Il nonno/L'apparizione
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L’apparizione.
Due paesani, uno d’età avanzata, molto grasso, un po’ abbandonato sulla sella del suo cavallo robusto; l’altro agile e svelto, bruno e bello, dritto come un centauro sul suo cavallo grigio ancora allo stato selvatico, viaggiavano assieme attraverso la Serra, luogo boscoso e solitario.
L’uomo grasso, il cui viso colorito e gonfio inspirava un certo senso di fiducia e quasi di letizia, fermava di tanto in tanto il cavallo, e si guardava attorno con soddisfazione, quasi come Carlo V quando guardava i suoi regni.
— Quello è mio e quell’altro è mio! — diceva al compagno, additandogli qualche bosco di soveri o qualche estensione di terreno coperta di pascoli o di frumento. — Vedi quanto sughero, Juanne Pala? Se la scorza di quei soveri fosse d’argento, non varrebbe di più. Mi hanno offerto quattrocento scudi: ma io ne voglio il doppio.
Il giovinotto, che era appena tornato dal servizio militare e si credeva molto furbo, guardava di qua e di là coi suoi occhi neri vivacissimi, sorridendo un po' con ironia, un po' con invidia; e senza mai rallentare il freno al suo cavallo riottoso, ascoltava le chiacchiere del suo compagno e rispondeva con arguzia.
A un tratto disse, socchiudendo un occhio:
— Siete ricco come il mare, ziu Pascà, ma mi vien rabbia quando penso che tutti i vostri beni andranno ai vostri cugini…
L'uomo grasso fermò il suo cavallo e si volse con aria minacciosa.
— Juanne Pala! Se tu pronunzi ancora il nome di quei diavoli, smonto e ti prendo a sassate!
— Pace, pace; non lo farò più! — disse l'altro ridendo.
— I cugini? I parenti? Il fuoco li accarezzi! — riprese il ricco paesano. — Essi non desiderano che la mia morte. Essi hanno tentato di farmi strangolare, di farmi avvelenare: hanno commesso contro di me tutti gli orrori possibili. Alla larga! Al diavolo!
Egli raccontò che, per mezzo d'una serva, i suoi parenti avevano tentato di avvelenarlo: ora aveva paura persino delle serve, lui, Antonio Maria Pasquale Sotgiu, l'uomo più coraggioso del circondario. Aveva dovuto procurarsi una serva straniera, e prometterle un lascito per mantenersela fedele.
— Voi dovreste riprender moglie, ziu Pascà! Una buona moglie, se volete, ve la cerco io… Conosco una vedova... ma una vedova!... Grassa e fiera come una puledra di due anni... E ricca!...
L'uomo questa volta non rispose, e il giovanotto non insistè nel suo scherzo. L'argomento era troppo doloroso per ziu Pascale, vedovo di due mogli. Sterili entrambe vecchia la prima, mentre lui era ancora giovane, giovane la seconda, mentre lui era già quasi vecchio, l'avevano reso tanto infelice, che egli aveva finito col credersi perseguitato da qualche malìa.
Egli dunque non rispose allo scherzo del giovanotto, ma dovette risentirsene, perchè dopo qualche momento, mentre l'altro si lamentava perchè i suoi affari andavano male, tanto che era quasi ridotto alla miseria, gli disse con aria beffarda:
— Allora è il caso di proporla a te la vedova ricca e grassa!…
— Sì! Le donne ricche non mi vogliono! — ammise l'altro, modestamente. — Del resto mi basterebbe una donnina con qualche centinaio di scudi. E dove la trovo? Al nostro paese, voi lo sapete, vi sono poche donne ricche, e tutte pretendono di sposarsi con cavalieri: le altre sono povere in canna…
E continuò a lamentarsi. Ah, sì, egli era troppo magro per la vedova grassa! Sì, egli era troppo magro, mentre altri erano troppo grassi…
Ma ziu Pascale sbadigliava. Aveva paura che il giovinotto gli chiedesse denari in prestito.
— Ho ragione, ziu Pascà?
— Tu, piccola anima mia, tu hai torto, invece. Tu hai un tesoro che non tutti i grassi hanno: tu hai la giovinezza. È quello che dico sempre ad Oja1.
— Chi è questa Oja?
— La mia serva.
