X - Cristo

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IX XI

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Capitolo X.

Cristo.

Beatus riposò alquanto all’albergo; poi essendo l’ora caldissima, e vedendo nella via deserta — come sono deserte in Romagna — un tempio elevare la grandezza sconsolata delle sue mura nere, si ricordò di quello scettico motto di Arrigo Heine, dove dice che le chiese cattoliche sono fatte specialmente per passeggiarvi d’estate.

C’erano a terra cumoli di macerie. — È il campanile che è caduto per il terremoto dell’anno scorso, — gli disse un passante.

«Iddio ha percosso la sua casa, e ciò è grave», pensò Beatus. Voleva entrare; ma la porta era chiusa.

— Spinga: forse vi saranno i muratori.

Spinse ed entrò.

Delizioso! Qui si passeggia deliziosamente.

*

La chiesa non era nè basilicale nè a cupole, ma un’enorme sala rettangolare, una [p. 80 modifica]meravigliosa sala da ballo del Settecento, oltre che una chiesa.

Il soffitto lacunare, a rosoni d’oro, era in gran parte precipitato al suolo, e si vedevano squarci neri, e i graticci staccati e i legamenti interiori e le travi. Miserando spettacolo! Così è il volto dell’uomo! Staccati i muscoli dalle ossa del cranio, non resta che una maschera, fatta come un imbuto di carne. Così è il tuo bel volto, o uomo!

Precipitate, infrante giacevano le statue sul pavimento: ma tante ancora ne rimanevano! Queste parevano, come impaurite, arrampicarsi su per le pareti. Avevano manti svolazzanti, pose estatiche, declamatorie.

Erano santi, erano profeti.

Molti erano gli angioli; grandi angioli di gesso con grandi ali e con vesti succinte. Le loro teste erano chiomate e gli occhi rivolti al cielo. Oh, strani angioli! Il loro volto era amabilmente femmineo, e il loro corpo parea modellato su quello di formosissime donne.

Se l’organo grandissimo, rigonfio di oro, avesse potuto rivivere in un tempo di minuetto, pareva che tutti quegli angioli si sarebbero messi a danzare con begli inchini. [p. 81 modifica]

Così sei tu crollato, bellissimo secolo; il Settecento: i Gesuiti, Metastasio, il signor di Voltaire! L’Austria — contro cui rombano oggi tanti cannoni — regnava felice, Metastasio insegnava la virtù al suono delle sue canzoni, i Gesuiti mandavano di buon grado la gente al paradiso, Voltaire faceva divertire i gentiluomini con le sorprese della sua, ahi troppo spiritosa ragione, Rousseau faceva spargere alle dame dolci lagrime sentimentali. E dopo rullarono i tamburi, caddero le ciprie, apparvero i sanculotti, e la ghigliottina tagliò la testa ai gentiluomini e alle dame. Che stupido arnese! Eppure ogni tanto gli uomini lo invocano.

Così pensava Beatus come si pensa a inesorabili processi di chimica, quando una voce lo scosse:

— Signore, tenga pure il suo cappello in testa: questa chiesa non è più consacrata.

Non era un sacrestano che disse così a Beatus, ma un muratore, il quale aveva cappello in capo, e la pipa in bocca.

— E veramente — aggiunse colui — non [p. 82 modifica]ci si potrebbe entrare senza permesso. Ma già nessuno ci bada....

— Perchè? C’è pericolo?

— Mah! Veda lei, e capirà anche lei che non è del mestiere. Questo muro, per modo di dire, è staccato.

(È uno spettacolo che fa una certa impressione: vedere un muro, profondo un metro, staccato; e la cui fenditura sale su tetra inesorabile. Anche la nostra civiltà ha simili fenditure.)

— E intendete restaurare o abbattere? Così domandò Beatus perchè il pavimento era ingombro di mattoni nuovi, calce, arnesi dell’arte; e più specialmente perchè l’abside era tutta occupata da una enorme impalcatura.

Rispose il muratore: — Non si sa ancora.

— Mi pare però — disse Beatus — che l’abside abbia dei lavori per la sua conservazione.

— L’abside, signore, sarebbe già stata abbattuta, perchè è la parte più rovinata; ma è avvenuto questo; che il terremoto ha fatto scoprire alcune pitture. Perchè bisogna che ella sappia che questa vecchia chiesa fu ricostruita sopra altra chiesa più antica; e come furono scoperte quelle vecchie pitture, così [p. 83 modifica]sono venuti quelli del Governo: hanno dato ordine di sospendere la demolizione, e da due mesi ci lavora qui un pittore che con un suo cortellino scrosta, scrosta.

— Si può vedere?

— Venga, signore, se vuol vedere.

L’immensa abside era tutt’un affresco del Trecento, un’infinità di teste estatiche che venivano apparendo sotto l’intonaco. Un’infinita dolcezza, un’infinita armonia, un infinito desiderio di staccarsi dalla vita alitava dai volti di quei viventi attaccati sul muro. V’era un affresco che figurava una compagnia di giovani che sollevavano una giovanetta morta e beata nella morte. Tutti i volti erano beati nella meravigliosa attesa del gran secolo.

Prima di perdere il suo onesto giudizio, quella pittura sarebbe sembrata a Beatus almeno puerile. Il ragionamento della scienza che la vita vissuta con perfetta scienza può essere prolungata sino oltre i cento anni, prima lo persuadeva. Ma ora questo surrogato scientifico dell’eternità pareva a Beatus ben miserabile, e desiderava anch’egli ciò che non muore.

