Il nostro padrone/Parte prima/V

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V.

Sebbene non avesse come Predu Maria Dejana ricordi e rimorsi che, simili a punti rossi in lontananza, richiamassero la sua attenzione e lo costringessero a voltarsi indietro, anche Bruno Papi trascorse una notte agitata.

Appena uscito dalla casupola del Moro picchiò alla porta dello speculatore, e disse a voce alta, mentre una testa di donna appariva alla finestra della scala:

— Apri, Sebastiana, sono io.

Una voce fresca e melodiosa rispose:

— Il padrone non è tornato.

— Desidero parlare con la signora Elena.

Sebastiana si mise a ridere, e fra il rumor della pioggia il suo riso trillante ancora infantile ricordò a Bruno i gorgheggi degli usignoli nei boschi umidi della montagna.

— Ora scendo, signorino!

Quando ella aprì, col lume in mano, egli, che dopo la sua partenza da Nuoro non l’aveva più riveduta, spalancò gli occhi meravigliato. [p. 47 modifica]

— Sebastiana! Sei tu?

— Bruno, sei tu? — ella disse, rifacendo il gesto e la voce di lui.

In tre mesi ella s’era trasformata: s’era fatta alta come lui, con le forme già sbocciate; e il suo collo nudo, lungo, d’un candore azzurrognolo, e il viso ovale, tutto roseo, le labbra, i denti, i folti capelli neri divisi in due bande uguali, gli occhi turchini a mandorla, pareva mandassero al riflesso del lume raggi e scintille.

Egli la seguì su per la scala umida e stretta guardandola con curiosità e con desiderio.

— Venni anche stamane, ma tu non c’eri. Vidi però Elena, e poco fa la tua mamma. Ma dimmi un po’, Sebastiana, come hai fatto a diventar così bella?

— È primavera! I fiori sbocciano! — ella rispose con ironia.

Egli la prese per la vita, ed ella non cercò di svincolarsi, ma arrivata al pianerottolo del primo piano cominciò a gridare:

— Signora Elena! Signora Elena! — ed egli la lasciò, per timore di esser veduto, mentre ella correva su ridendo e tutta la casa echeggiava della sua gioja un po’ insolente.

La cucina era all’ultimo piano; e giù [p. 48 modifica] per la scala si sentiva l’odore delle vivande misto al profumo del legno di ginepro che ardeva nel camino e ad una puzza di pelli di pecora non conciate, e di sacchi nuovi ammucchiati nell’ingresso e sui pianerottoli della casa.

Per arrivare fino alla «signora Elena» Bruno e Sebastiana attraversarono un andito ingombro di cestini, di bisacce, di bardature di cavallo. Gabbie con uccelli vivi, armi, pelli di faina, teste di cervo e pipistrelli morti stavano appesi alle pareti; in un angolo un fenicottero imbalsamato pareva dormisse, alto e argenteo sulle sue lunghe zampe di bronzo, e tutta la casa, piena di oggetti strani, di recipienti di sughero, di tazze e cucchiaj di corno, ricordava, anche per la puzza di cuojo e di guano che la inondava, le grotte ove si rifugiano i pastori nuoresi.

Quando Bruno entrò in cucina, Marielène, che stava davanti ai fornelli, disse con voce aspra:

— Il signor Perrò non è tornato.

Col cappello in mano e in attitudine rispettosa il capo-macchia mormorò:

— Domani mattina mi devo trovare nella foresta. Bisogna che gli parli stasera appena viene.

— Siediti, allora. [p. 49 modifica]

Egli sedette, e Sebastiana gli si avvicinò con l’evidente intenzione di chiacchierare.

— Io non credo che il padrone tardi, tanto più che è raffreddato, e con questo tempo....

— Va e apparecchia, — interruppe Marielène con asprezza; e Sebastiana riprese il lume ed uscì.

Per alcuni momenti il capo macchia e la serva tacquero. Egli avrebbe voluto esprimere la sua meraviglia per il rapido e magnifico sviluppo di Sebastiana; ma ricordava perchè era venuto, e sentiva che quelli non eran momenti da perdersi in vane chiacchiere. Sebastiana era bellissima, ed a lui piaceva anche perchè ella gli sembrava una donna della sua razza; ma un uomo che nella vita ha uno scopo preciso da raggiungere non deve fermarsi a guardare tutte le donne belle che incontra. Egli quindi si scosse dal lieve turbamento destatogli dalla ragazza e guardò Marielène. Piccola e scarna, infagottata in una specie di vestaglia rossastra, ella andava e veniva con una tazza in mano; ed egli, guardandola, ricordava certe figurine di donne giapponesi vedute sugli affissi delle stazioni ferroviarie: lo stesso viso corto e giallastro, dagli zigomi [p. 50 modifica] sporgenti, gli stessi occhietti obliqui, gli stessi capelli neri e duri annodati alla sommità del capo. A giudicarne dai preparativi il pranzo doveva essere per molte persone; non mancava il dolce, di crema al rum, il cui odore vinceva tutti gli altri, e Marielène si dava molto da fare. Bruno, immobile al suo posto, con le gambe accavalcate, il cappello sul ginocchio più alto e le mani sul cappello, pareva avesse paura di rivolgerle la parola; ma a un tratto ella uscì e ritornò con un pajo di pantofole che mise a scaldare accanto al fuoco, ed egli le disse sottovoce:

