzone,
di lione
tu co l’ugna il ritorcesti. —
100Ebbro dal canto, il re s’accende, e spira
fiamma di Marte: tre fiate in guerra
l’oste disfida, di magnanim’ira
folgoreggiando; e alfin la pone a terra.
Minaccevole il guardo intorno gira,
105e a i numi de l’Olimpo e de la terra
medita assalito, e a que’ de l’ombre orrende.
Timoteo il guata, e ’l modular sospende.
Indi a frenar quell’oltraggioso vanto
che a lui di folle brama occupa l’alma,
110sposa a la cetra lamentevol canto,
e gli distilla in cor tacita calma.
— Rammenta Dario che fu buon cotanto
e a tutt’altri in virtú tolse la palma.
Lo trabocca dal solio il fato avverso:
115nel tradito suo sangue eccol sommerso.
Odi qual de’ suoi gemiti risuoni
quella, ch’esangue ei preme, arena ignuda!
Non v’ha, di mille cui largí suoi doni,
pur un che i moribondi occhi gli chiuda.
120Come pastor se d’improvviso tuoni,
s’ammuta e attrista il re, la varia e cruda
sorte volgendo in cor. Gli sorge intanto
su le labbra il sospir, su gli occhi il pianto.
Ride Timoteo, e scorge
125che non è lungi a intenerirgli ’l core
seguace di pietá, senso d’amore.
E in suon piú languido la cetra tocca:
amor gli piove soave a l’animo
qual placidissima neve che fiocca.
130 — Folle chi compera nome guerriero
di sangue a prezzo: lode e vittoria
è van fantasima e passeggiero,
che solo aggirasi su desolate
piagge, che il viso di morte spirato,
135ferale imagine di crudeltate.
Quanto fia meglio che uccider mille,
che a noi natura nascer fe’ simili,
a la face ardere di due pupille!
Se al tuo grand’animo, di palme oggetto
140degno fu il mondo, nel mondo pascere
dee il tuo grand’animo pace e diletto.
La bella Taide ti posa a lato:
del ben t’allegra che i Dei ti dierono:
ella può renderti sola beato.
145Dal seno candido al vago viso
vanno gli Amori, le Grazie tornano,
e vanno e tornano gli scherzi e ’l riso. —
Di cento l’aere plausi risuona:
volteggia Amore su l’ali, e giubila,
150e ’l destro Musico di fior corona.
E il Re, mal abile a celar sua pena,
furtivamente sogguarda il roseo
fior de la guancia di vezzi piena:
e, in lei specchiandosi, degli occhi suoi
155idol la dice, la dice premio
invidiabile da cento eroi.
La dice, e palpita: faccia con faccia
oppon bramoso pur di ravvolgersi
nel molle avorio de le sue braccia.
160Cosí l’indomito, che l’Indo e il Perso
sommise, in grembo d’imbelle femmina
il destin lascia de l’universo.
Ma qual fiero — suon guerriero
da la cetera s’innalza!
165che motore — di terrore
ripercosso si rimbalza?
Qual colpo di tuono,
che l’etra fracassi,
avvien che quel suono
170l’orecchio trapassi
di lui, che languendo
in seno a l’argiva,
dal suono tremendo
percosso, ravviva,
175sopito nel core,
l’antico valore.
— Vendetta! — alfin grida il cantor. — S’indrizzano
l’anguicrinite a te furie terribili.
Odi de’ serpi, che a’ lor crin si rizzano,
180forieri di spavento i crudi sibili!
Ve’ quai da gli occhi vampeggianti schizzano
rosse scintille! ve’ quali ombre orribili
il nostro giorno riveder non temono,
tetre faci agitando, e roche gemono!
185Queste de’ greci son l’ombre, che presero
il suol co’ denti un dí pugnando impavidi;
né a’ corpi lor i dritti onor si resero,
ché ingombran senza tomba, ésca degli avidi
avoltor, le campagne, in cui difesero
190le tue fortune, o re, di valor gravidi.
Vendica i guerrier tuoi: essi tel chieggono:
l’Eliso inonorate ombre non veggono.
Sia de le faci a te ch’essi raggirano,
il livido chiaror duce ed esempio.
195Ve’ come queste a menar vampo aspirano
tra’ Persi e a far di lor l’ultimo scempio!
Quelle, i raggi cambiando, in un cospirano
de’ numi ostili a incenerire il tempio!
Rompi gl’indugi, va dove t’additano
200l’ombre de’ tuoi, che a trionfar t’invitano! —
Come da morte o da sonno profondo,
che de la morte è imagin viva e vera,
scosso, raccoglie il domator del mondo
la feroce de l’alma indol primiera;
205e, la spada e l’usbergo ed il ritondo
scudo obliando, impugna atra lumiera;
e dietro a Taide, che grida vendetta,
a Persepoli il fato ultimo affretta.
Cosí, quand’era ancor l’organo muto,
210a risvegliare amor, ira e pietate
sul vocal plettro arguto
Timoteo i dotti numeri fingea;
e giá in suo cor credea
passar solingo a la piú tarda etate
215sopra quanti mai fama ebber da l’arte.
Ma poi te vide il giorno
spirar, vergine santa, aura di vita,
te di bei modi alma inventrice, e diva,
e far invidia e scorno
220a l’alterezza argiva,
sdegnosa invano del secondo onore.
Ché tu d’inenarrabile splendore
nobilitasti il musical concento,
gravido anch’esso de l’immenso ardore,
225che t’appressava al tuo Fattore; e, quando
scioglievi agl’inni l’ali
con pregar pace a’ miseri mortali,
da lo stellante trono
scendea grazia e perdono.