Il fiore di maggio/Il piccolo Edoardo
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IL PICCOLO EDOARDO
Chi di voi nacque nella Nuova Inghilterra, nel bel tempo antico, nel tempo avventurato in cui si frequentava la dottrina, la chiesa, e la scuola? Se avvi alcuno avrà potuto vedere mio zio Abele, il più retto, più saggio, il più sincero ed il più leale, di tutte le brave persone che giammai abbiano lavorato durante sei giorni, e si sieno riposati il settimo. Voi vi rammentate la sua severa fisonomia, affaticato dalle tempeste della vita e di cui ogni tratto sembrava impresso con penna di ferro, o punta di diamante. I suoi
occhi grigi così pendenti che nel riguardare le cose sembravano peritosi d’ogni smania indagatrice; la circospezione colla quale apriva e chiudeva la bocca; la premeditata convinzione con cui sedeva, o si alzava; infine la perfetta regolarità della sua vita e delle sue relazioni, che parevano sempre sotto l’influenza d’un comando militare:
— Mezzo giro a destra, avanti, marche. —
Se dalla rigidezza del suo esterno tutto geometrico, si fosse voluto inferire che quell’uomo eccellente avesse in sè nulla d’amabile, si sarebbe colto in grave errore. Sovente la neve agghiacciata copre zolle verdeggianti; e sebbene il carattere di mio zio non possa essere precisamente paragonato ai fiori de’ nostri giardini, non era meno fecondo di sani e salutari pensieri.
Il degno parente è vero, rideva di rado, e non scherzava giammai: ma nessuno ha mai stimato più seriamente e con maggior franchezza il merito d’un bel scherzo. Nell’ascoltare un detto spiritoso, il suo viso si rischiarava lentamente coll’espressione di solenne soddisfazione: mentre il suo sguardo si volgeva all’autore, lasciando intravedere la sua muta ammirazione e lo stupore che cosa sì bella avesse potuto nascere dalla mente d’un uomo.
Aveva per le arti belle un gusto assai deciso e lo dava a dividere contemplando con assai diletto le figure della sua bibbia di famiglia, i cui originali, per fermo, non esistevano nè in cielo, nè in terra ně agli inferi. Coltivava anche la musica, con tanta assiduità, che ti avrebbe cantato il libro delle preghiere in una sola seduta, senza il menomo disagio, anche battendone il tempo, come il battaiuolo d’un mulino a vento.
La sua mano era liberale, ma la sua generosità era rattenuta da una regola del tre. Si comportava col suo prossimo proprio come bramava d’essere trattato egli stesso. Era molto sinceramente attaccato a molte cose di questo mondo. Amava assai il Signore, ma più l’onorava, e lo temeva. Era esatto cogli altri, più esatto con sè stesso, e sperava trovare Domeneddio più esatto di tutti.
Dal principio alla fine dell’anno, ad ogni affare in casa sua era costantemente destinata un’ora fissa, una maniera solita, una forma determinata, e posto sempre in un’ordine istesso.
Scorgevasi il vecchio mastino Rosa, il cane secondo il cuore di mio zio, andar trottando continuamente, quasi studiasse la tavola delle moltipliche.
Un vecchio orologio faceva risuonare il suo perpetuo tic-tac nell’angolo della cucina, ed il di cui quadrante rappresentava il sole che tramontava per sempre dietro una fila verticale di pioppeti. — La provi gione, ad ogni tratto rinnovata di fromento e di cipolle, stava sospesa al disotto del camino; attorno allefinestre fiorivano campanelle e primaverine. In un posto d’onore, sparsa al piede di sabbia, scorgevasi in cantucciata una credenza dall’impennate di vetro; in un’altr’angolo un’altro cantonale portava la Bibbia ed un’almanacco, e sotto il camino una scopa di fusti d’asparagi sempre verdi.
In quella casa abitava pure mia zia Betzy che non pareva invecchiare, perchè era sempre sembrata decrepita; essa per nulla al mondo avrebbe voluto mancare di far essicare il 30 settembre la ruga e l’absenzio, nè al primo di maggio imprendere a pulire tutta la casa. In una parola, là era proprio il paese stazionario, ed al vecchio dio del tempo non era mai saltato il grillo di tentarvi nè addizione, nè sottrazione, nè moltiplicazione qualunque.