— È bella?
— Bella? Sì… cioè no! Non lo so, insomma. Chi ci ha mai badato?
— Ma se dite che è giovane.
— Questo lo so. Ha tutti i denti!
— Ahi, ahi, ziu Pascà!… — disse l'altro con malizia. — Avete detto che è straniera. Giovane, straniera, con tutti i denti! Ahi, ahi!…
Ma l'uomo grasso s'inquietò di nuovo. Egli non ammetteva certe malizie. Egli rispettava la sua casa.
— Se non comincia il padrone stesso, a rispettar la sua casa, chi gliela rispetta? Del resto, vale più il dito della mia serva che tutta la tua malizia, Juanne Pala! Oja è una santa. Se ha un difetto, anzi, è questo. Prega troppo. Digiuna continuamente e dice che vede i santi… Non apre mai la finestra. È buona massaja, ed io la terrò sempre con me. E se si sposa, il che è difficile, prenderò anche il marito al mio servizio. Ma ella non guarderà mai un viso d'uomo.
— Ecco la donna che mi conviene! — pensò Juanne Pala. Ma si guardò bene dall'esprimere il suo pensiero.
Quando però giunsero al paese, invece di prendere la straducola che conduceva alla sua povera abitazione, egli seguì il suo compagno.
Voleva veder Oja; ma lo aspettava una delusione. La casa di ziu Pascale era chiusa, e invano il padrone battè cinque o sei volte alla porta, col calcio del fucile.
— La vostra santa è volata in cielo! — disse Juanne con ironia. — Addio.
E mentre l'altro arrossiva di stizza, egli si allontanò, ma dopo essersi ben guardato attorno.
Dietro la casa del Sotgiu si stendeva un cortile recinto da un muro assiepato: davanti s'allargava uno spiazzo dal quale si vedeva il paesaggio: valli rocciose a destra e a manca, la montagna di fronte. Sullo sfondo della montagna, azzurrognola in quel sereno meriggio di primavera, al di là dello spiazzo, in faccia alla casa del Sotgiu, s'ergeva la chiesa parrocchiale, con la sua torre antica, la facciata nera, la porta gotica ombreggiata da due olmi secolari.
Sotto uno di questi olmi, su una panchina di pietra, sedevano costantemente due vecchi paesani: così immobili, così bruni, nei vestiti, nel viso, nelle mani appoggiate ai bastoni, parevano due statue decorative, collocate lì dai tempi della fondazione della chiesa.
Mentre Juanne passava davanti a loro, facendosi da buon cristiano il segno santissimo della croce, uno dei vecchi, senza muoversi menomamente, disse;
— Cerca la sua serva, Antonio Maria Pasquale? È in chiesa.
— Ah, eccola! — disse l’altro, subito dopo.
Il giovinotto si volse, sorridendo beffardo, pronto a dir qualche parola piccante alla giovane alta e sottile che usciva di chiesa in quel momento. Ella aveva una chiave in mano. Era vestita quasi tutta di nero, col corpetto chiuso; il suo viso bianco, dal profilo purissimo, era così triste, che il giovinotto non osò tirar fuori le sue parole piccanti. Solo disse:
— Il padrone ti aspetta da un’ora!
Oja si mise a correre, agitando la chiave. E Juanne, prima di svoltare dietro la chiesa, vide ziu Pascale calmarsi e salutare la serva.
Nel pomeriggio il giovinotto andò a picchiare alla porta del Sotgiu. Il viso pallido di Oja apparve alla finestra, fra due vasi di basilico. Vedendo Juanne ella corrugò le alte sopracciglia nere e disse che il padrone era ripartito.
— È andato all’ovile e non tornerà fino alla vigilia di San Giovanni.
Egli guardava in su, tenendosi con una mano la berretta ferma sulla nuca. Egli vedeva i bellissimi denti di Oja, i bellissimi occhi neri, e gli veniva il desiderio felino di arrampicarsi sul muro come un gatto.
— Oja, occhi di stella! Aprimi la porta! Di che paese sei? Voglio dirti…
Ma Oja chiuse la finestra con dispetto. Egli si volse e vide che i due vecchioni, seduti sotto l’olmo, lo guardavano e ridevano. Egli s’avvicinò e disse:
— Ma quella non è una donna: è un orso! Ma fa con tutti così?
