Nota

../CLXXXIII ../Glossario IncludiIntestazione 27 dicembre 2018 75% Da definire

CLXXXIII Glossario
[p. 271 modifica]

NOTA

[p. 273 modifica]

Sulla composizione del libro di Marco Polo e sul valore delle molteplici lezioni manoscritte ed a stampa, nelle quali esso ci è pervenuto, tanto si è scritto e tante laboriose controversie si sono agitate, da Giambattista Ramusio ad Enrico Yule, che sarebbe invero, come direbbe lo scrittore del nostro codice, «troppo lunga mena» farne argomento di discorso in questa Nota. Ma sarebbe anche inutile fatica ritessere la storia varia e complessa dell’opera famosa, storia che si trova diffusamente narrata in opere e scritti molto facilmente accessibili ad ognuno1; e perciò di questa materia avrò detto abbastanza quando avrò ricordato le conclusioni piú notevoli a cui si è pervenuti.

È dimostrato adunque, ormai da lungo tempo, che il racconto del viaggio del Polo fu la prima volta dettato da lui fra il 1298 ed il 12992, nelle carceri di Genova, a Rusticiano da Pisa, suo [p. 274 modifica]compagno di prigionia, il quale scrisse la sua relazione in un francese rozzo, scorretto e infarcito di venezianismi, e in uno stile prolisso e trasandato; — che il codice, che meglio di ogni altro rappresenta la redazione originaria, è quello francese della Nazionale di Parigi, 1116 (antico 7367), pubblicato dalla Societá di geografia nel 1824; — che la copia presentata da Marco Polo a Thibault de Cepoy nel 1307, per essere consegnata a Carlo di Valois, rivela bensì qua e lá una qualche traccia di revisione dello stesso Marco, ma non acquista perciò un grado di autenticitá maggiore di quella che chiameremo anche noi del «testo geografico» (perchè la revisione del Polo non può essere stata fatta che «senza cura e superficialmente, e può anche essere stata in gran parte altrui affidata»); — e che finalmente tutte le successive redazioni volgari e latine derivarono esclusivamente dal testo geografico.ù

Di questioni d’indole generale non rimane aperta oramai che quella riguardante l’origine di quelle tali particolaritá dell’edizione del Ramusio (pubblicata nel secondo vol. delle Navigationi et [p. 275 modifica]viaggi, 1559), «che non possono attribuirsi ad una mano diversa da quella del viaggiatore». Ma anche questo argomento esorbita dai limiti della mia trattazione; e mi basta perciò riferire semplicemente l’ipotesi proposta dallo Yule (§ 63): «Io credo che il Polo negli ultimi anni di sua vita abbia aggiunto di propria mano alcune note e reminiscenze supplementari o in margine di una copia del libro o in altro modo; e che queste note..., forse durante la sua vita, ma piú probabilmente dopo la sua morte, siano state raccolte e tradotte in latino; e finalmente che il Ramusio o i suoi collaboratori, riportandole in italiano e fondendole con la versione latina di Pipino», vi abbiano aggiunto alcune minori modificazioni di nomi.

Ma veniamo ora ai testi italiani, sui quali fu condotta la presente edizione.

Il ms. italiano per molte ragioni piú autorevole, che possediamo, è sempre il magliabechiano, 11, iv, 88, citato dagli accademici della Crusca (l’«ottimo»), che fu pubblicato giá piú volte, e specialmente dal Baldelli e dal Bartoli. Questo codice «di buona lettera» reca nella prima carta una nota che si giudica veritiera: «Questo libro si chiama la Navigazione di messere Marco Polo, nobile cittadino di Venezia, scritto in Firenze da Michele Ormanni, mio bisavolo da lato di mia madre, quale morí negli anni di Cristo mille trecento nove, quale lo portò mia madre in casa mia», ecc. Dunque questa traduzione toscana, essendo stata scritta al piú tardi nel 1309, «è appena di pochi anni posteriore alla prima dettatura de’ viaggi».