Quella cara zia Betzy era bene la più precisa, e la più attiva creatura umana, che giammai si fosse data d’attorno in quaranta differenti luoghi. La si trovava sempre ovunque comandando o sorvegliando; e sebbene mio zio fosse passato in seconde nozze, l’autorità e l’impero di mia zia Betzy non era mai venuto meno. Ella aveva regnato sulle spose di mio zio per tutto il corso da loro vita; era loro successo dopo morte nell’amministrazione della casa, e sembrava, che dovesse conservarne l’impero fino alla fine de’ tempi. Ma l’ultima moglie di mio zio aveva lasciato un’imbarazzo assai più grande di quanti la fortuna aveva mai posti attraverso la strada di mia zia. Era il piccolo Edoardo, il figlio de’ tardi suoi giorni, fiorellino più brillante e grazioso e di quelli che ponno innalzare i loro steli sui limiti di una valanga. Era stato confidato alle cure dell’avola sua finchè avesse raggiunto l’età dell’indiscrezione; ed il cuore del mio vecchio zio l’aveva allora così ardentemente richiesto, che glielo fu addotto.
La sua entrata nel seno della famiglia produsse una formidabile senzazione. Non fu mai visto un temerario più sdegnoso della dignità, più insubbordinato al rispetto dovuto alle funzioni elevate o sante, come il vispo Edoardo. Era tempo sprecato insegnargli il decoro e giammai più grazioso folletto aveva portato con maggior audacia una vezzosa testa incoronata dalle bionde riccia d’ondeggiante capigliatura. Non prendevasi neppur cura di distinguere la domenica dagli altri giorni. Rideva e giuocava con tutte le persone, e tutte le cose în cui s’imbatteva senza un’eccezione pel suo venerabile genitore; e quando gettava attorno al collo del vecchio le sue braccia fresche e paffute, quando avvicinava le sue gote vermiglie, gli occhi cilestri e brillanti al pallido volto di papà Abele, sembrava la primavera in atto d’accarezzare l’inverno. Il vecchio babbo sentiva tutta la sua metafisica stranamente confusa da quella peste di ragazzo; e non sapeva trovare un metodo adatto a ridurlo ad una condotta ragionevole perchè quel demonietto faceva il male con un’energia ed una perseveranza veramente straordinaria. Un dì stropicciava il tavolo col tabacco di Scozia della zia Betzy; altra volta lavava il focolare colla più candida spazzola dagli abiti di mio zio; una fiata fu sorpreso mentre aveva l’audacia di adattare al cane Rosa gli occhiali di suo padre; in una parola non v’era uso qualsiasi, tranne il debito, a cui Edoardo non volesse consacrare tutti gli oggetti, che gli scadevano tra le mani.
Il più gran pensiero dello zio Abele, era di non saper cosa fare di suo figlio il giorno del Signore; poichè era appunto allora che il piccolo Edoardo pareva si studiasse di diventare più turbolente e dissipato.
“Edoardo! Edoardo! non si giuoca la domenica„ sclamava suo padre e tosto il fanciullo sollevava la sua inanellata testolina e sembrava grave come il catechismo: ma dopo qualche istante, vedevasi la gatta uscir di sotto alla credenza, ed Edoardo inseguirla, a gran danno dal pio raccoglimento della zia Betzy e degli altri dignitari di casa.
Alla fine mio zio ne concluse che le leggi di natura non permettevano di meglio istruirlo, e che non poteva santificar la festa più del ruscelletto che scorre al piè della collina. Povero zio! non sapeva a qual punto il suo cuore fosse soggiogato; ma pur troppo perdè in tal modo il diritto di rimbrottarlo, quando Edoardo se ne rendeva meritevole. Passava un quarto d’ora di più intento a pulire le lenti de’ suoi occhiali mentre mia zia Betzy gli raccontava le malizie e le mariuolerie del piccolo furfantaccio.
Col tempo il nostro eroe toccò il quarto anno di sua vita, e giunse alla dignità di scolaro. Riportò glorioso trionfo del suo libro di lettura, diede attacco al catechismo, e in capo a quindici giorni restò padrone del campo, dal Chi ci ha creati e messi al mondo? fino ai Comandamenti del decalogo; e, ritornandosene alla casa, in un’accesso di gioja straordinaria, disse a suo padre che era alla fine arrivato all’Amen. Feeesi poi un’abitudine di rileggerlo tutte le domeniche a sera ad alta voce, in piedi, le mani dietro le reni dopo aver svestita la bluse e lanciando di tratto in tratto qua e là lo sguardo per vedere se la gatta gli prestava la debita attenzione: e siccome era d’indole disposto per essenza alla pratica beneficienza, fece molti lodevoli sforzi per insegnare a Rosa il catechismo, tentativo che ebbe un esito quale si poteva sperarlo. Alle corte il piccolo Edoardo minacciava di diventare un prodigio letterario.
