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96 | grazia deledda |
e di là coi suoi occhi neri vivacissimi, sorridendo un po' con ironia, un po' con invidia; e senza mai rallentare il freno al suo cavallo riottoso, ascoltava le chiacchiere del suo compagno e rispondeva con arguzia.
A un tratto disse, socchiudendo un occhio:
— Siete ricco come il mare, ziu Pascà, ma mi vien rabbia quando penso che tutti i vostri beni andranno ai vostri cugini…
L'uomo grasso fermò il suo cavallo e si volse con aria minacciosa.
— Juanne Pala! Se tu pronunzi ancora il nome di quei diavoli, smonto e ti prendo a sassate!
— Pace, pace; non lo farò più! — disse l'altro ridendo.
— I cugini? I parenti? Il fuoco li accarezzi! — riprese il ricco paesano. — Essi non desiderano che la mia morte. Essi hanno tentato di farmi strangolare, di farmi avvelenare: hanno commesso contro di me tutti gli orrori possibili. Alla larga! Al diavolo!
Egli raccontò che, per mezzo d'una serva, i suoi parenti avevano tentato di avvelenarlo: ora aveva paura persino delle serve, lui, Antonio Maria Pasquale Sotgiu, l'uomo più coraggioso del circondario. Aveva dovuto procurarsi una serva straniera, e prometterle un lascito per mantenersela fedele.
— Voi dovreste riprender moglie, ziu Pascà! Una buona moglie, se volete, ve la cerco io… Conosco una vedova... ma una vedova!... Grassa e fiera come una puledra di due anni... E ricca!...