Il nostro padrone/Parte prima/VI

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VI.

— Buona sera, Papi, come va? — gridò lo speculatore, mentre Marielène gli toglieva dalle spalle il fucile e il cappotto bagnato; e battè famigliarmente la mano sulle spalle di Bruno. — Bravo! bravo! Pensavo a te.

Egli era così alto e corpulento che accanto a lui Bruno sembrava un fanciullo: il suo viso rosso, dal profilo duro, ricordava quello di Napoleone III; e nonostante il pizzo e i capelli bianchi egli aveva un'aria giovanile, e lo sguardo dei suoi piccoli occhi azzurri, fissi e quasi immobili, esprimeva la forza, la volontà ferma e palese del dominatore.

— Dunque siamo qui, — disse, sollevando una gamba perchè Marielène gli levasse gli stivaloni infangati, e fece un gesto per scansare Bruno che si offriva ad aiutarla. Erano faccende da donna, quelle!

Curva, col grembiale fra le gambe, ella si morsicava le labbra, e quando gli stivaloni caddero, ripiegandosi come stanchi, [p. 55 modifica] accostò le pantofole calde e disse con voce ostile:

— Se vuol mangiare è pronto.

Lo speculatore mise i piedi nelle pantofole e accennò al capo‐macchia di seguirlo; ma invece di avviarsi alla sala da pranzo scese al primo piano ed entrò in una vasta camera ingombra di scansie e dal pavimento coperto di pelli di cinghiale. Sedette davanti allo scrittoio e sfogliò alcuni registri.

— Se domani mattina sarà bello tu andrai subito lassù, spero. Adesso ti scriverò un bigliettino per De‐Giovanni.

Quando Bruno ebbe fra le mani il biglietto per il capo‐macchia che doveva sostituire, il suo viso s’animò di gioia; lo speculatore invece sembrava preoccupato, e aggrottò le sopracciglia, come ricordandosi una cosa sgradevole.

— Domani o al più tardi posdomani io verrò lassù. Vedremo dove sarà meglio quest’anno scavare i forni per il carbone. Tu sai che non siamo riusciti ad avere la tanca della vedova Moro; è un vero guaio, perchè ci toccherà di girare attorno a quel terreno come attorno ad una fortezza.

— Ha tentato ogni mezzo? — domandò Bruno.

E lo speculatore lo fissò, quasi offeso [p. 56 modifica] per la supposizione che un uomo come lui potesse non tentare ogni mezzo per arrivare al suo scopo.

— La vecchia è una maniaca; e del resto lo sono tutte, queste paesane benestanti che nascondono i denari e se li lasciano anche rubare piuttosto che tentare una speculazione.

— Ma glieli scoverà bene suo nipote!... — disse Bruno ridendo. — Lo vidi, poco fa, e mi parve di molto in miseria....

— Come, tu l’hai veduto?

Egli parlò vagamente del suo compagno di viaggio, senza dirne il nome, e come lo aveva accompagnato presso Antonio Maria, e riferì il desiderio del Dejana di ottenere lavoro dallo speculatore.

— Bene, bene, — disse questi alzandosi. — Adesso andiamo a tavola, — e siccome Bruno si schermiva, lo prese famigliarmente per il braccio e lo condusse nella sala da pranzo.

Confuso e felice, il capo‐macchia sedette alla tavola del suo padrone, e Sebastiana, che serviva come una perfetta cameriera, si curvò al suo fianco e gli offrì il piatto e gli versò da bere.

Egli credeva di sognare: il pranzo era succulento e abbondante, il vino era forte; il padrone mangiava e rideva, rivolgendo [p. 57 modifica] parole scherzose alla giovane serva, e nei momenti in cui questa era assente, parlava dei suoi affari e dei suoi progetti come se alla sua tavola sedesse, non un povero carbonaio, ma uno speculatore fortunato come lui.

Marielène non apparve mai nella sala da pranzo, e quando Sebastiana sparecchiò, il vecchio riprese a parlare della tanca Moro e della nonna di Antonio Maria.

