VIII - Una notte a Napoli

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VII IX

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Capitolo VIII.

Una notte a Napoli.

A Napoli non fu trovato il sonno nel letto dell’albergo. Pensava a quel giovane che forse non può divertirsi con le signorine perchè è avvenuto un piccolo guasto nel cervello; mentre per un guasto alla coda di una lucertola c’è il pezzo di ricambio!

Sono considerazioni tremende, che per fortuna vengono in mente a pochi, se no tutti perderebbero il sonno come Beatus.

E poi c’erano nel letto le bestioline che camminavano sopra il suo corpo, benchè fosse vivo; e facevano venire in mente altre bestioline che subito cominciano a camminare appena il corpo è morto.

E anche queste sono considerazioni che non fanno dormire.

Tuttavia chiamò il cameriere e gli manifestò la sua meraviglia per quelle bestioline. Ma il cameriere mostrò anche lui la sua [p. 63 modifica]meraviglia, come volesse dire: «lei dimentica, signorino, che le bestioline sono una nostra specialità come la grotta azzurra e la zuppa con le vòngole».

Veramente il cameriere aveva osservato che anche le bestioline sono figlie di Dio.

«Su questo non cade dubbio, ma è pure un fatto che voi altri napoletani, bravissima gente, del resto, siete di una tolleranza eccessiva verso i vostri parassiti.»

Era passata la mezzanotte, e considerando che non era il caso di bussare a migliore albergo dove non ci fossero quelle specialità, pensò di attendere l’ora di riprendere il treno camminando per le vie.

La città sotto la luna nuova, e al lume di rare lampadine velate di azzurro, si elevava fantastica. Ogni tanto, nell’alto azzurro del cielo, spiccava il profilo oscuro di un monumento. Re Angioini? re Borboni? Forse la vendetta del popolo di Napoli, che accolse con festa ogni re, e ogni re abbandonò al suo destino. Ora conserva in pietra o in bronzo i suoi re. [p. 64 modifica]

Camminò per una gran via che non finiva mai, e impauriva perchè deserta. Lo turbava il rumore dei suoi passi e gli pareva di essere solo vivo tra i morti, e benchè gli avessero detto che di notte, a Napoli, si incontrano li mariuncielli, quasi li desiderò.

Guardò il cielo per vedere se l’alba apparisse, tanto gli parve aver camminato. Ma l’orologio lo persuase dell’errore. Segnava il tocco appena dopo la mezzanotte. Dunque aveva avuto un senso vertiginoso del tempo! Ma a un certo punto gli parve che se l’alba non fosse mai apparsa, e sempre il mondo fosse stato guardato dal volto maligno della luna, sarebbe stata cosa naturale.

Ma non del tutto deserta la via. Ogni tanto sui marciapiedi, un dormiente, o un gruppo di dormienti. «Beati quelli che dormono in pace pur su la nuda pietra!»

Da un cumulo di cenci si staccava una testolina chiomata d’infante, che posava in profondo oblio. La mano di Beatus Renatus quasi si abbassò per lambire quella testa, ma poi se ne ritrasse. Pure la contemplò a lungo. Finalmente giunse a un luogo dove si vedevano camminare persone che pareano ombre bianche. [p. 65 modifica]

Era giunto in via Toledo. La ricordò nel passato: folgorante di luce per tutta la notte estiva. Ora, con la guerra, tutto era chiuso, tutto era buio, fuorchè quella fila in alto di lampadine azzurre: ma la gente lo stesso camminava la notte, vestita di bianco. Perchè cammina di notte? Perchè ha dormito di giorno. Ma parevano fantasmi senza meta. Come si era ristretta così via Toledo?

Ma i vichi stretti che salgono su da Toledo, lo attrassero per l’aspetto anche più fantastico e quasi sinistro. Pensò ai mariuncielli, a uomini sinistri, ma non se ne preoccupò. Non incontrò che mucchi di immondezza. I casamenti enormi parevano mostri con le pupille in basso. Erano le stanze a terreno, dette i bassi, ancora illuminate. In alto, lì, non si vedeva il cielo; pareva che una casa posasse la fronte sconsolata su l’altra. La casa dell’uomo, lì, era aperta su la via. Si vedevano i grandi letti copertati, che arrivavan fin sull’uscio; si vedevano gran comò con lastre di marmo: su le lastre di marmo posavano statuette di santi e [p. 66 modifica]Madonne, vestite di raso bianco, sotto campane di vetro; e davanti alle statue, lucevano globi opachi di lumi a petrolio. Pareva il culto degli antichi Lari. Donne sedevano di fuori, su i limitari.

Una donna, accoccolata, al riverbero di un lume rosso, apriva quei molluschi, che a Venezia sono detti peoci; lì, cozze. In una pentola erano immerse fette di qualcosa simile al pane. La donna toglieva con le mani quel pane e disse a Beatus:

Vulite ’a zupp ’e vòngole?

Ma poi da certo fruscìo di cose bianche, Beatus si accorse che quelle tenebre erano abitate più che non credesse; lì si esercitava il meretricio, e anche questo su la via. Come le blatte nel letto dell’albergo, così uscivano nella notte le meretrici.

Due di esse lo videro, e calarono dall’alto del vico su di lui. Erano giovanette, ma parlavano con suoni così inarticolati e gutturali, che Beatus nulla capì.

Lui parlò a loro, e quelle risposero con gesti e con grida che lui quasi ne ebbe paura.