«Pare un canto del Purgatorio di Dante,» pensò Beatus. [p. 84 modifica]

Ma poi l’occhio di Beatus abbandonò quelle pitture e passò sul volto del muratore.

Costui era ancor giovane, in maniche di camicia, e i calzoni rimboccati sui piedi scalzi. Ma pareva qualcosa di più che un muratore. Era questione di trovare che cosa fosse, e lo fissò con tanta insistenza che il muratore domandò: — Lei mi conosce, signore?

«Ho trovato! È il sanculotto — oggi diremmo, è il bolcevico — della nostra età.»

— Se ci buttavano meno calce sopra quelle pitture, si sarebbe fatto più presto a raschiare — disse l’onesto bolcevico.

— Vedete, amico mio — disse Beatus, — questa antica purità religiosa offendeva gli sguardi dei felici abitanti del secolo decimottavo, e perciò hanno intonacato, cioè coperto, e poi sopra ci hanno cosparso quelle frenetiche pitture, che dovevano parere futuriste al loro tempo, tanto è vero che la vanità ci lasciò il nome. Vedete quel nome? Pictor bononiensis pinxit anno Domini MDCCXXVIII, mentre queste antiche pitture sono senza nome, perchè realmente noi non abbiamo nome, o almeno Dio solo è giudice se dobbiamo avere un nome. E così quest’ombra di mistero che [p. 85 modifica]qui ci avvolge, spiaceva al secolo dei lumi, e ne fecero una sala chiara, a stucchi ed oro, anzi una sala da ballo.

L’onesto bolcevico capì, perchè rispose con questa risposta sintetica e lirica insieme:

— Era meglio buttar giù tutto. Già, se il Governo borghese ha detto di conservare, vuol dire che era meglio abbattere tutto.

— Non discuto, amico, i vostri sentimenti: ogni età copre di calce l’età precedente come si fa coi cadaveri; ma certo poi qualche altra cosa dovrete pur costruire, se no dovreste distruggere anche voi stessi, che fate i muratori.

— Lei, signore — disse il buon bolcevico — non ha visto la Madonna.

— Esiste anche una Madonna?

— Questo che ella vede qui in basso, è l’abito: la testa è più su. Venga.

Beatus salì per l’impalcatura. Le asse ballavano in modo allarmante.

— Siamo al sicuro?

— Caspita! Ci dobbiamo passar noi muratori.

Giunse Beatus davanti alla testa della Madonna. Entro un’aureola a rilievo era la testa [p. 86 modifica]chiara della Madonna. Enorme! La dea guardava con penetranti pupille.

Dalla aureola, come da una pietra scagliata in acque profonde, si dipartivano cerchi concentrici sempre più grandi.

— Dicono che è molto bella, signore — spiegò l’onesto bolcevico.

— Infatti è impressionante.

Non era propriamente la Madonna bizantina, e nemmeno la Madre lagrimosa: piuttosto pareva come il simbolo di una gran forza cosmica, qualcosa come la luna, che è armonica e disarmonica insieme: qualcosa che vince la morte.

Il muratore disse: — Tutti quelli che l’hanno vista, ammirano le mani.

— Infatti sono mani da gran signora: lunghe, affusolate. Ma che mani! Se prende, caro amico, me o lei, chi sa dove ci butta.

L’onesto bolcevico guardò con curiosità quell’omino vestito da civile che mostrava di credere nelle mani della Madonna e disse: — Sono cose che le davano da intendere i preti, una volta; ma adesso non ci credono più nè pur loro.

— Eh, mio caro amico — disse Beatus con aria compunta —, non si sa mai! [p. 87 modifica]

— Per me faccia lei — disse l’onesto bolcevico con indifferenza. — Ma lei, signore, non ha visto la cosa ancor più bella.

— Più bella di questa Madonna?

— Certo: Cristo. Qui sono i piedi, lassù, in alto in alto, è la testa.

Beatus salì ancora. E salendo, l’immensa sala da ballo del Settecento pareva sprofondare, e tutte le statue di gesso parevano inabissarsi.

— Ecco —, disse l’onesto bolcevico.

Beatus si trovò, come Dante nel Paradiso, davanti alla faccia di Cristo, e gli venne un po’ da ridere.

Però era una strana enorme imagine.

Non aveva corona di spine in testa; non aveva l’aria spaurita dal martirio. Era una giovinezza forte e severa.

La chiara imagine della Madonna, che da sola era parsa terribile, riguardandola laggiù e raffrontandola con quella di Cristo, pareva, ora, dolcissima.

Certamente quella testa di Cristo era l’umanità, ma fuori da questa nostra umanità.

Beatus volle toccare, ma ne ritrasse la mano. «Io sono il tuo giudice!» Allora Beatus si [p. 88 modifica]accorse che aveva il cappello in testa e se lo levò. L’onesto bolcevico aveva la pipa in bocca ed il cappello in testa.

— Vedete, amico — disse Beatus additando Cristo —, quello è stato l’autore della più grande internazionale che mai sia esistita.

— Se vuol vedere il Padre Eterno — disse l’onesto bolcevico —, esso sta lassù su la cupola.

— Grazie, caro mio: mi pare che basti. Ma io credo — aggiunse Beatus scendendo con precauzione dall’impalcatura —, che lei non abbia torto a volere buttare giù tutto. Sono imagini che, anche attaccate sul muro, fanno una certa impressione, e possono nuocere ai suoi ideali.