1946

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1946


1° gennaio.

Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sí, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo.

Hai due volte sfiorato il suicidio quest’anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene?

Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno?

6 gennaio.

Gli dèi per te sono gli altri, gli individui autosufficienti e sovrani, visti dall’esterno.

12 gennaio.

Nella tragedia greca non ci sono i malvagi. Non vi si chiarisce una responsabilità, si constata un fatto — un destino.

26 gennaio.

Essere indurito — vuol dire aver sempre piú chiaro davanti il proprio lavoro, vederlo compiersi, sapere che minimi scatti bastano [p. 291 modifica]a mantenere l’impulso, e lasciare che gli altri — le altre — ti giochino intorno con le loro tentazioni e richiami. Si conosce tutta la strada, la commozione, il tumulto, la bufera — si lascia che scoppi, senza in fondo esserne presi né dominati. Si ha altro da fare. Questo è essere indurito.

L’«essere un dio» dei dialoghetti mitici è questo «essere indurito». Contenuta ricchezza del loro formulario — destino, dio, mortale, nome, sorridere ecc. sono realtà piene soltanto sul piano di quel mondo. Ambiente, accento, sfondo sono coerentemente mitici, non direbbero quanto dicono se ridotti alla contemporanea plausibilità.

8 febbraio.

L’altr’anno, in questi giorni, non sapevi quale massa di vita ti attendeva nel giro di un anno. Ma fu vita veramente? Forse la triste e chiusa passeggiata su per Crea ti disse simbolicamente di piú che non tante persone e passioni e cose di questi mesi.

Certo, il mito è una scoperta di Crea, dei due inverni e dell’estate di Crea. Quel monte ne è tutto impregnato.

Oggi la donna di ** entrò abitualmente nello studio e ci salutò — salutò me — e si sedette tranquilla, e poi mi guardava.

Non c’è uomo che non abbia una donna, un corpo umano, una pace. Tu l’hai?

Ma il marito della donna di ** chi è? lui ha ancora una donna?

Chi non ha avuto sempre una donna, non l’avrà mai.

Certo, avere una donna che ti aspetta, che dormirà con te, è come il tepore di qualcosa che dovrai dire, e ti scalda e t’accompagna e ti fa vivere. [p. 292 modifica]

Sei solo. Avere una donna che parla con te non è nulla. Conta solo la stretta dei corpi. Perché perché non ce l’hai?

«Non l’avrai mai». Tutto si paga.

E chi ce l’ha ne cerca un’altra. *** E cosí via.

Fin che vorrai essere solo, ti verranno a cercare. Ma se allunghi la mano, non vorranno saperne. E cosí via.

13 febbraio.

Tu ricordi meglio le voci che non i visi delle persone. Perché la voce ha qualcosa di tangenziale, di non raccolto. Dato il viso non pensi alla voce. Data la voce — che non è niente — tendi a farne persona e cerchi un viso.

16 febbraio.

Cose e persone sono nostre, cioè contano per noi, solo in quanto ci costano, non in quanto ci danno. Per legarsi una creatura bisogna sfruttarla, non servirla.

20 febbraio.

(Prefazione ai dialoghetti)

Potendo, si sarebbe volentieri fatto a meno di tanta mitologia. Ma siamo convinti che il mito è un linguaggio, un mezzo espressivo — cioè non qualcosa di arbitrario ma un vivaio di simboli cui appartiene — come a tutti i linguaggi — una particolare sostanza di significati che null’altro potrebbe rendere. Quando riportiamo un [p. 293 modifica]nome proprio, un gesto, un prodigio mitico, diciamo1 in mezza riga, in poche sillabe, una cosa sintetica e comprensiva, un midollo di realtà che vivifica e nutre tutto un organismo di passione, di stato umano, tutto un complesso concettuale. Se poi questo nome, questo gesto e prodigio ci è familiare fin dall’infanzia, dalla scuola — tanto meglio. L’inquietudine è piú vera e tagliente quando sommuove una materia consueta. Qui ci siamo accontentati di servirci di miti ellenici data la perdonabile voga popolare di questi miti, la loro immediata e tradizionale accettabilità. Noi abbiamo orrore di tutto ciò che è incomposto, eteroclito, accidentale, e cerchiamo — anche materialmente — di limitarci, di darci una cornice, d’insistere su una conclusa presenza. Siamo convinti che una grande rivelazione può uscire soltanto dalla testarda insistenza su una stessa difficoltà. Non abbiamo nulla in comune coi viaggiatori, gli sperimentatori, gli avventurieri. Sappiamo che il piú sicuro — e piú rapido — modo di stupirci, è di fissare imperterriti sempre lo stesso oggetto. Un bel momento quest’oggetto ci sembrerà — miracoloso — di non averlo mai visto.

