Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 46 — |
fanciulla, addormentata nella coscienza della sua anima pura, una scena orribile, ma muta, silenziosa, istantanea.
Loredano nell’angoscia del dolore che provava, avea compreso di che si trattava; in quella saetta, onde era stato ferito, avea indovinato la mano di Pery; e senza vederlo, sentiva l’Indiano avvicinarsi terribile d’odio e di vendetta, di collera e disperazione per l’oltraggio fatto alla sua signora.
Allora il reprobo ebbe paura; e alzandosi sopra i ginocchi, strappò convulsivamente coi denti la saetta che gli configgeva la mano alla parete, e precipitossi nel giardino cieco, sbalordito, delirante.
In quel medesimo punto, non più che due minuti secondi dopo che l’ultima freccia era caduta nella camera, le frondi dell’oleo che stava rimpetto alla finestra di Cecilia, agitaronsi, e una forma umana librandosi sull’abisso, sospesa a un fragil ramo di albero, venne a cadere sul davanzale della medesima.
Quivi afferrandosi agli stipiti, saltò entro la camera con un’agilità straordinaria; la luce battendo in pieno sopra di lui ne disegnò il corpo flessibile e le forme svelte.
Era Pery.
L’Indiano avanzossi verso il letto, e vedendo la sua signora salva, respirò; infatti la fanciulla semidesta dal rumore della fuga di Loredano, si era voltata dall’altro lato, e continuava quel sonno profondo e ristoratore, com’è sempre il sonno della gioventù e dell’innocenza.