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l'apparizione 103


taccò alla corda come una scimmia e riuscì nel suo intento. La luna illuminava il cortile: dall’albero era facile scendere, penetrare nella cucina, sorprendere Oja; ma egli ebbe paura di spaventare la giovine donna e preferì aspettare.

I giorni passavano. A poco a poco egli si sentiva trasportare da una passione ardente. Dimenticava i suoi calcoli per pensare al modo con cui Oja lo avrebbe accolto. La vigilia di San Giovanni egli andò a picchiare alla porta di ziu Pasquale.

— Il padrone è tornato?

— No: verrà domani.

— Oja, apri: devo parlarti di lui.

— Puoi parlare stando lì.

— Senti: dirai al tuo padrone che io voglio sposarti. Non andartene! Se tu non mi apri la porta, entrerò per la finestra.

Ella intanto la chiuse. Egli andò a lamentarsi coi vecchioni, che oramai conoscevano i suoi progetti e lo burlavano.

— Puoi arrampicarti alla torre e baciare l’orologio, prima di baciare quella lì.

Egli taceva e guardava la folla che s’adunava nello spiazzo e preparava le cataste di legna per i fuochi di San Giovanni. I bambini portavano fronde di lentischio, e gli uomini le ammucchiavano intorno ad alti pali sulle cui punte sventolavano grandi nastri e fazzoletti rossi.

La sera cadeva glauca e luminosa. Nella chiesa il vecchio parroco dava la benedizione. Le donne