IX - I lavoratori dei conigli

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Capitolo IX.

I lavoratori dei conigli.

E proseguendo il suo viaggio, fu necessità a Beatus di fermarsi in una città di Romagna perchè i treni, nell’estate 1918, avevano questa abitudine: di non proseguire, e allora bisognava fermarsi. Era la bellissima ora che le stelle si spengono e il sole si accende. La luna sbiadiva come una vela in alto mare.

Beatus, che, per ragioni d’insonnia, spesso assisteva a questo spettacolo, aveva finito per avere la illusione di un burattinaio o demiurgo esattissimo, ma meccanico, che ogni mattina si divertisse ad operare questo mutamento nel cielo. Ed è perciò che nella Bibbia sta scritto: fiat lux!

Ma mai così strano e bello lo spettacolo del sole gli era apparso, come una volta, a Roma; chè lo aveva visto alzarsi dal fondo di quella via, la quale scende diritta da Santa Maria Maggiore e poi sale, e ridiscende e risale, sin là dove essa si dilata all’obelisco del [p. 74 modifica]Pincio. Lo spettacolo aveva in sè del prodigio perchè il sole calettava entro la via, anzi era grande quanto la via, e pareva un disco di fiamma viva che il discobolo stesse lì lì per lanciare per la via sino alla meta dell’obelisco. Era decembre e l’aria pura e fredda che avvolgeva i grandi palagi, pareva rabbrividire per l’imminente passaggio del sole. Ma questo poi, come miracolosamente, si sollevava, e l’atmosfera schiariva. Ebbene nessun uomo guardò il sole. Per una settimana Beatus, essendo tutti giorni sereni, si recò in piazza Barberini a vedere il sole, nascente dalla via. Ma nessun uomo guardò. Anzi guardavano lui che da una settimana stava lì fermo, e lo guardavano come si guarda un demente.

Ma già a quell’ora antelucana, su la via del sobborgo della città, era gente che lavorava. Facevano gabbioni di conigli. V’era un uomo poderoso che immergeva le mani in certe grandi ceste, prendeva manate di conigli, li buttava in una gran stadera, pesava; e altri uomini e donne buttavano i conigli nelle gabbie. Riempito un gabbione, questo [p. 75 modifica]era soprapposto all’altro gabbione e si formavano torri di conigli.

Queste operazioni erano rapide, e nell’occhio di Beatus formarono una visione fluida, come una serie continua di conigli. Nei gabbioni poi si vedevano gli occhietti rossi dei conigli. Questi conigli erano contenti. Appena nei gabbioni, gareggiavano a rodere l’erba spagna. Quell’uomo poderoso pareva Giove che anche lui mette gli uomini nella bilancia e li precipita verso l’orco.

«Se però i conigli fossero gatti, quell’uomo — pensò Beatus — non si potrebbe mica prendere tanta libertà.»

Poco discosta da quei lavoratori del coniglio, stava ritta una donna, ed era intenta a scoiare un coniglio sospeso. Costei nella mano aveva un breve coltello a lama fissa. Era forte, giovane, aitante. Teneva le gambe larghe pur stando ritta e sufolava maschilmente in tutta pace, mentre staccava le viscere del coniglio. Aveva le carni brunite e oleose come hanno le zingare. Zingaresca ella era. Lì presso, con le stanghe a terra, era un carretto chiuso, di quelli con cui i venditori girovaghi portano le pannine. Il cavallo [p. 76 modifica]del carro girovago pascolava nel prato, sotto il carro spuntava la testa feroce di un cane incatenato. La donna, come ebbe staccato le budella, le buttò al cane. Le budella bianche rimasero avvolte come quelle che palpitavano ancora, attorno alla mano bronzea della donna. Ma costei scosse e buttò ancora al cane. Era alta una volta e mezzo Beatus, ma di forme armoniose. Così forse fu Eva primigenia!

Stando attento ai discorsi dei lavoratori del coniglio, Beatus apprese che quei conigli erano destinati a Milano, dove scoiati erano venduti a lire diciotto il chilo; e con la pelle, lire dieci.

Parevano gioiosi tutti quei lavoratori di sì insperati guadagni, e perciò lavoravano con alacrità.

Ma una donna anzianotta, di quelle che ingabbiavano conigli, vedendo fermo davanti a sè quell’omiciattolo in gilè bianco e in occhiali d’oro, prese un coniglio per le orecchie lunghissime e lo spenzolò in faccia a Beatus.

— Bellino, eh? — disse —. Lo vuol comprare?

Aveva il coniglio una certa simiglianza con Beatus: nero, e col petto candido. [p. 77 modifica]

— Veda — la avvertì Beatus saviamente — i conigli non si devono prendere per le orecchie...

Ristettero tutti un po’ a queste parole.

— L’orecchio — spiegò allora Beatus — è il solo organo di difesa che hanno questi infelici animali. L’enorme padiglione che li fa così ridicoli, è destinato ad accogliere le vibrazioni acustiche che li avvertono del pericolo. È una cartilagine delicatissima....

Com l’è curios! — disse allora la donna, che in romagnolo vuol dire, pazzerello, bizzarro.

Buona gente in Romagna a dare ascolto, nell’anno 1918, a un borghese civilmente vestito!

Ma già il capoccia, quello che immergeva le braccia nei cestoni dei conigli, faceva un gesto che voleva dire: «Andiamo, via, che non c’è tempo da perdere», quando la donna che lì presso scoiava il coniglio e pareva solo intenta a quella sua operazione, disse a Beatus in romanesco: — Ma non di’ fregnacce!

E tutti si misero a ridere. E Beatus anche. [p. 78 modifica]

Egli, oltre che delle orecchie del coniglio, avrebbe potuto parlare a quella gente del mistero del cuore e del cervello, avrebbe potuto rovesciare tutta la sua sapienza; non avrebbe destato interesse.

«E questa è la umana tragedia — diceva tra sè Beatus riguardando ancora la grande Eva —: noi ci affatichiamo per acquistar virtute e conoscenza, come dice quel Dante che si vuole insegnar nelle scuole, ed ecco che, senza avvedercene, ci troviamo fuori dell’Umanità. Noi risaliamo verso Cristo, e non ci avvediamo che Moloc è il solo vero dio dei nostri fratelli. Sono io tuo fratello in umanità, o grande Eva? Non violiamo noi, forse, eterne leggi? Ecco la natura che mi punisce. Guarda te, o Beatus, così misero uomo, e guarda invece lei, la magnifica Eva!»

Ma colei, vedendosi riguardata, disse:

Che c’è da guardà? T’anderebbe?

— Può darsi, può darsi, — disse Beatus. — E perchè no?

E tutti risero; e Beatus anche.