Ma, nonostante questa sua grande vicinanza di tempo all’originale, l’«ottimo» non ne è certo derivato immediatamente, anzi ne è separato da forse due intermediari. È necessario ammetterne indubbiamente uno, per ispiegare l’affínitá strettissima che hanno con esso codice magliabechiano (senz’essere però in rapporto di dipendenza) altri codici fiorentini, cioè il magliabechiano, xiii, iv, 61 (del 1392), il mgb., ii, iv, 136 (pure del 1392) e l’ashburnhamiano [p. 276 modifica]525 (457), scritto nel 1391, che è il «pucciano» del Baldelli3; ed ancora l’antica versione latina pubblicata nei 1824 insieme col testo geografico, e che si suole designare col nome di «latino geografico»4, oltre ai testo veneto del cod. berlinese, Hamilton, 424 (il «soranziano»). Un altro intermediario poi è forse da supporre fra l’«ottimo» e l’originale francese: essendo che il gruppo di manoscritti, di cui ora si è detto, presenta alcune somiglianze, che paiono caratteristiche, anche coi testi appartenenti ad altro gruppo, il quale del resto ne rimane, per spiccatissimi segni, nettamente separato5.

Questo secondo gruppo, ancor piú numeroso del primo, è, nel suo complesso, almeno altrettanto importante; benchè i suoi rappresentanti siano quasi tutti assai meno antichi, ad eccezione della versione di frate Pipino (1315-1320), e di un frammento casanatense, che risale forse ai primi decenni del secolo decimoquarto6. Stando ai risultati delle mie ricerche precedenti, da me giá esposti negli scritti citati in nota, questi codici possono dividersi nei seguenti tipi:

a) il tipo della versione di frate Pipino, che comprende vari testi ed edizioni (v. Yule, Introd., § 58), oltre ad una versione in dialetto veneto della biblioteca marciana (Marc, vi, 56);

b) il tipo del frammento casanatense, al quale si collegano un frammento veneto riccardiano e vari testi toscani di assai scarso valore: il mgb., xiii, 73, il palatino, 590 (della fine del secolo xiv), e i due ashburnhamiani, 534 e 770, l’uno della fine del secolo xiv, l’altro della metá del secolo xv7; [p. 277 modifica]

c) il tipo del ms. padovano cm, 211, scritto da Nicolò Vitturi veneziano (compiuto il 24 luglio 1445)8, e del ms. della bibl. cantonale di Berna, 557, del secolo xv; tutti e due di lezione abbastanza pregevole, e non eccessivamente lacunosi, specialmente nella prima parte;

d) ed e) il tipo dei mss. in dialetto veneto, marciano, vi, 208, e lucchese, 1296, donde derivarono le famigerate edizioni venete; e quello del testo ven. del museo Correr, Donà Dalle Rose, 224, di un ms. Sloane di Londra e di un frammento della bibl. Barberini di Roma.

Come si vede, non fanno difetto i manoscritti per un’edizione italiana del Polo! Ma è proprio il caso di dire che l’abbondanza è a tutto danno della qualitá. È stata una grave iattura per la buona fama del Polo la stessa immensa curiositá che deve aver destato il suo libro appena comparso alla luce; perchè i trascrittori, incalzati dalle richieste impazienti, tiravano via alla peggio anche lá dove la materia esigeva vigili cure e particolari cautele; e cosi non si potè evitare che le copie del libro, man mano che si moltiplicavano, divenissero sempre piú difettose e deturpate.

Se una singolare fortuna ci mettesse mai fra le mani il testo, se pure ne esistette uno, della primitiva versione italiana (veneta forse?), dalla quale tutte le posteriori redazioni provennero; oppure quello, che certo vi fu, dal quale derivò, con gli altri mss. del suo gruppo, l'«ottimo»; o anche quello che originò quella serie che si rannoda alla versione di Pipino: se questa fortuna mai ci toccasse, non v’ha dubbio che non ricorreremmo piú, per leggere e studiare in italiano i Viaggi del Polo, a nessuno di questi malfidi manoscritti, che dobbiamo cosí spesso correggere col sussidio del testo originale francese. Ma, poichè il sospirato testo non si è rinvenuto e non si rintraccerá forse piú mai, e poichè coi troppo [p. 278 modifica]disparati mss. esistenti non è possibile ricostruire il prototipo perduto, chi si proponga di dare fuori oggi un’edizione italiana del Polo non può mancare di togliere ancora a fondamento l’«ottimo», così importante per la sua antichitá e per l’accuratezza della dizione.