— Sono stato da lei non più tardi d’avant’ieri; ella sta accoccolata davanti a un focolare fumoso, in mezzo alla cenere, e sembra una préfica mummificata, ricoperta da una crosta di fuliggine. Intorno girano le nipoti, ardite, belle, ma ignoranti come giovanette barbare; esse mi guardavano tutte, nonna e nipoti, come un nemico che fosse andato là per un armistizio. Quando dissi alla vecchia: la tanca vi rende, ma poco, mentre con la somma che io vi darei potreste farvi una bella casa o coltivare meglio un vostro podere; essa mi fissò con uno sguardo ironico, e una delle nipoti disse solennemente: ma soldi ne abbiamo, grazie a Dio!

— Forse il nipote.... — insistè Bruno.

Ma il padrone non rispose, e gli offrì un sigaro, che egli accettò ma non osò [p. 58 modifica] accendere; e per alcuni momenti entrambi tacquero, mentre la stanza si riempiva di fumo odoroso. Finalmente lo speculatore si tolse il lungo sigaro di bocca, ne scosse la cenere e disse:

— Non ci sarebbe che un mezzo molto spiccio, per far capire la ragione a quella gente: dar fuoco alla tanca! Ah, ah!

Egli rideva sonoramente del suo scherzo; e Bruno sorrise, ma a sua volta non rispose, poi cambiarono discorso parlando di tutti gli altri affari che urgevano.

Prima di andarsene, Bruno entrò in cucina per salutare le donne, e Sebastiana lo seguì fino alla scala facendogli lume e scherzando con lui.

— Hai sentito come mi sgridava, la tua signora Elena; però non l’ha con me, no! Essa batte la sella perchè non può battere il cavallo, — gli disse sottovoce, quando furono giù davanti alla porta.

— Che? Non va più d’accordo col padrone?

— Essa non va d’accordo neanche col diavolo! È cattiva, gelosa come un cane....

— Ha ragione d’esser gelosa di te! — egli disse, stringendole a lungo la mano e tentando ancora di abbracciarla, ma questa volta ella gli sfuggì, ed egli se ne andò felice ed inquieto.

Pioveva ancora a dirotto, ed egli si [p. 59 modifica] ritirò subito e rimase qualche tempo a chiacchierare con la vecchia paesana che gli affittava una cameretta pei giorni in cui egli stava in paese. Mentre filava e il suo piccolo fuso girava e strideva come fosse animato, ella raccontava per la millesima volta un fatto straordinario accadutole qualche anno prima.

— Tu sai che io ho un figlio impiegato, che vive in Continente. In verità, non dico il falso; ci vollero anni perchè Luisi, mio figlio, mi convincesse ad andar a stare con lui. Sua moglie è ricca. È una brava donna! Non ti dico altro: sa parlare anche il tedesco. A dir la verità, la loro casa era piena come un uovo; i pavimenti sembravano specchi, e Luisi e sua moglie mi trattavano come l’oro: io la mattina dovevo stare a letto fino alle nove, e la serva, che aveva il grembiale bianco, mi portava il caffè e i biscotti. Che cosa mi mancava, figlio mio? Dimmelo, se lo sai: non mi mancava nulla. Quando mi alzavo ero costretta a mettermi le scarpe alte. Mio figlio non voleva che io filassi perchè la serva avrebbe riso. Non pensavo a nulla, fiore mio, non facevo niente. Cominciai a bere caffè e caffè: persino trenta tazze al giorno, e forse anche più. Chiamarono il medico, un bell’uomo alto, con gli [p. 60 modifica] occhiali: si chiamava il dottor Cantoni. Egli disse: «Riportatela subito in Sardegna, questa donnina; altrimenti vi muore di nostalgia, o vi scappa di casa come un uccello». In verità mia, disse proprio così. Era un bravo uomo; ed io gli mandai un pacco d’aranciata; egli mi ringraziò e mi scrisse che avrebbe gradito anche la vernaccia. Gliela mandai; benedetta gli sia ogni goccia. E così ti dico, figlio mio; io ritornai qui. Vuoi che ti dica la verità? I denari, i beni, gli onori servono a niente quando non si ha modo di lavorare, di muoversi, di vivere come si vuole, di andar magari scalzi come i poveretti.