— Con tutti! — rispose uno dei vecchi: e l’altro aggiunse: — Con uomini e donne.
Juanne sospirò: poi domandò:
— Ma è vero che è tanto pia?
— Sempre in chiesa! Si batte il petto, piange, prega — rispose uno dei vecchi, laconicamente, e l’altro, che sembrava più loquace, aggiunse: — Una sera l’ho vista inginocchiata sotto l’altare di San Giovanni: gemeva e diceva: Che io vi veda, San Giovanni mio, che io vi veda!
— Ci vorrebbe un San Giovanni vivo! Ma se non si lascia avvicinare! — sospirò ancora il giovinotto.
— Non si lascia! — ripetè uno dei vecchi. Ma l’altro aggiunse:
— Il difficile è avvicinarla la prima volta! Se tu riesci ad avvicinarla non perdere il tuo tempo in chiacchiere. Baciala. Dopo...
⁂
Dopo quel giorno Juanne cominciò a ritornare spesso in paese. Andava a picchiare alla porta del Sotgiu, o aspettava Oja davanti alla chiesa; ma ella passava senza vederlo. I suoi occhi guardavano lontano, e sembravano pieni di passione, ma l’«oggetto amato» che essi cercavano pareva fosse al di là dell’orizzonte!
Di notte Juanne passava cantando sotto le finestruole ove odorava il basilico; ma la sua voce di tenore, accompagnata dal coro vocale di altri giovani «cantadores», echeggiava invano nella notte serena. La casa del Sotgiu sembrava disabitata.
Ogni domenica le ragazze e i paesani ballavano davanti alla chiesa: Juanne guardava le finestruole ornate di basilico, pur non trascurando di far la corte alle ragazze che ballavano, ma le finestruole rimanevano chiuse.
Una domenica però egli vide Oja uscire dalla chiesa e attraversar lo spiazzo senza guardarsi attorno, alta ed elegante nel suo bel costume scuro: un giovinotto dalla barba nera si staccò dal circolo dei ballerini e la seguì. Ella non si volse e chiuse la porta, ma poco dopo il suo viso bianco apparve per un attimo fra i due vasi di basilico. Juanne provò un impeto di gelosia e di timore.
— Qui bisogna muoversi, uomo! — disse a sè stesso.
E cominciò ad aggirarsi intorno alla casetta come la volpe intorno all'ovile. Come fare per penetrarvi? Il muro del cortile era alto, recinto di siepe: i rami d'un melagrano s'affacciavano verso un vicolo deserto, dietro la casa. Egli una notte pensò di gettare una corda ai rami del melagrano e di arrampicarsi fino a raggiungere una sporgenza del muro. Andò a prender la corda che gli serviva per gettare il laccio ai puledri indomiti, e provò… Il laccio prese la cima dell'albero come una testa scapigliata e selvaggia. Egli s'attaccò alla corda come una scimmia e riuscì nel suo intento. La luna illuminava il cortile: dall’albero era facile scendere, penetrare nella cucina, sorprendere Oja; ma egli ebbe paura di spaventare la giovine donna e preferì aspettare.
I giorni passavano. A poco a poco egli si sentiva trasportare da una passione ardente. Dimenticava i suoi calcoli per pensare al modo con cui Oja lo avrebbe accolto. La vigilia di San Giovanni egli andò a picchiare alla porta di ziu Pasquale.
— Il padrone è tornato?
— No: verrà domani.
— Oja, apri: devo parlarti di lui.
— Puoi parlare stando lì.
— Senti: dirai al tuo padrone che io voglio sposarti. Non andartene! Se tu non mi apri la porta, entrerò per la finestra.
Ella intanto la chiuse. Egli andò a lamentarsi coi vecchioni, che oramai conoscevano i suoi progetti e lo burlavano.
— Puoi arrampicarti alla torre e baciare l’orologio, prima di baciare quella lì.
Egli taceva e guardava la folla che s’adunava nello spiazzo e preparava le cataste di legna per i fuochi di San Giovanni. I bambini portavano fronde di lentischio, e gli uomini le ammucchiavano intorno ad alti pali sulle cui punte sventolavano grandi nastri e fazzoletti rossi.