Non si può nemmeno, del resto, prescindere in alcun modo dal valore oggettivo della versione italiana rispetto all’originale francese. Questo giá vide benissimo il Bartoli, che riferì via via quasi sempre a piè di pagina, o in apposita appendice, i passi del testo francese che nell’«ottimo» non erano riprodotti con esattezza o compiutezza sufficienti. Ma altro è il procedimento che ho tenuto io, per ottenere lo scopo medesimo: poichè, col paziente e diligente raffronto da me istituito fra l’«ottimo» e gli altri testi italiani, avendo potuto trovare spesso su quei testi medesimi, piú o meno perfetta e per sè sufficiente, la correzione di cui avevo bisogno, ho voluto tentare la reintegrazione dell’«ottimo» non piú mediante l’originale francese, ma col mezzo delle altre redazioni nostrali9.

Di esse, come ho detto, parte sono in toscano e parte in dialetto veneto. Forse sarebbe stato bene che avessi maggiormente profittato di alcuni mss. toscani, come del mgb. xiii, 73 e del palatino 590, perchè, forse, talora anch’essi mi avrebbero offerto una lezione non meno buona dei testi veneti; ma posso affermare che quasi tutte le volte (e non furono poche) che ricorsi, pel confronto, a quei mss. fiorentini, li trovai inferiori ai veneti, i quali, per giunta, non erano stati mai, prima d’ora, fatti conoscere da alcuno.

Così son venuto a citare assai piú spesso passi dei testi veneti che non dei toscani. Dei veneti tenni piú specialmente presenti, [p. 279 modifica]perchè piú attendibili, il padovano e il berlinese: e del padovano, collazionato col bernese, trassi profitto massimamente per la prima parte; del berlinese, a preferenza verso il mezzo e la fine dell’opera: giacchè non mi parve sempre uniforme e costante il loro rispettivo valore. Il ms. di Berlino, come ormai è noto, è il famoso testo del quale disse giá lo Zeno nelle Annotazioni al Fontanini (11, 271) che era posseduto «dal senatore amplissimo Iacopo Soranzo» (perciò il nome di «soranziano»), riferendone anche la prefazione: «Qui comenza il prologo del libro, chiamato de la istituzione del mondo...»; il medesimo testo che, secondo lo Zurla10, «passò poscia ad accrescere i tesori bibliografici del rinomato abate Canonici». Questo ms., per gentile condiscendenza dei preposti alle biblioteche di Berlino e di Bologna, ho potuto studiare lungamente presso la biblioteca universitaria di Bologna; e dalla collazione che ne feci con gli altri mss. e testi dovetti bensí confermarmi nell’opinione che fosse, come lo Zurla diceva, «sommamente rozzo e spropositato»; ma lo trovai spesso anche, nonostante i suoi grossi equivoci e le sue oscuritá frequentissime, quasi [p. 280 modifica]Sempre piú ricco ed abbondante dell’«ottimo». Perchè, secondo me, Il berlinese riproduce, sia pure attraverso qualche intermediario di Piú, il prototipo stesso dell’«ottimo», ma senza restringerlo in molti Dei passí che nel codice fiorentino sono piú fortemente abbreviati.

Ma, anche chiamando a raccolta quanti piú testi derivati mi Fu possibile, è chiaro che non potevo riuscire a una reintegrazione Perfetta del testo originale. Perciò mi sono spesso accontentato Di lezioni non troppo fedeli (talora anche accomodandole come Dirò fra poco), ed ho rinunziato affatto a registrare le infinite, per Quanto leggiere, deviazioni dei testi italiani, quanto all’ordine della Materia nell’ambito di ciascun capitolo: deviazioni che son dovute Quasi sempre al desiderio legittimo di dare al racconto un assetto Migliore. Di piú ho dovuto adattarmi in non pochi punti (e avrei Dovuto forse abbondare in questo anche di piú) a riferire nelle Note semplicemente la lezione del testo francese: altre volte ho Riferito il passo del francese accanto alle varianti italiane. Un Provvedimento generale ho dovuto anzi prendere per i nomi geografici E le parole straniere, che sono le piú maltrattate nei nostri Codici: ho posto cioè subito dopo la forma del nome quale è data Dall’«ottimo» (quando non fosse esatta di per sè, o non fosse stata Giá corretta innanzi) fra parentesi tonde, (), la lezione esatta quale È nel testo francese, e tenendo conto delle felici restituzioni apportatevi, Sulla scorta degli studi suoi propri e dei predecessori, dal Colonnello Yule11.

