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fondo dell’abisso; l’Indiano era scomparso; appena vedeasi il riflesso della facella.
Cecilia pallida e tremante giudicava impossibile che Pery non fosse morto, o per lo meno quasi divorato da quei mostri moltiformi: piangeva già pel suo amico perduto, e balbettava una preghiera, chiedendo a Dio un miracolo per salvarlo.
Alle volte chiudeva gli occhi per non vedere il quadro terribile che gli si presentava dinanzi, e li apriva di nuovo per scrutare quell’abisso e scoprire l’Indiano.
In uno di quegli istanti uno degli animaluzzi, che brulicavano nel mezzo del fogliame smosso, volò, e venne a posarsi sulla sua spalla; era una speranza, uno di quei vaghi insetti verdi, che la poesia popolare chiama Louvadeos.
L’anima, nei momenti supremi di afflizione, appiccasi al più tenue filo di speranza; Cecilia lasciò spuntare un sorriso fra le lagrime, prese l’insetto colle sue dita rosate e l’accarezzò.
Avea bisogno di sperare, e sperò; riprese animo e potè ancora pronunciare una parola con voce tremola e fioca;
— Pery!
Nel breve intervallo che seguì a questa chiamata, la fanciulla fu in preda a un’ansietà crudele; se l’Indiano non rispondeva, era morto; ma Pery parlò:
— Spera, signora!
Ma, non ostante l’allegrezza che le cagionarono queste parole, parve alla fanciulla che fossero