Il guarany/Parte Terza/Capitolo VII

Parte Terza - VII. Gli Aimorè

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Terza - VII. Gli Aimorè
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CAPITOLO V.


GLI AIMORÈ1.

Gli avventurieri col pugnale in alto minacciavano; ma non osavano frangere lo stretto cerchio, che li separava da don Antonio de Mariz.

Il rispetto, quella forza morale tanto possente, signoreggiava ancora gli animi di quegli uomini ciechi dalla collera e dalla concitazione; tutti aspettavano che qualcuno ferisse, e niuno avea il coraggio di essere il primo.

Loredano si accorse ch’era necessario un esempio; la disperazione del suo stato, le passioni [p. 67 modifica]ardenti che tumultuavano nel suo cuore, gli fornirono quel delirio, che supplisce al valore nei casi estremi.

L’avventuriere strinse convulsivamente il capo del suo pugnale, e chiudendo gli occhi e dando un passo alla cieca, alzò la mano per vibrare il colpo.

Il fidalgo con un gesto nobile si slargò il giubbone e discoperse il petto; non un tremito benchè minimo agitò i muscoli del suo volto; la sua fronte alta serbò la stessa serenità, e il suo sguardo limpido e brillante non si intorbidò.

Tal era l’influsso magnetico esercitato da quel coraggio nobile e altiero, che il braccio di Loredano tremò, e la punta del ferro sfiorando la candida camicia del fidalgo, paralizzò le dita contratte dell’assassino.

Don Antonio sorrise disdegnosamente; e abbassando la mano chiusa sopra il capo di Loredano, lo rovesciò a’ suoi piedi come una massa bruta e inerte; colla punta del piede gli diede poscia una spinta nella fronte, e lo stese supino sul pavimento.

Il tonfo del corpo per terra risuonò nel mezzo di un silenzio profondo; tutti gli avventurieri, muti ed estatici, parevano cercar modo di ascondersi nel seno della terra.

— Abbassate le armi, sciagurati! Il ferro che ha da ferire il petto di don Antonio de Mariz, non sarà macchiato dalla mano codarda e traditora di vili assassini! Dio riserva una morte gloriosa a coloro che vissero una vita onorata. [p. 68 modifica]

Gli avventurieri sbalorditi ringuainarono macchinalmente i pugnali; quella parola, calma e ferma, avea un accento sì imperativo, una tal forza di volontà, che era impossibile resistervi.

— Il castigo che vi attende ha da essere rigoroso; non dovete affidarvi nè alla clemenza, nè al perdono: quattro fra voi, tratti a sorte, soffriranno la pena dei felloni; gli altri faranno l’ufficio di esecutori di alta giustizia. Ben vedete che tanto la pena quanto l’ufficio sono degni di voi!

Il fidalgo pronunciò queste parole con un sovrano disprezzo, e squadrò gli avventurieri come per vedere se dal loro mezzo usciva qualche mormorio di disubbidienza; ma tutti quegli uomini, poc’anzi furiosi, stavano ora umili e cor capo dimesso.

— Fra un’ora, continuò il cavaliere accennando al corpo di Loredano, quest’uomo sarà giustiziato al cospetto della banda; per lui non vi ha giudizio; io lo condanno come padre, come capo, come uomo che uccide il cane ingrato che lo morde. È troppo ignobile per far ch’io lo tocchi colle mie armi; lo rimetto alla corda ed al coltello.

Colla stessa impassibilità e calma, conservata dal momento della sua improvvisa comparsa, il vecchio fidalgo si tolse dal cospetto degli avventurieri rimasti immobili e rispettosi, e avviossi per uscire.

Quivi si volse; e prendendo in mano il [p. 69 modifica]cappello scoperse il suo bel capo incanutito, che sopra il fondo nero della notte e nel mezzo del chiarore vermiglio delle fiaccole risaltò con una vivacità di colorito ammirabile.

— Se alcuno di voi dà il menomo segno di disubbidienza, se alcuno de’ miei ordini non è eseguito con prontezza e fedelmente; io, don Antonio de Mariz, vi giuro per Dio e sul mio onore che non uscirà di questa casa persona viva. Siete trenta; ma la vostra vita, quella di voi tutti, sta nelle mie mani; mi basta un sol moto per isterminarvi e liberare la terra di trenta assassini.

Nell’atto che il fidalgo stava per ritirarsi, comparve Alvaro pallido di emozione, ma fiero per coraggio e indignazione.