L’«ottimo» ordinariamente è molto piú succinto del testo francese; Ma talora ridonda alcun poco, per qualche lieve e trascurabile Aggiunta estranea a quello. Per segnalare questi ampliamenti [p. 281 modifica]nel modo piú semplice, ricorsi all’espediente di chiuderli in mezzo a parentesi quadre, [ ]; ma dovetti perciò sopprimere, per compenso, le non molte altre parentesi quadre con le quali il Bartoli distinse nella sua stampa i passí che, mancando al codice dell’«ottimo», vennero suppliti con gli altri mss. ad esso piú affini. Ridondanze analoghe dei mss. citati nelle note per lo piú ho soppresso e sostituito con puntini; e quelle poche che ho riprodotto, per dar saggio delle molte, ho egualmente contrassegnato con parentesi quadre. Nelle stesse note sono racchiuse fra parentesi tonde le parole (o anche le lettere) che valgono a correggere o supplire la dizione dei mss.; ed anche, talora, citazioni secondarie inserite nella principale.

Ho posto, nel testo, i richiami alle varianti non nel punto corrispondente al termine del passo citato nella nota, ma al principio di esso. Per rendere poi, in qualche modo, piú agevole e meno incerto il riscontro fra il testo e le citazioni, ho creduto bene segnalare nelle varianti con un asterisco il principio di quei tratti ai quali r«ottimo» non ha nulla che corrisponda, cioè che esso ommette interamente.

Si vedrá che alcune varianti sono precedute da piú di un nome di manoscritto. In quei casi devo avvertire che io mi trovavo dinanzi due o piú testi, che mi ofirivano ciascuno qualche punto, talvolta anche una sola parola, utile alla reintegrazione dell’«ottimo»: ma non giá tutti il punto medesimo (che allora avrei potuto dare egualmente la preferenza ad uno solo), bensí quale uno e quale un altro; cosicchè mi parve ben fatto di ricorrere ad una specie di contaminazione, facendo in tal modo anche dei piccoli esperimenti di restauro del primitivo testo italiano. Lo scarso valore dei singoli manoscritti, mi assolverá, io spero, dalla colpa di arbitraria contraffazione lá dove non pare da ammettere una comune dipendenza da un testo italiano, o dove si poteva rimanere incerti sulle peculiaritá dialettali dei codici: avverto, ad ogni modo, che ho posto fra i nomi dei codici per primo quello donde ho tolto di piú. [p. 282 modifica]

Non trovandosi nell’«ottimo» i primi capitoli (dal i al v incluso) li ho riprodotti anch’io, come il Bartoli, dal mgb., ii, 61 e dal ii, IV, 136. I paragrafi mancanti interamente al nostro ed agli altri magliabechiani ho sostituito coi passí che vi corrispondevano nel cod. di Berlino (si veda p. 145 e 253 sgg.); il prologo (p. 1), anzichè dal mgb., xiii, 73, come giá fece il Baldelli Boni, preferii riprodurre dal ms. padovano, che meglio s’accosta all’originale.

Dirò ancora che per la narrazione delle ultime guerre fra Argon e Acomat e dei loro successori (pp. 256-263) non mi sono sentito in grado di trascrivere per intero, e dare alla stampa, il testo berlinese, che continua anche allora a seguire, pedestre e prolisso, il testo francese, incespicando per di piú continuamente nell’interpetrazione; e perciò mi sono limitato spesso ad interrompere la citazione quasi subito dopo averla cominciata, o a riprodurla con numerose e ampie lacune12.

Non mi resta che a dire qualche parola sul metodo da me seguito nella riproduzione dell’* ottimo». Benchè il Bartoli abbia, come dice nella sua prefazione (p. lxxxii), «attentamente conferita col codice» la lezione del Baldelli, «a fine di correggere le sviste del primo editore», io avrei egualmente desiderato di rifare nuovamente questo lavoro di revisione, tanto piú dopo che mi accorsí che qualche inesattezza sfuggì anche al Bartoli. Ma tale mio desiderio non potè, per varie ragioni, venire adempiuto. La gentilezza del prof. Salomone Morpurgo, che riscontrò per me nel codice non pochi passí che mi parevano dubbi, mi permise però di riparare ad alcuni, sia pur lievissimi, guasti13: e di questo favore lo ringrazio qui pubblicamente. Qualche modificazione ho poi apportato [p. 283 modifica]alla interpunzione del Bartoli, in modo da rendere piú agevole la lettura, specialmente di quegli interminabili periodi fatti di membretti giustapposti, co’ quali non si sa mai dove si vada a finire.

