Il guarany/Parte Terza/Capitolo V
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CAPITOLO V.
DIO DISPONE.
Il braccio di Loredano si stese sopra il letto; ma la mano destra che si avanzava e stava per toccare il corpo di Cecilia, arrestossi nel mezzo di quel movimento, e ributtata d’improvviso, andò a fissarsi contro la parete.
Una saetta, che non si potea sapere onde venisse, avea attraversato lo spazio colla rapidità della folgore, e avanti che se ne udisse l’acuto e forte sibilo, avea confitto la mano dell’avventuriere sul muro della camera.
L’avventuriere vacillò, e rovesciossi dietro il letto; e fu in buon punto, perchè una seconda saetta, scoccata colla stessa forza e colla stessa rapidità, piantavasi nel luogo, ove poc’anzi disegnavasi l’ombra del suo capo.
Avvenne allora all’intorno di quell’innocente fanciulla, addormentata nella coscienza della sua anima pura, una scena orribile, ma muta, silenziosa, istantanea.
Loredano nell’angoscia del dolore che provava, avea compreso di che si trattava; in quella saetta, onde era stato ferito, avea indovinato la mano di Pery; e senza vederlo, sentiva l’Indiano avvicinarsi terribile d’odio e di vendetta, di collera e disperazione per l’oltraggio fatto alla sua signora.
Allora il reprobo ebbe paura; e alzandosi sopra i ginocchi, strappò convulsivamente coi denti la saetta che gli configgeva la mano alla parete, e precipitossi nel giardino cieco, sbalordito, delirante.
In quel medesimo punto, non più che due minuti secondi dopo che l’ultima freccia era caduta nella camera, le frondi dell’oleo che stava rimpetto alla finestra di Cecilia, agitaronsi, e una forma umana librandosi sull’abisso, sospesa a un fragil ramo di albero, venne a cadere sul davanzale della medesima.
Quivi afferrandosi agli stipiti, saltò entro la camera con un’agilità straordinaria; la luce battendo in pieno sopra di lui ne disegnò il corpo flessibile e le forme svelte.
Era Pery.
L’Indiano avanzossi verso il letto, e vedendo la sua signora salva, respirò; infatti la fanciulla semidesta dal rumore della fuga di Loredano, si era voltata dall’altro lato, e continuava quel sonno profondo e ristoratore, com’è sempre il sonno della gioventù e dell’innocenza.
Pery volle tener dietro a Loredano; ma determinò di non lasciar la fanciulla esposta a un nuovo oltraggio, come quello a cui testè era stata esposta, e di vegliare sulla sua sicurezza e tranquillità.
La prima cura dell’Indiano fu quella di spegnere la candela; dipoi chiudendo gli occhi avvirinossi al letto, e con una delicatezza estrema attirò la coltre di damasco azzurro fino al collo della fanciulla.
Pareagli una profanazione che i suoi occhi mirassero quelle vaghezze e quelle grazie, che il pudore di Cecilia portava sempre velate; pensava che un uomo che avesse scorto una volta tanta bellezza, non dovea più vedere la luce del giorno.
Dopo quella prima diligenza l’Indiano rimise l’ordine nella camera; ricollocò la roba nel cumò, chiuse le persiane e le imposte della finestra, lavò le macchie di sangue che erano rimaste impresse sulla parete e sul pavimento; e fece il tutto con tanta sollecitudine, con tanta leggerezza, che non turbò il sonno della fanciulla.
Terminato questo lavoro, avvicinossi di nuovo al letto, e alla luce smorta della lampada contemplò le leggiadre e incantatrici fattezze di Cecilia.
Era tanto lieto, tanto soddisfatto di esser giunto a tempo da salvarla da un’offesa e fors’anco da un delitto; era tanto felice di vederla tranquilla e sorridente, senza aver sofferto il benchè menomo affanno, il benchè menomo turbamento, che sentì la necessità di esprimere in qualche modo la sua buona fortuna.
Qual ne sarebbe il modo?
Non volea parlare, perchè desterebbe la fanciulla; se facesse un gesto, ella non potrebbe vederlo; non ardiva poi toccar nemmeno in distanza alla sponda del letto.
In questo i suoi occhi abbassandosi scoprirono sopra il tappeto della camera due borzacchini dilicati, foderati di seta, e tanto piccoli che pareano fatti per il piè d’una bambina; inginocchiossi e li baciò rispettosamente, come se fossero una reliquia sacra.
Erano allora circa le quattro e poco tardava a spuntare il mattino; le stelle già cominciavano a spegnersi ad una ad una, e la notte a perdere quel silenzio profondo della natura quando dorme.
L’Indiano chiuse per di fuori la porta della camera che metteva nel giardino, e ponendosi la chiave alla cintola, adagiossi sulla soglia, come il cane fedele che custodisce la casa del suo padrone, risoluto a non lasciar avvicinare persona.