Bruno ascoltava e approvava. Egli voleva bene alla vecchietta, e tutti gli anni le portava un sacchetto di marroni, e spesso le rendeva qualche servigio, visitando un piccolo bosco ch’ella possedeva sul Monte e facendoglielo rispettare dai legnaiuoli e dai ladri di ghiande. Qualche volta le aveva confidato i suoi progetti e raccontato il suo monotono e scialbo passato. Ella aveva conosciuto il nonno, il padre e gli zii di lui, tutti carbonai, anzi i primi carbonai toscani arrivati nel cuore della Sardegna con le loro scuri e i loro badili, come esploratori d’una terra ignota guidati da abili condottieri. [p. 61 modifica]

— In quel tempo, — ella raccontava, — i boschi dell’Orthobene arrivavano sino alle falde della montagna, sin quasi alla città. Tuo nonno gli ha fatto la barba, al Monte! Luisi, mio figlio, dice che era meglio lasciarli, i boschi, per l’aria buona, ma allora i denari chi li prendeva?

Mentre la vecchia parlava, Bruno rivedeva la figura secca e forte del suo nonno paterno. Seduto sulla soglia del casolare, all’ombra umida dei boschi del Casentino, il vecchio lavoratore, col gran viso pallido reclinato sul petto, pareva si riposasse dopo i suoi continui viaggi; ma con lo sguardo dei suoi occhietti azzurri ancora vivaci fissava l’orizzonte accennando ai figli ed ai nipoti la via verso l’isola delle foreste. Egli raccontava storie che sembravano fole. Laggiù v’erano uomini quasi selvaggi, che non sapevano lavorar la terra e non ne conoscevano il valore. Bastava che un continentale si stabilisse laggiù per diventar ricco, come se scavando la terra in apparenza così desolata si ritrovassero tesori.

Egli però, che amava andare e venire e non pensava a stabilirsi laggiù, portava molte fole e pochi quattrini. Anche i suoi figli andavano e venivano; Bruno soltanto ascoltava i racconti del nonno con paura [p. 62 modifica] e con desiderio. Fin da quel tempo egli amava o meglio sognava i denari come una cosa sacra; ma se gli avessero domandato che intendeva di farne non avrebbe saputo dirlo, perchè la ricchezza era per lui un ideale, come è nella mente dei bambini.

Un giorno anche lui era partito, ma anni ed anni erano passati ed egli non aveva ancora scovato il tesoro. Egli trascinava di foresta in foresta, sotto l’umido cielo invernale, e riportava con sè sull’Apennino, e da questo riconduceva con sè nell’isola, il suo sogno diventato un’idea fissa, innocua e melanconica. La sua vita di lavoro scorreva senza dolori e senza gioie, come la vita di milioni d’altri lavoratori; ma l’idea fissa non lo abbandonava, calma e triste come una fiammella in un luogo funebre.

Ed ecco, ad un tratto, questa fiammella divampava, alimentata da un soffio animatore. Dapprima era stata la lettera dello speculatore, che lo richiamava offrendogli un posto di fiducia; adesso era la speranza di un matrimonio d’interesse.

Quando si mise a letto, nella sua camera decorata da file d’innumerevoli quadretti di lamiera d’oro e d’argento che un frate randagio regalava di tanto in tanto alla vecchietta, sebbene stanchissimo non [p. 63 modifica] si addormentò. Ciò che gli succedeva era così nuovo per lui! In fondo sentiva un vago rimorso, o piuttosto un senso di vergogna, per aver approfittato delle confidenze del Dejana, ma il «disgraziato» gli sembrava pazzo più che malvagio, animato verso Marielène da sentimenti poco benevoli. Ella a sua volta lo odiava. Impedire a quei due di avvicinarsi, nonchè di unirsi, era forse un atto di carità. Tuttavia egli non poteva dormire; l’inquietudine, il timore, la speranza lo turbavano.