— Elena, desidero parlarle di una cosa.... Ma mi prometta di non offendersi.

Ella si volse e lo guardò con diffidenza.

— Parla pure!

— Sa con chi viaggiai, la notte scorsa? Con un suo compaesano, che mi domandò di lei.... che mi disse di conoscerla....

— Tutti i miei compaesani mi conoscono!

— Ma quello.... forse....

— Chi è? Chi è? — ella domandò agitandosi.

— Si chiama.... Pietro Maria Dejana.

Ella arrossì, ma disse a voce alla:

— Non lo conosco!

In quel momento rientrò Sebastiana [p. 51 modifica] che andò a riempire una bottiglia d’acqua: passando davanti a Bruno gli sorrise, ma egli non se ne accorse, e uscita lei tornò a fissare Marielène che era diventata nervosa e cupa.

— Che ti ha detto dunque, quell’uomo? Che è venuto a fare?

— Cerca lavoro, e vuole appunto che io lo raccomandi al Perrò.... Devo farlo, Elena?

— Che importa a me? Ripeto, non lo conosco!

— Eppure mi disse....

Egli s’interruppe. Sebastiana correva nell’andito, ed entrò gridando:

— Eccolo! — e senz’altro riprese il lume e si precipitò giù per le scale, mentre Marielène si affrettava a sventolare il fuoco.

Tra il monotono rumore della pioggia, Bruno sentì il passo di un cavallo, e alzandosi come per aspettare in atto rispettoso il padrone terminò la sua frase:

— .... mi disse che doveva sposarsi con lei!

— Con me? Sarà stato ubbriaco!

— Forse! Aveva bevuto quasi mezzo litro d’acquavite.

— Ah, ah, vedi?

Marielène rise nervosamente, ma quando egli aggiunse: — il Dejana verrà a tro[p. 52 modifica]varla, — ella gettò la ventola per terra e gli si avvicinò con uno slancio felino, quasi volesse graffiarlo.

— Chi verrà a trovarmi? Chi è, lui, che possa permettersi tanta libertà? Io non lo conosco, ripeto. Lo conosci, tu? Ti ha mandato lui?

— Si calmi! — egli le disse, prendendole una mano. — Non gridi così; neppur io lo conosco!

— E allora, che t’importa?

— Elena, non si offenda.... Sono geloso di lui!

Allora un sorriso di scherno sollevò il labbro sottile di lei e i suoi occhi si oscurarono.

— Ho capito, adesso! — gridò, mentre Bruno si passava una mano sulla fronte, turbato come se ciò che stava per dire fosse la verità.

— Elena! Lo sapevo che si sarebbe offesa! Ma le giuro che non avrei parlato mai se non avessi incontrato quell’uomo. Da molto io pensavo a lei: eppure.... non le ho mai recato molestia. È vero, sì? le ho mai mancato di rispetto? no. Adesso, però, i discorsi del Dejana mi han fatto perdere la testa.... Egli si mostrava così sicuro del fatto suo! Mi scusi, Elena! Tenga le mie parole come non dette. [p. 53 modifica]

Ella ascoltava incerta e diffidente, ma dal suo viso la solita maschera di scherno e di perfidia era caduta, per lasciar posto a una espressione di odio e di curiosità.

— Io non lo conosco, — ripetè, ma con voce quasi dolce. — Anzi, peggio ancora, egli per me non esiste; è un morto; e se lo vedi diglielo pure.

— Se lei vuole, glielo dirò. Ma lei, a sua volta, mi permetta di non dir nulla al signor Perrò. Mi rovinerebbe, giusto adesso che egli ha più bisogno di fiducia in me. Lo sa, m’ha richiamato lui, come capo — macchia. Questo anche, l’idea che la mia posizione è migliorata, mi spinse stasera.... Ma basta.... Adesso non parliamone più. Non mi rovini, Elena. Eccolo!

S’udiva per le scale il passo rozzo e la tosse rauca dello speculatore.

— No, non aver paura! — ella disse, pensierosa ed ironica; e svincolando la mano che egli le aveva ripreso corse incontro al padrone.