Quivi riflettè sopra ciò ch’era avvenuto, e si accusava di aver lasciato penetrare Loredano nella camera della sua signora; Pery per altro calunniavasi, perchè solo la Providenza avrebbe potuto fare in quella notte le cose ch’egli avea fatte; tutto quanto era possibile all’intelligenza, al coraggio, alla sagacia e alla forza dell’uomo, era stato da lui operato.
Dopo la partenza di Loredano e l’intrattenimento avuto con Alvaro, certo che la sua signora non correva il minor pericolo nella casa, e che i due complici di Loredano sarebbero come lui espulsi, l’Indiano ad altro non pensando che ad un assalto degli Aimorè, era partito immediatamente.
Il suo pensiero era stato di vedere se scopriva nelle vicinanze del Paquequer indizi del passaggio di alcuna tribù della grande razza guarany, cui egli apparteneva; sarebbe un amico e un alleato per don Antonio de Mariz.
L’odio inveterato che ci avea fra le tribù della gran razza e quel popolo degenerato degli Aimorè, giustificava la speranza di Pery; ma sventuratamente, quantunque avesse corso tutto il dì per la foresta, non incontrò il menomo vestigio di ciò che bramava.
Il fidalgo era quindi ridotto alle sole sue forze; ma ancorchè queste fossero scarse, l’Indiano non si scoraggiò; avea coscienza di sè, e sapea che in un caso estremo la sua devozione per Cecilia gli inspirerebbe il modo di salvar lei e tutto quanto ella amava.
Tornò a casa a notte fatta, e recossi da Alvaro; gli dimandò che cosa avea fatto dei due avventurieri; il cavaliere gli raccontò che don Antonio de Mariz ricusava di credere alla sua accusa.
In fatti il fidalgo leale, assuefatto al rispetto e alla fedeltà della sua gente, non ammetteva che si concepisse un sospetto senza prove; tuttavia, siccome la parola di Pery era per lui di gran valore, attendea dalla sua bocca il racconto di ciò che avea udito, per vedere qual importanza dovesse dare ad una simile accusa.
Pery ritirossi inquieto e pentito di non aver perseverato nel suo primo proposito; finchè que’ due uomini, che già supponeva espulsi, erano in vita, sapea che un pericolo soprastava alla casa.
Perciò risolse di non dormire; prese il suo arco e adagiossi sulla porta della capanna: benchè avesse la carabina datagli da don Antonio, l’arco era la sua arma favorita; non richiedeva tempo per essere caricato; non facea il menomo strepito; lanciava istantaneamente due o tre colpi; e la sua freccia era non meno terribile e precisa della palla.
Dopo un lungo intervallo, l’Indiano udì cantare un gufo dal lato della scala; quel canto gli parve strano per due ragioni; prima perchè era più sonoro del gracidare di quell’uccello malauguroso; secondariamente perchè in luogo di partire dalla cima di un albero, veniva da terra.
Questa riflessione lo fè levar in piedi; diffidò del gufo, che avea abitudini così diverse da quelle dei suoi compagni e volle conoscere la ragione di quella singolarità.
Dall’altro lato dello spianato vide passar tre uomini con certa circospezione; ciò accrebbe la sua diffidenza; gli uomini di sentinella di solito erano due e non tre.
Li seguì da lungi; ma arrivato alla piazzetta, non vide che un sol uomo entrare nello stanzone degli avventurieri; gli altri erano scomparsi.
Pery esplorò da ogni parte e non li vide; eran nascosti dal pilastro, che sorgeva sulla punta della roccia, e non era possibile scoprirli.
Supponendo che fossero pure entrati nello stanzone, l’Indiano quatto quatto penetrò nell’interno di esso; d’improvviso la sua mano toccò una lamina fredda, che tosto s’accorse essere la lama di un pugnale.
— Sei tu, Ruy? dimandò una voce repressa.
Pery stette muto; ma bentosto quel nome di Ruy gli ricordò Loredano e il suo divisamente; capì che si tramava qualche cosa, e prese un partito.
— Sì! rispose con voce quasi impercettibile.
— È già ora?
— No.
— Tutti dormono.
Nel tempo di questo breve dialogo, la mano di Pery scorrendo sulla lama d’acciaio aveagli dato a conoscere che un’altra mano assicurava il manico del pugnale.
L’Indiano uscì dallo stanzone, e avviossi alla camera di Ayres Gomes; la porta era chiusa, e stavale intorno un gran mucchio di paglia.
Tutto ciò denunciava un disegno prossimo ad effettuarsi; Pery ben se n’accorse, ed ebbe tema di non essere più in tempo a sventare quell’opera scellerata,
Che faceva quell’uomo sdraiato, che fingeva di dormire, e che avea in mano il pugnale sguainato, come fosse pronto a ferire? Che significava quella domanda dell’ora, e quell’avvertenza che tutti dormivano? Che volea dire la paglia alla porta dello scudiere?
Non ci avea dubbio; eranvi nello stanzone uomini che aspettavano un segnale per uccidere i loro compagni addormentati, e gettar l’incendio nella casa; tutto era perduto, se la trama non fosse immediatamente sventata.
Occorreva destare quei che dormivano, o almeno prepararli a difendersi e involarsi ad una morte certa, inevitabile.