Tanta felicità senz’avventura nasce probabilmente dal fatto che sei aperto a tutte le avventure — te le vedi d’attorno, e non fai nulla per imporle o per subirle. Che cosa fai? Le vedi, vivi la tua mania, e ti conosci. Cambierebbe qualcosa a trovartici dentro?

Le opere di poesia vanno fatte com’è questa tua felicità. Un incredibile equilibrio di sí, di affermazioni, tutte al punto di venir pronunciate, tutte ricche d’infinita possibilità che impende e non si scarica mai. L’arte del non godere, questa è l’arte.

La poesia non è un senso ma uno stato, non un capire ma un essere. [p. 294 modifica]

22 febbraio.

Sei tornato a passar solo, la sera, nel piccolo cine, seduto nell’angolo, fumando, assaporando la vita e la fine del giorno. Guardi il film come un bimbo — per l’avventura, per la piccola emozione estetica o mnemonica. E godi, godi immensamente. Sarà cosí a settant’anni, se ci arrivi.

23 febbraio.

Qualcosa finisce. Te ne accorgi dal fatto che, quando ti abbandoni e ti siedi a fumare, sei inquieto e ansioso. Temi cose della pratica? No. Temi il tuo vuoto.

Questa città non ha ricordi.

24 febbraio.

Di nuovo solo. Ti fai casa di un ufficio, di un cine, di due mascelle serrate.

Nella storia di una passione la fine dovrebbe essere segnata dal rinato bisogno della casa, dell’isolamento.

26 febbraio.

Con gli altri — anche con l’unica persona che emerge — bisogna sempre vivere come se cominciassimo allora, e finissimo un istante dopo.

1° marzo.

Lei ha sempre fatto i suoi capricci e il suo comodo — ha chiesto, rifiutato, strappato — ma è stata cordiale, e si salva. Lui ha [p. 295 modifica]dato quasi tutto, ha perso sonno e fatiche, ha sfiorato la morte — ma tutto era soggetto alla grande esigenza — e che altro può che dannarsi?

Fessi gli etnologi che credono basti accostare le masse alle varie culture del passato — e del presente — per avvezzarle a capire e tollerare e uscire dal razzismo, dal nazionalismo, dall’intolleranza. Le passioni collettive sono mosse da esigenze d’interessi che si travestono di miti razziali e nazionali. E gli interessi non si cancellano.

3 marzo.

Vendicarsi di qualcuno! Fa’ come se lo perdonassi — abbandonalo alle vendette della vita. Non c’è trascorrere di tempo che non infligga da sé, senza spinta da parte dell’offeso, cose atroci a ciascuno.

E non soltanto il tempo — gli stessi altri, quegli altri magari che ti han fatto offendere, violare, mutilare dal tuo nemico. Lasciali fare, tutti. Ti vendicheranno. Quanto piú cari saranno al tuo nemico. Basta lasciarli vivere. Tutti. Che vendetta sarebbe se non ci fossero tutti?

4 marzo.

Tu sei per le donne che ami come per te una di quelle donne che ti sgonfiano.

Non c’è vendetta piú bella di quella che gli altri infliggono al tuo nemico. Ha persino il pregio di lasciarti la parte del generoso.