Chi avesse veduto Beatus in tale colloquio, [p. 67 modifica]avrebbe potuto credere che egli si intrattenesse con le meretrici. Ma non è esatto. Lo interessavano molto quei suoni inarticolati. «Ammettiamo pure che io — pensava Beatus — non capisca il dialetto napoletano; ma non c’è dubbio che questi suoni inarticolati riproducono l’uomo primitivo quando non aveva ancora conquistata la parola. La parola fluente è stata un grande progresso. E allora bisogna ammettere il progresso.»

Beatus pregò quelle meretrici di parlare ancora, ma quelle mandarono forti grida, e Beatus capì che erano insolenze. E lo piantarono lì.

Beatus dilungò e vide altre donne sedute: una luce si proiettava dalla porta aperta, e dalla porta aperta si vedeva una Madonna, un idolo, splendente di amuleti. Beatus guardava.

«Vui che vulite?» disse una voce di uomo che aveva suono di minaccia. Va, va!

Quelle non dovevano essere meretrici.

Beatus dilungò in silenziosa prudenza. Ma su l’uscio lì presso, un’altra donna lo fermò [p. 68 modifica]e sì gli disse: — Signurì, quelle sono donne oneste.

Al buio non è troppo facile distinguere.

Domandò allora Beatus a quella donna:

— Voi, dunque, non siete onesta?

Ella rispose:

— La fame caccia i lupi dal monte. Venite, sono pulita. E sono bella, vedete!

Così dicendo, colei levò dalla camicia due borse come quelle che servono pel tabacco alla gente di mare.

Beatus Renatus le guardò con interesse. Colei aveva gran ventre, e gran tosse, ma disse: So’ i capellucci della criatura che tengo dint’a panza.

Ella era incinta, e domandò a Beatus Renatus l’obolo per il nascituro.

Beatus cercava di uscire da quel labirinto per tornare in via Toledo; ma ecco, davanti un’altra porta, due donne lo presero a forza: una era assai vigorosa e lo spinse dietro una tenda a striscie quasi orientali, che era dopo la porta. [p. 69 modifica]

Si trovò lì, chiuso con una piccola meretrice, gialla e rossa. — No, grazie — disse Beatus — non accetto.

Anche colei aveva lampadari e Madonne di cui diceva i nomi, Madonna del Carmine, di Monte Vergine, Sant’Anna.

Beatus si dolse della violenza usatagli dall’altra meretrice. — Oh, no, — disse colei —. Quella non era meretrice, ma donna onesta, con marito e con figli. Lei sì era meretrice, ma ne incolpò la guerra, che le aveva ucciso il suo amante. Aveva ella una posizione sociale distinta perchè era corista in una compagnia di operette; e così dicendo, quasi a testimoniare la sua antica dignità, ondeggiò il busto su le anche.

Il suo amante era lì sul comò. E così dicendo indicava un ritratto, in bella cornice, con una gran margherita. Era un giovine ufficiale di nobile aspetto.

Beatus guardò il ritratto e poi domandò: — Perchè tieni lì quel ritratto?

La meretrice stupì.

Teneva il ritratto come teneva la Madonna, perchè voleva bene al ritratto come alla Madonna. [p. 70 modifica]

— La Madonna può veder tutto — disse Beatus —; ma l’uomo che ti amò e che morì così nobilmente, non è bene che veda quello che tu fai.

Gli occhi della donna si aprirono per guardare le parole di Renatus.

Poi disse, quasi a sua discolpa: — Si lavora così poco adesso con tutti gli uomini che sono alla guerra....

— Dite lavorare?

Strana parola! Poi Beatus disse: — No, non è bene che lui assista al tuo lavoro.

— Hai ragione — disse, e nascose il ritratto nel cassetto.

Poi guardò dubitosamente Renatus, e gli domandò con stupore:

— Ma voi chi siete?

— Mah! — rispose Beatus.

E colei senz’altro lo lasciò andare.

Quando uscì da quei vichi, spuntava il mattino.

La luce accarezzò Napoli in un fascio di purità che parve di pulizia. [p. 71 modifica]

Riprese la sua valigia; e andando alla stazione, ammirò le pizze, che conservavano il bianco della farina con tutto che fossero maneggiate dalle mani del pizzaiuolo.

Ammirò il lustrascarpe che gli lucidò le scarpe in perfetto modo, forse perchè in questa operazione è doveroso sporcarsi.

Arrivò il giorno dopo a Firenze. Erano i più tremendi giorni della guerra, ma i giornalai strillavano: L’omiscidio della Contessa.

Dal barbiere, all’albergo, al caffè, le buone famiglie, sedute ai tavoli, non parlavano che dell’Omiscidio della Contessa.

In via de’ Calzaioli, due giovinetti parlavano dell’Omiscidio della Contessa, e come ella giaceva nuda, pugnalata, sul letto.

Ma poi si fermarono davanti una vetrina dove le mani di una commessa di libreria mettevano in bella mostra, delicatamente, alcuni libri con le copertine disegnate a squisite oscenità.

— A me — disse uno dei due giovinetti indicando una rivista francese, dove una [p. 72 modifica]donna si stirava la calza, dopo la quale cominciava il bianco delle carni — fa più libidine così, che vederle vere. E a te?

— Oh, guarda! — disse il compagno — quello che ti volevo dire io. — E ambedue erano meravigliati come di una loro grande scoperta.

Poveri figliuoli.

E Beatus si ricordò che i gesuiti avevano, nelle loro biblioteche, certi ripostigli di cui essi soli sapevano il segreto, dove tenevano i libri osceni.