L’Indiano si afferrò convulsivamente la testa colle due mani, come per istrappare a forza dal suo spirito agitato e in disordine un pensiero di salvezza.
Il suo largo torace dilatossi; un’idea fortunata brillò di repente frammezzo a tanti pensieri confusi, che si urtavano e si affollavano nel suo cervello, e ravvivò il suo coraggio e le sue forze.
Era un’idea singolare.
Pery si sovvenne che la dimora degli avventurieri era piena di grosse anfore ed altri vasi capaci, che contenevano acqua potabile, vini fermentati, liquori selvaggi, di cui gli avventurieri aveano sempre abbondante provvista.
Corse di nuovo entro lo stanzone, e imbattendosi nella prima anfora trasse fuori la spina; il liquido cominciò a versarsi sul suolo; si accingeva a metter mano alla seconda, quando la voce, che già aveagli parlato, risuonò di nuovo, bassa ma minaccevole.
— Chi va là?...
Pery si accorse che il suo disegno era sul punto di fallire, e fors’anco di affrettare ciò che si studiava di evitare.
Quindi non esitò; e allorchè l’avventuriere che avea parlato stava per alzarsi, sentì due tenaglie vive che gli caddero sul collo, e lo strozzarono prima che potesse mettere un grido.
L’Indiano ne lasciò il corpo tirato sul pavimento senza far il minimo rumore, e consumò la sua opera; tutti i vasi dello stanzone vuotavansi a poco a poco e inondavano il pian terreno.
Fra un secondo l’umido sveglierebbe tutti gli addormentati, e li obbligherebbe a uscir dello stanzone; era quello che voleva Pery.
Libero del maggior pericolo, l’Indiano girò attorno la casa per vedere se tutto era in calma; ed ebbe allora agio di notare che da per tutto l’edifizio erano disposti fasci di paglia per appiccar un incendio.
Pery rendendo inutili quegli apparecchi, arrivò al canto della casa che guardava rimpetto alla capanna; pareva che andasse in cerca di alcuno. Quivi udì il respiro represso di un uomo, accosto alla parete contigua al giardino di Cecilia.
L’Indiano trasse il pugnale; la notte era tanto oscura che non ci avea modo di scoprire la menoma ombra, il menomo corpo fra le tenebre.
Ma Pery avea un udito sì sottile e delicato, che facea senza della vista; l’alito della respirazione gli servì di mira; ascoltò un momento, alzò il braccio, e il pugnale immergendosi nella bocca della vittima le recise la strozza.
Neppur un gemito proruppe da quella massa inerte, che si contorse un momento e poscia rovinò contro il muro.
Pery raccolse l’arco, che avea appoggiato alla parete, e volgendosi per gettare uno sguardo verso la stanza di Cecilia trasalì.
Vide traverso la soglia della porta il vivo riflesso di una luce; e subito dopo sopra le frondi dell’oleo un chiaro indicante che la finestra era aperta.
Alzò le braccia disperatamente, e fra un’angoscia ineffabile; stava a due passi dalla sua signora, e frattanto un muro e una porta lo separavano da lei, che forse in quell’istante correva un pericolo imminente.
Che dovea fare? Precipitarsi contro quella porta, romperla, fracassarla? Ma quella luce poteva anche non significar nulla, e la finestra essere stata aperta da Cecilia.
Quest’ultimo pensiero lo tranquillò, tanto più che nulla rivelava la presenza d’un pericolo; tutto essendo cheto nel giardino e nella stanza della fanciulla.
Corse alla capanna, e assicurandosi alle foglie del palmizio fu d’un balzo sul ramo dell’oleo, e avvicinossi per vedere ciò che la sua signora faceva aquell’ora svegliata.
Lo spettacolo che gli si presentò dinanzi, gli fece correre un brivido per l’ossa; la persiana aperta gli permise di vedere la fanciulla addormentata, e Loredano, che dopo aperta la porta del giardino avviavasi al letto.
Un grido di disperazione e di agonia stavaper prorompergli dal petto; ma l’Indiano, mordendosi le labbra, represse con forza la voce che si perdette in un suono rauco e piangoloso.
Allora, afferrandosi colle gambe, l’Indiano si collocò col corpo lungo il ramo, e tese la corda dell’arco.
Il cuore batteagli con violenza; e per un momento il suo braccio tremò all’idea che la sua freccia stava per passare vicino a Cecilia.
Quando però la mano di Loredano, protendendosi, si accingeva a toccare il corpo della fanciulla, non pensò, non vide più nulla, se non quelle dita vicine a contaminare col loro contatto il corpo della sua signora; non ricordossi che di quell’orribile profanazione.
La freccia partì rapida, pronta e veloce come il suo pensiero; la mano di Loredano stava confitta nel muro.
Fu solo allora che Pery riflettè, che sarebbe stato miglior partito ferir quella mano nella fonte della vita che l’animava; fulminare il corpo cui apparteneva quel braccio: la seconda saetta volò sopra la prima, e Loredano avrebbe cessato di vivere, se il dolore non l’avesse costretto a curvarsi.