9 marzo. (Uscio)

Gli dèi non hanno sentimenti. Sanno quello che deve succedere e come deve lo fanno — sono utilitari. [p. 296 modifica]

14 marzo.

Gli uomini non si lagnano del soffrire, ma dell’autorità che li supera e tiene e fa soffrire.

28 marzo.

Lavandosi le mani a un rubinetto, viene voglia di pisciare. Bell’esempio di magia simpatetica. Si capisce come i selvaggi credessero di impetrare la pioggia spruzzando acqua, o sperma.

29 marzo.

Questa sensazione di essere cornered, à bout, ecc. non l’avevo mai provata come in questi pomeriggi e in queste sere. Il vuoto non è piú supplito da nessuna scintilla vitale. So bene che piú in là non andrò e ormai tutto è detto. Fallimento anche peggiore in questo che qualche risultato ho ottenuto, e non posso cosí abbandonarmi a un totale tracollo. E so che mi solleverò e farò ancora cose. Ma la crepa c’è, evidente. Hell.

31 marzo.

La saggezza del destino è in fondo la nostra stessa. Perché noi l’accompagnamo con un’incessante coscienza di quello che in fondo in fondo ci è concesso fare. Per tentazioni che abbiamo, non ci sbagliamo mai. Agiamo sempre nel senso del destino. Le due cose sono una sola.

Chi si sbaglia è chi non capisce ancora il suo destino. Cioè non capisce qual’è la risultante di tutto il suo passato — che gli segna l’avvenire. Ma lo capisca o no, glielo segna lo stesso. Ogni vita è quello che doveva essere. [p. 297 modifica]

3 aprile.

Nera ardente — bionda glaciale — fanno una coppia sorprendente. Chi non direbbe che ho la grande fortuna? Con una va il corpo, con l’altra lo spirito — ma per fare qualcosa bisognerebbe invertire — con la nera lo spirito, con la bionda il corpo. Invece non è nulla, e tanto meglio.

4 aprile.

Ogni mattino — sotto forma di tanfo, umidiccio, tepore, lasciamo come uno stampo, come un corpo astrale, la stanchezza nel letto.

8 aprile.

Se tu sei tu, io sono io — il che vuol dire che non so che cosa farmene.

10 aprile.

Gli intellettuali che sono divisi dal P. C. sulla questione della libertà, dovrebbero chiedersi che cosa intenderebbero fare di quella libertà di cui sono tanto solleciti. E allora vedrebbero che — tolte le pigrizie, tolti gli interessi inconfessati di ciascuno (vita comoda, meditazione indeterminata, sadismi eleganti) — non esiste istanza in cui diano risposta diversa da quella collettiva del P. C.

16 aprile.

Questo senso di forza, di potere ogni cosa — viene dallo stipendio o dalla maturità? Se tremando per la tua vocazione hai fatto ciò che hai fatto, che cosa dovresti far oggi? Vergògnati. [p. 298 modifica]

17 aprile.

[......]2.

Ecco: quel che non ti va nella psicanalisi è la evidente tendenza a trasformare in malattie le colpe. Capirei trasformarle in virtú, in modi di essere energici, ma no — si scopre il trauma che fa si che hai paura, per esempio, dei ranocchi e allora aspetti la guarigione. Balle!

Siamo chiari: non ho niente contro il formulario psicanalitico — ha arricchito la vita interiore — ce l’ho contro le facce di bronzo che se ne servono per scusare la loro pigra svogliatezza e credono che sentirsi dire che inculare i ragazzini è un risultato di una loro esperienza del cavatappi, sia una giustificazione. Nossignore. Non bisogna inculare i ragazzini.

25 aprile.

Ogni sera, finito l’ufficio, finita l’osteria, andate le compagnie — torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. È l’unico vero bene quotidiano.

Scoperto che ogni cantuccio di natura ha un ordine, un piano di rapporto. Per esempio i fiori di uno stesso ambiente hanno tutti colori di un dato tono. Ter. suggerisce che è perché c’è una particolare luce e umidità. Vero. Non occorre scomodare la provvidenza. Basta il gioco delle leggi naturali.