Per l’ortografia ho seguito il metodo degli Scrittori d’Italia. P. es., ho soppresso tutti gli «h» non necessari alla pronuncia (anche nei nomi propri: per es. «Samarca» per «Samarcha», «Gaindu» per «Ghaindu», «colonna» per «cholonna»); ho mutato «Gienova» in «Genova», «giettano» in «gettano», «bocie», in «boce»; «Singni» in «Signi», «accqua» in «acqua»; ed ho sciolto «insú» in «in su», «allaltra» in «all’altra», «va» in «v’ha».

Nelle note ho adottato la grafia piú semplice che potessi, non giá perchè non mi paresse utile per gli studiosi conservare particolaritá che hanno spesso il loro valore, ma per non porre anche qui troppe difficoltá ad una lettura spedita. Ho trasformato cosí, p. es., «Nicollò, vollentiera, fatello», in «Nicolò, volentiera, fatelo»; «segnior, regniame» in «segnor, regname»; «messese» in «mesese»; «chosse» in «cose»; «ninonnè» in «ni non è», ecc. ecc., ed ho fatto largo uso di accenti. Ho conservato però, almeno spesso, perchè credo corrisponda alla pronunzia effettiva, la «m» finale in luogo di «n» (es. «bem» per «ben», «domam» per «doman»), e la «n» di «tenpesta», «scanpar», ecc.

Ferrara, aprile 1912.

Dante Olivieri.