La sera cadeva glauca e luminosa. Nella chiesa il vecchio parroco dava la benedizione. Le donne vestite come madonne bizantine, inginocchiate per terra, cantavano con voce appassionata i gosos di San Giovanni. Ciascuna di loro teneva in mano un mazzolino di verbasco, il cui odore si confondeva col profumo dell’incenso. Anche Oja attraversò lo spiazzo, ad occhi bassi, con un mazzolino di verbasco in una mano e la chiave di casa nell’altra. Juanne la salutò: ella non rispose neppure al saluto, ed entrò in chiesa. Allora egli si alzò, s’allontanò seguito da uno sguardo ironico dei vecchioni, e andò a prendere la corda. Pochi momenti dopo si trovava nel vicolo deserto e gettava il laccio al melagrano. Gli pareva di prendere al laccio la fortuna e l’amore: il cuore gli batteva forte: egli aveva paura che ziu Sotgiu tornasse e lo sorprendesse, o che Oja lo ricevesse male o avesse già un amante, ma non esitò ad arrampicarsi, salire sul muro e di là saltare nel cortile. La porta della cucina era chiusa. Un grosso cane selvaggio, incatenato sotto la tettoia, cominciò ad abbaiare in modo spaventoso. Juanne non aveva preveduto questo. Come fare? Egli si ricordò che sapeva i verbos, parole magiche per far tacere i cani. Provò a recitarli, ma il cane raddoppiava i suoi urli selvaggi. Allora egli si levò le scarpe e si buttò per terra, dietro una catasta di legna, fingendosi morto. A poco a poco il cane parve calmarsi; abbaiava solo di tanto in tanto.
Juanne pensava ad Oja, sempre più commosso e sempre più deciso di tentare tutti i mezzi per averla.
Ogni minuto gli sembrava un’ora. Fuori, nello spiazzo, la gente gridava e ballava: s’udivano grida e canti e il suono triste di una fisarmonica. All’ultimo splendore del crepuscolo si fuse il chiarore dei fuochi: nubi di fumo rossastro, scintille, foglie ardenti, lembi rossi di nastri e di fazzoletti, che sembravano fiammelle, arrivavano fino al cortile: e l’inquietudine del cane pareva causata da quell’insolito spettacolo.
Oja riapri la porta della cucina, ma non uscì fuori. Juanne non si mosse.
Finalmente ella uscì e sedette sullo scalino della porta. Trasse il rosario e cominciò a pregare: sulle prime bisbigliava, come parlando sottovoce a un essere invisibile, poi si esaltò, s’inginocchiò per terra e pregò a voce alta, battendosi il petto e gemendo. Pareva molto infelice: e Juanne sentiva una vera pietà di lei, un desiderio ardente di confortarla.
S’inginocchiò anche lui, poi balzò in piedi. Il cane riprese a urlare.
Un chiarore fantastico illuminava il cortile: le foglioline arse del lentischio volavano intorno al melagrano grigiastro come farfalline d’oro.
Si sentivano più acute le grida di ebbrezza selvaggia dei giovanotti che, per dimostrare la loro agilità alle fanciulle accorse a guardarli, saltavano attraverso i fuochi crepitanti. Juanne balzò vicino ad Oja; e gli parve di saltare attraverso un fuoco. Oja guardava, con gli occhi spalancati. Al chiarore dei fuochi, quel giovane vestito di velluto e di pelli, scalzo, coi capelli lunghi ricadenti attorno al volto pallido, poteva sembrare il San Giovanni Battista di cui ella invocava l’apparizione. Ma San Giovanni Battista non avrebbe saltato così.
Ella si mise a gridare. Juanne l’afferrò e provò a dirle qualche parola, ma anche lei, come il cane, non volle tacere. Fortunatamente le grida di lei si confondevano col baccano generale; e a un tratto, sebbene Juanne non parlasse più, cessarono. Egli s’era ricordato del consiglio del vecchio.
Quando lo spiazzo rimase deserto e i fuochi si spensero, egli uscì dalla porta della casa di ziu Sotgiu. Aveva la corda attorno al braccio.
Appena fu nello spiazzo guardò instintivamente verso la panchina, con uno sguardo trionfante.
Ma a quell’ora, naturalmente, i due vecchioni non c’erano.
Note
- ↑ Maria Antonia.