Ter. è il solito aftermath delle tue passioni. Loro alte, lei piccina; loro dure, lei dolce e allegra; loro difficili e complicate, lei aperta e cordiale; loro nemiche, lei buona compagna. Esce naturalmente da una passione che l’ha lasciata stremata e wistful. Come tutte le sue precorritrici. Finirà come loro? [p. 299 modifica]

4 maggio.

È bello scrivere perché riunisce le due gioie: parlare da solo e parlare a una folla.

Se ti riuscisse di scrivere senza una cancellatura, senza un ritorno, senza un ritocco — ci prenderesti ancora gusto? Il bello è forbirti e prepararti in tutta calma a essere un cristallo.

5 maggio.

Qual’è la vita di questi tipi? Una gaiezza, un sorrisetto, una bizzarria di vestiario o di parola. Ne hai altre tu?

8 maggio.

Roma e il suo significato nella mia vita l’ho già veduto il giugno-luglio ’43. Notare che c’è un rapporto stretto fra le letture che da piú di un anno facevo (etnologia) e il fatto di Roma. Perché ci son venuto, e per caso?

Maturato tutto il mondo mito-etnologico, ecco che torno a Roma, e invento il nuovo stile dei dialoghi e li scrivo.

23 maggio.

Scontrato un tipo, senza dubbio, eccezionale. S. A. Non sentito il minimo impaccio. La comprendo totalmente. Sono piú ricco di lei. Non soltanto perché piú giovane, ma in assoluto. So che cos’è forma; lei non lo sa.

Eppure lei è il fiore di Torino 900-10. Mi commuove come un ricordo. C’è in lei Enrico Thovez, Cena, Gozzano, Amalia, Gobetti. C’è Nietzsche, Ibsen, il poema lirico. Ci sono tutte le esitazioni e i pasticci della mia adolescenza. Lontana. C’è la confusione di arte e vita, che è adolescenza, che è dannunzianesimo, che è errore. Tutto vinto e passato. [p. 300 modifica]

24 maggio.

Non puoi soffrire un improvviso mutamento irrazionale nella tua giornata. Un altro a pranzo, un viaggio insolito, ecc. Non somiglia alla tua mania — scoperto un genere — di fartene uno schema doveroso (Mari del Sud, Le streghe ecc.)?

31 maggio.

Visto molte cose giungendo in Piemonte da Roma. Le piante delle campagne e la loro collocazione (ontani, querce, orni, salici, viti e grandi file, a quinta teatrale, nelle pianure) sono quelle di Virgilio e di altre letture classiche della mia adolescenza. Visto che piú che l’albero in Piemonte c’è il verde, il mare vegetale. Strano perché gli alberi dei classici erano certo quelli di Roma e io invece li ho visti piemontesi, e li ritrovo qui soltanto. Sarà perché leggevo in Piemonte.

Colto le lunghe alte vie cittadine nella loro astrattezza. Sentito, stamattina, il perenne vapore di nebbiólina, che sfuma tutto. Niente della secchezza, del colore netto di Roma.

3 giugno.

Il fascino del viaggiare è lo sfiorare innumerevoli scene ricche e sapere che ognuna potrebbe esser nostra e passar oltre, da gran signore.

18 giugno.

È ridicolo cercare l’altruismo in una passione che è tutta fatta di orgoglio e di voluttà.

19 giugno.

Io comincio a far poesie quando la partita è perduta.

Non si è mai visto che una poesia abbia cambiato le cose. [p. 301 modifica]

23 giugno.

È il solito marasma di una fine di passione — anarchico, spossato e velleitario. Ma stavolta non c’è stata passione — tanto meglio si vedono le componenti pigro-voluttuose del mio abbandono. La pura legge del mio mito. Come chiusa della vita romana non potevo immaginare nulla di piú a proposito.

Quando io devo abbandonare una città, la città si mette a marcire. Sono fortunato.

24 giugno.

Suo soddisfacimento amoroso è la smorfia di dispetto che riesce a strappare a una donna. Altro sorriso non ottiene.