— Chi osò alzar quivi la voce contro don Antonio de Mariz? sclamò il giovane.

Il vecchio, fidalgo sorridendo orgogliosamente, pose la mano nel braccio del cavaliere.

— Non v’occupate di ciò, Alvaro; siete abbastanza nobile per non voler vendicare un affronto di questa sorte, ed io abbastanza superiore per non esserne offeso.

— Ma, signore, occorre dar un esempio!

— L’esempio sarà dato, e qual si conviene. Quivi non ci sono che colpevoli ed esecutori di pena. Il luogo non fa per voi. Venite!

Il giovane non persistè, e accompagnò don Antonio de Mariz, che avviossi lentamente alla sala, ove trovò Ayres Gomes. [p. 70 modifica]

Quanto a Pery, appena seppe che si trattava di una rivolta, andò in cerca delle sue armi e trincerossi nel giardino, risoluto a difendere la sua signora contro il mondo intero.

Il dì cominciava a farsi chiaro.

Il fidalgo chiamò Ayres Gomes ed entrò con lui nella sala d’armi, ove s’intrattennero per mezz’ora.

Ciò che accadde colà, restò un secreto fra Dio e que’ due uomini; appena Alvaro notò, quando la porta della sala si aperse, che don Antonio era pensieroso e lo scudiero livido come un morto.

In quel punto si udì un piccolo rumore all’entrata della sala; quattro avventurieri, sospesi, immobili, attendevano un ordine del fidalgo per avvicinarsi.

Don Antonio fece loro un segno; essi vennero a inginocchiarsi a’ suoi piedi; le lagrime rigavano quei volti abbronzati dal sole; e la parola balbettando tremava su que’ labbri pallidi, che poc’anzi vomitavano minacce.

— Che significa questo? domandò il cavaliere con severità.

Uno degli avventurieri rispose:

— Veniamo a metterci nelle vostre mani, preferiamo far un appello al vostro cuore, piuttosto che ricorrere alle armi per sottrarci alla punizione del nostro fallo.

— E i vostri compagni? replicò il fidalgo.

— Dio perdoni loro, signore, la enormità del [p. 71 modifica]delitto che vanno a commettere. Dopo che vi ritiraste, tutto mutò; prepararci per assalirvi!

— Vengano, disse don Antonio, li riceverò. Ma voi perchè non li accompagnate? Non sapete che don Antonio de Mariz perdona un fallo, ma non una disubbidienza?

— Accetteremo di buon grado, disse l’avventuriere che parlava in nome de’ suoi camerati, il castigo che ci imporrete. Comandate e obbediremo. Siamo quattro contro venti e più; dateci il castigo di morire difendendovi, di riparare colla nostra morte un istante di traviamento!... È la grazia che vi chiediamo!

Don Antonio guardò maravigliato gli uomini che stavano prostrati a’ suoi piedi; e riconobbe in essi il resto de’ suoi antichi compagni d’arme, nel tempo che il vecchio fidalgo combatteva i nemici del Portogallo.

Si sentì commosso; la sua anima grande, imperterrita nel mezzo del pericolo, orgogliosa al cospetto della minaccia, lasciavasi dominar facilmente dai sensi nobili e generosi.

Quella prova di fedeltà che davano que’ quattro uomini nell’occasione della rivolta generale de’ loro compagni; quell’azione che allora compivano, quel sacrifizio con cui desideravano espiare il loro fallo, li elevò nello spirito del fidalgo.

— Alzatevi. Vi riconosco!... Già più non siete i traditori che poc’anzi redarguii: siete i bravi commilitoni che pugnaste al mio fianco; quello che [p. 72 modifica]fate adesso ripara ciò che faceste un’ora fa. Sì... Meritate che muoiamo insieme, combattendo ancora una volta nelle stesse file. Don Antonio de Mariz vi perdona. Potete alzar il capo e portarlo alto!

Gli avventurieri si levarono, raggianti di quel perdono che il nobile fidalgo avea lanciato sul loro capo; erano tutti pronti a dar la propria vita per quella del loro padrone.

Ciò che era accaduto, dopo l’uscita di don Antonio dallo stanzone degli avventurieri, sarebbe lungo a descrivere.