  1. Intendo dire della Disseriazione sui viaggi di Marco Polo (Venezia, 1818) dell’ab. Placido Zurla; della Storia del Milione (p. v-clxxii) premessa da G. B. Baldelli Boni alla sua edizione del Milione di M. Polo (tomo i, Firenze, 1827); dello studio del Lazari compreso nella sua ed. dei Viaggi (Venezia, 1847); e specialmente della Introduzione di Adolfo Bartoli alla sua edizione (Viaggi di M. P., Firenze, 1863), e di quella premessa al primo volume dell’ed. inglese di Henry Yule (The book of ser M. Polo, London, Murray, 1a ed., 1871; 2a ed., 1875); della quale ultima (col titolo Marco Polo e il suo libro) Guglielmo Berchet ci diede la traduzione italiana (Arch. veneto, 1871, 11, 124-174 e 261-350).
  2. Non sará forse superfluo, per i piú dei lettori, ricordare qui i momenti e le date piú importanti della vita di Marco Polo. Il nostro viaggiatore, nominato, fra l’altro, in un doc. del 10 aprile 1305 come il «nobilisvir Marchus Paulo Milioni», nacque a Venezia nel marzo 1254: era quindi giovane di quindici anni quando il padre Niccolò e lo zio Matteo ritornarono a Venezia dal loro primo viaggio in Oriente, nel 1269. Nella primavera o estate del 1271 i due fratelli Polo ripartirono da Venezia col giovinetto Marco, e nel novembre lasciarono San Giovanni d’Acri. Ma non prima del maggio 1275 giungono alla corte mongolica di Cublai Can: e allora Marco aveva ventun anno. Rimangono quivi fino al 1292, nei primi mesi del qual anno i Polo salpano dal porto di Zayton, intraprendendo, per mare, un viaggio non meno fortunoso di quello di andata; e non rivedono Venezia che intorno al 1295. Non esiste ormai quasi nessuna incertezza (v. Bartoli, pp. x-xviii, e Yule, g 37) che la battaglia nella quale Marco fu fatto prigioniero dai genovesi sia stata altra da quella di Curzola, avvenuta il 7 sett. 1298, secondo aveva affermato giá il Ramusio, sebbene con un errore di data. Nelle carceri di Genova il Polo trovò, prigioniero ancora dal tempo della battaglia della Meloria (6 agosto 1284), Rusticiano da Pisa, e di lui si valse, come abbiamo detto, per la stesura del suo racconto. Breve fu però la sua prigionia, perchè la pace fra i veneziani ed i genovesi fu ratificata a Venezia il i luglio 1299. Aggiungiamo qualche altra data: nell’agosto 1307 il Polo consegna una copia del suo libro al signore di Cepoy; il 9 gennaio 1324 firma il suo testamento; nel 1325 è giá morto.
  3. V. Baldelli, p. cxxv; e il mio studio Di una famiglia di codici dei «Viaggi» di M. Polo (Atti del r. istit. veneto, lxiv2, 1904-5, p. 1643).
  4. Yule, § 55. È il ms. della bibl. naz. di Parigi, n. 3195.
  5. Di una famiglia, ecc., pp. 1647-50.
  6. V. Pelaez, Un nuovo testo veneto del «Milione» di Marco Polo, in Studi romanzi di E. Monaci, iv, Roma, 1906.
  7. Di una famiglia, ecc., pp. 1642-4; Ancora sulle redazioni venete dei Viaggi di M. P. (in Atti del sesto congresso geografico italiano, Venezia, 1908), § 5.
  8. Di una famiglia, ecc., p. 1640 n.
  9. Anche il Baldelli Boni (1827) appose a piè di pagina citazioni di mss. diversi dall'«ottimo» (esclusivamente toscani); ma egli, quando preparava l’edizione, non conosceva ancora la pubblicazione del testo geografico; e perciò le sue citazioni sono fatte a caso, e non possono fornire elementi di confronto in qualche modo utilizzabili.
  10. Zurla, Di M. Polo e degli altri illustri viaggiatori veneziani (Venezia, Picotti), 1818, I, 30. — La presenza di questo ms. nella bibl. di Berlino (Hamilton, 424) fu segnalata giá da parecchi anni da L. Biadene, che ne diede anche la descrizione (Giorn. stor. della lett. it., x, 342-3). — Esso è di discreta scrittura, ma deriva certo da una copia scorrettissima e difficile, perchè spesso reca parole e frasi senza senso possibile: si vede che l’amanuense scriveva pur di scrivere, anche se non intendeva l’esemplare che aveva dinanzi. — Del modo come il «soranziano» travolge e fraintende spesso il senso originario, reco qualche esempio curioso in un altro mio lavoro in corso di stampa (La lingua dei mss. veneti dei «Viaggi» di M. Polo); ma si può vedere nella presente edizione come esso frequentissimamente corregga gli errori dell’«ottimo». Si veda, per esempio, in questo volume a p. 29: «piano molto caldo» (non «cavo»); p. 74: «come una gazela» (non «gatta»); p. 118: «over per tempesta» (non «per grilli»); p. 153: «di carne, late» (non «laido»); p. 207: «ha molti fradeli» (per «fedeli»: non «figliuoli»); p. 206: «un gran tesoro» (non «due»); p. 240: «le mamele grande» (non «le mane»); p. 218: «arzente vivo» (non «siero vivo»), ecc. ecc.
  11. Ebbi cura, naturalmente, di non incorrere in errori nella riduzione della Grafia inglese. — Ho chiuso, talvolta, fra parentesi tonde, nel testo, anche parole che Non sono nomi geografici nè voci straniere: per es. a p. 87, lin. 3: «(la quarta) Singhitigni». In questi casi s’intenda che, inserendo quelle parole, mancanti al ms., la lezione Ne diviene senz’altro restaurata.
  12. Anche il Yule ha abbreviato grandemente, nella sua edizione, il racconto degli ultimi capitoli.
  13. Ecco le correzioni: p. 136, linea settultima: «e pesa questa forma da una mezza libra», invece di «e preso queste forma, dá una mezza libbra >> (Bart., 172); p. 227, lin. sestult.: «se togliesse uno uovo», dove il Bart. ha «togliassi uno uovo» e il Baldelli «togliessi»; p. 231, lin. 8: «se ne pigliono» e non «pigliano»; p. 236, lin. ultima: «e costoro dicono che li loro antichi...», dove il Bart. ha «di costoro dicono...». E ancora, dall’Errata corrige: p. 19, lin. 10 «navicano» e non «navicare»; p. 53, lin. 6 «ma vivono di terra», non «in terra»; p. 170, lin. 2 «e fendonle» e non «e fandonie»; p. 231, lin. 8 «se ne pigliono» e non «pigliano». A p. 152, lin. 20, ho introdotto una correzione ovvia, ma contro la lezione del cod.: «Bancala, ch’è» invece di «Bancaleche».