27 giugno.

Tentazione dello scrittore

Aver scritto qualcosa che ti lascia come un fucile sparato, ancora scosso e riarso, vuotato di tutto te stesso, dove non solo hai scaricato tutto quello che sai di te stesso, ma quello che sospetti e supponi, e i sussulti, i fantasmi, l’inconscio — averlo fatto con lunga fatica e tensione, con cautela di giorni e tremori e repentine scoperte e fallimenti e irrigidirsi di tutta la vita su quel punto accorgersi che tutto questo è come nulla se un segno umano, una parola, una presenza non lo accoglie, lo scalda — e morir di freddo — parlare al deserto — essere solo notte e giorno come un morto.

2 luglio.

Basta mentire — esagerare, giocare sulla situazione data — ed ecco che i risultati sono eccezionali, ecco che vedi l’altra esitare e soffrire. Puoi chiedere di piú? Il gioco carnale non può uscire dalla menzogna, dal press’a poco. [p. 302 modifica]

5 luglio.

Salvata la libertà, i liberali non sanno piú che farsene.

7 luglio.

Dissoluto e impacciato, quindi grave e austero. «Mimo» dice *. Non sa quanto ha ragione. Sua moglie perché si strofina a me, per poi scappare con lui? Evidente, no?

T. perché mi guarda con occhi che non vedono e sono preoccupati? Ha paura che glieli fermi.

C’è stato addio piú lugubre? Piú meritato?

(finita Roma)


13 luglio. (Milano e Serralunga)

Quel che commuove nello spettacolo della distanza — per esempio una pianura collinosa vista da una collina piú alta — è la coscienza che quelle plaghe di tinta neutra, quelle nubecole, quelle distese fumose e chiazze — quel colore azzurro di lontananza — sono altrettante cose, oggetti, campagne finite e nitidamente fatte. È ricca quella lontananza ch’è fatta di cose reali e perfette.

19 luglio.

La confidenza che quella ragazza è sensualissima, non pensa che all’amore — fatta adesso dall’amica che sa tutto — non gonfia improvvisamente il tuo cuore di rimpianto, di delusione, di fallimento? Ti ha avuto tra le braccia e non ti ha voluto. O non l’hai presa? Vecchia storia.

20 luglio.

«Dopo ogni sorso il bevitore torce la testa, dibatte la faccia come il nuotatore, soddisfatto, torna a bere, è comico». Tratto [p. 303 modifica]che non morde, che va evitato. È la finta finezza, di sapore francese.

21 luglio.

(rileggendo Frazer)

Nel 1933 che cosa trovavi in questo libro? Che l’uva, il grano, la mietitura, il covone erano stati drammi, e parlarne in parole era sfiorare sensi profondi in cui il sangue, gli animali, il passato eterno, l’inconscio si agitavano. La bestiola che fuggiva nel grano era lo spirito — fondevi l’ancestrale e l’infantile, i tuoi ricordi di misteri e tremori campagnoli prendevano un senso unico e senza fondo.

3 agosto.

L’accadere una volta per tutte di un fatto mitico che esprime un evento ciclico del cosmo (ratto di Core) è analogo all’espressione che si dà, in arte, a una molte volte ripetuta esperienza di paesaggio, gesto, evento. Quante volte hai osservata la collina di Quarti e Coniolo prima di esprimerla?

18 agosto.

Le lezioni non si dànno, si prendono.

19 agosto.

Perché a ogni sussulto mitico ti ritornano in mente i tronchi e il fiume e la collina con dietro la luna e la strada e l’odore di prato e di campo, del tuo paese? [p. 304 modifica]

21 agosto.

Gli antichi si compiacevano di collocare un dio in luoghi esotici, lontani, o dargli epiteti in questo senso, o chiamare con nomi di casa luoghi lontani e viceversa — ciò è come dire che erano letterati anche loro.

9 settembre.

Pensa male, non ti sbaglierai.

Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco.