Loredano, riavutosi dalla vertigine che gli causarono lo stordimento e la violenza della caduta, seppe dell’ordine dato a suo riguardo. Non ci avea bisogno di tanto per fare che l’audace avventuriere ricorresse alla sua eloquenza onde rieccitare la rivolta.

Dipinse la condizione di tutti come disperata, attribuì il suo castigo e le sventure che soprastavano al fanatismo per Pery; esaurì insomma tutti gli argomenti della sua facondia.

Don Antonio non era più quivi per contenere colla sua presenza gli sdegni che tornavano a fermentare, l’eccitamento che cominciava a ridestarsi cupamente in sulle prime, i lagni e le mormorazioni che alla fine fecero coro.

Un accidente venne ad aggiunger esca al fuoco che andava serpendo. Pery in sul far del giorno vide ad alcuna distanza dal giardino il cadavere di Ruy Soeiro; e per tema che la sua signora, [p. 73 modifica]svegliandosi, non mirasse quel triste spettacolo, lo tolse di là, e attraversando lo spianato andò a deporlo nel mezzo della piazzetta.

Gli avventurieri impallidirono stupefatti di quello che vedevano; dipoi proruppero in uno sdegno feroce, rabbioso, delirante; erano come invasati da furore e vendetta.

Non esitarono più; scatenossi la rivolta; solo un piccolo gruppo di quattro uomini, che dopo l’uscita di don Antonio si tennero silenziosi, non prese parte a quel subuglio.

Al contrario, quando videro che i loro compagni, con Loredano alla testa, apparecchiavansi ad assaltare il fidalgo, vennero, come si è visto, ad offrirsi volontariamente al castigo, e a riunirsi al loro capo per parteciparne la sorte.

Poco tardò a presentarsi un avventuriere come parlamentario da parte dei rivoltosi; ma il fidalgo non gli lasciò proferir parola, e rinviollo col dire:

— Riferisci a’ tuoi compagni, o fellone, che don Antonio de Mariz impone e non discute le condizioni della sommissione: che essi sono condannati, e vedranno se so o non so adempiere al mio giuramento.

Il fidalgo diede allora opera a disporre i suoi mezzi di difesa; solo poteva contare sopra quattordici combattenti; egli, Alvaro, Pery, Ayres Gomes, mastro Nunes co’ suoi compagni, e i quattro uomini che si erano serbati fedeli; i nemici erano in numero di ventinove. [p. 74 modifica]

Tutta la sua famiglia, già allora svegliata, ricevette la triste nuova di tanti avvenimenti seguiti in quella notte fatale: donna Lauriana, Cecilia e Isabella si raccolsero nell’oratorio, e orarono nel tempo che apparecchiavasi ogni cosa per una resistenza disperata.

Gli avventurieri comandati da Loredano si disposero in ordinanza, e mossero contro la casa con animo di darle un assalto terribile; il loro furore raddoppiava tanto più, in quanto il rimorso nel fondo della coscienza cominciava a mostrar loro tutto l’orrore di quell’azione.

Nell’atto che giravano l’angolo udissi un rumore, che si prolungò per lo spazio, come l’eco sordo d’un tuono lontano.

Pery trasalì, e lanciandosi sull’orlo dello spianato, stese l’occhio per la campagna che costeggiava la foresta.

Quasi al tempo stesso uno degli avventurieri al lato di Loredano cadde trafitto da una freccia.

— Gli Aimorè!

Appena Pery mise fuori questa esclamazione, una linea mobile, un lungo arco di colori vivaci e scintillanti agitossi da lungi nel piano, irradiando alla luce del sol nascente.

Uomini seminudi, di statura gigantèa, di fisonomia feroce, coperti di pelli di animali e di penne gialle e scarlatte, armati di grosse clave e archi smisurati, avanzavansi mettendo grida orrende.

La valle rintronava; e il suono de’ strumenti [p. 75 modifica]bellici, frammisto ai clamori e ai bramiti, formava un concento orribile, una gazzarra, un’armonia sinistra, che rivelava gl’istinti di quell’orda selvaggia, ridotta alla brutalità delle fiere.

— Gli Aimorè!... ripeterono gli avventurieri impallidendo.





Note

  1. Era questa una tribù di selvaggi barbarissima; aveano l’aspetto di vere fiere. La tradizione indigena portava che provenissero da una tribù di razza tapuia, che per le guerre si era internata nei deserti, e quivi separata dagli altri avea perduto gli abiti, i costumi e persino la lingua primitiva.