Si ha pietà di tutti — meno di quelli che si annoiano. Eppure la noia è considerata una massima pena e comminata dal codice — il carcere.

15 settembre.

Aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettar niente che è terribile.

16 settembre.

C’è un solo piacere, quello di essere vivi, tutto il resto è miseria.

27 settembre.

Per chi sa scrivere, una forma è sempre qualcosa d’irresistibile. Corre il rischio di dire sciocchezze e di dirle male, ma la forma che lo tenta pronta a imbeversi delle sue parole, è irresistibile. (Intendo per esempio il genere del dialoghetto mitologico tuo). [p. 305 modifica]

29 settembre.

il realismo, in arte, è greco
l’allegorismo è ebraico.

(a Torino)


5 ottobre.

Che la guerra risani il mondo rinnovandolo può darsi sia vero. Ciò nascerebbe dal fatto che in tempo di guerra si rimpara a vivere auspicando al domani, alla fine del presente, e non si sta attaccati al tempo come avari. Si vive cioè come i giovani. Che è l’efficacia in genere di qualunque dolore.

I filari di una vigna folta sono schierati — verdi o rossicci o gialli — come le onde di un mare, e contengono a gorghi la ricchezza di un mare. Frescura, stupore, tesori celati.

26 ottobre.

Do dentro al romanzo. La Piv. si è sposata stamattina. Sono raffreddato. Bene.

27 ottobre.

Quel che accade una volta, accade sempre. Salvo interventi esterni. Ma allora sarà un fatto negativo.

(Un tale si comporterà sempre in un modo.
Diverrà paralitico e non potrà piú.
Non farà in un altro modo, farà niente).

Ormai so che queste note di diario non contano per la loro scoperta esplicita, ma per lo spiraglio che aprono sul modo che inconsciamente ho di essere. Quel che dico non è vero, ma tradisce — per il fatto solo che lo dico — il mio essere. [p. 306 modifica]

31 ottobre.

Nei dialoghetti gli uomini vorrebbero le qualità divine; gli dèi le umane. Non conta la molteplicità degli dèi — è un colloquio tra il divino e l’umano.

5 novembre.

Allegoria è ogni simbolo visto attraverso l’intelligenza.

16 novembre.

Questa primavera a Roma lo zio di Pintor venne e s’era copiato i pezzi del diario di Giaime che mi riguardavano.

luglio ’42:

«P. è il migliore dei giovani di Torino, sobrio e sincero».

«i gentiluomini sono un po’ come le femmine».

Perché far conferenze? Giornali e libri sono accessibili a tutti — anche ai compagni piú abbandonati. C’è dentro alle conferenze un darsi da fare spettacolare e attivistico che piace molto ai go-getters. Quanto al fatto che le conferenze spezzino piú agevolmente il pane della scienza, si risponde che nulla di culturalmente valido esce mai da una conferenza, che tutto quel che vi si è ascoltato, se deve fruttare, andrà ancora ricercato sui libri... E allora? Resta soltanto che sono una scuola di faciloneria e successo. Il compagno che non è disposto a levarsi il cappello davanti alla cultura e a faticare e a entrare in un tempio (cosí appare all’inizio poi diventa sangue proprio), resti ignorante. Se lo merita.

Se è vero che religione e magía oggettivando complessi subconsci (demoni, morti, spiriti ecc.) ne liberarono l’uomo primitivo e diedero campo all’io, altrettanto succederà in tutta l’esperienza — ciò che si sperimenta (amore, avventura, rischio ecc.), con ciò si oggettiva e ci lascia liberi. [p. 307 modifica]

26 novembre.

Quando una donna sa di sperma e non è il mio, non mi piace.

17 dicembre.

In Creta il cipresso era sacro ad Artemide.

Taigeto ed Erimanto a Artemide, Cillene a Erme.

27 dicembre.

Una donna, con gli altri, o fa sul serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell’altro e basta; se scherza, allora è una vacca e basta.


Note

  1. Nel manoscritto leggiamo: diciamo [N. d. E.].
    esprimiamo
  2. Omessa una riga [N. d. E.].