Ma ohimè povero Edoardo! la sua felicità fu di corta durata. Un dì cadde ammalato, e già Betzy fece uso per guarirlo di tutte le foglie del suo erborajo: ma tutto fu vano, ed il suo stato peggiorò rapidamente. Suo padre, toccò nel cuore, se ne stava taciturno, e vegliava dì e notte al suo capezzale, studiando con una commovente perseveranza tutti i mezzi di salvarlo.
“Non v’è dunque più speranza? diss’egli al medico, quando tutte le cure furono invano tentate.
— Nessuno„ rispose il medico.
Un movimento convulsivo contrasse un’istante il volto a mio zio.
“Che sia fatta la volontà, del Signore„ disse con sordo gemito....
Al tempo stesso un raggio di sole apparve fra le tende della finestra, e venne a risplendere come sorriso d’angelo in volto al fanciulletto, che destossi da un sonno agitato.
“Oh! papà mio, quanto soffro!„ disse con fioca voce a mio zio che sollevollo fra le braccia. Il suo respiro parve però più libero, e sollevando gli occhi al cielo, sorrise graziosamente.
La compagna de’ suoi trastulli traversava allora la stanza.
“Passy se ne parte, papà; non dovrò più dunque sollazarmi con Passy?1.
In questo momento, un grande cambiamento si operò sul suo viso. Volse lo sguardo al padre con occhi supplichevoli, sporgendo la mano, quasi implorando soccorso; poi, dopo un’agonia di qualche minuto, le grazie del suo avvenente aspetto, si confusero in un sorriso di pace. Mio zio lo depose sul letto e stette contemplando quell’angelico volto. Era troppo per l’energia morale, troppo per la forza fisica dell’infelice padre, che proruppe in gemiti e pianti.
La vegnente domenica, giorno dell’esequie, era un limpido mattino, l’aria profumata dall’olezzo de’ fiori. Lo zio Abele era camo anche lui, e più raccolto del consueto, ma la fisonomia era improntata da commovente e profonda tristezza.
Parmi ancora vederlo, chino il volto sulla sua gran Bibbia durante le preci funerarie, fino al principio del salmo Signore! tu se’ nostro asilo per tutte le generazioni„.
Per fermo fu tocco al vivo dalla sublimità di questa melanconica poesia, poichè ristette dopo averne letto qualche strofa. Regnò allora un silenzio mortuario interrotto soltanto dal battito dell’orologio. Mio zio innalzò di nuovo la voce e volle proseguire, ma inutilmente. Chiuse il libro e s’inginocchiò a pregare. Ad onta del suo rispetto religioso e consueto per la divinità, la violenza del suo dolore appalesavasi dall’entusiasmo tristo e grave del suo linguaggio ch’io non dimenticherò giammai. Quel Dio tanto umilmente rispettato è temuto sembrava avvicinarsegli come un’amico, un consolatore, per esser sua forza, suo refugio e suo appoggio nell’ora della desolazione.
Poscia mio zio alzossi, e s’avanzò verso la bara ove riposava il fanciulletto. Ne scoperse il volto; già la morte vi aveva impresso il suo marchio, ma in pari tempo quanta attrattiva vi aveva aggiunto. Il fuoco della vita è ardente; ma quel candido aspetto brillava d’un raggio misterioso e trionfante che pareva l’aurora de’ celesti splendori.
Mio zio lo comtemplò a lungo con tenerezza. Sentiva al cuore più calmo ma non aveva parole ad esprimere i suoi sensi. Uscì di là senza pensiero e soffermossi sulla porta della casa. Il cielo di quel mattino era puro, e risuonavano per l’aere i concenti delle campane della chiesa. Gli angeletti ripetevano i loro cantici di gioja, e il gattino di Edoardo saltellava intorno alla porta, in preda follemente a’ suoi capricci. Mio zio lo seguiva collo sguardo mentre si slanciavan sugli alberi, e sul parapetto, e che ascendeva a seconda del suo talento, inarcando la coda, e facendo sentire un dolce miagolo, come se nulla di straordinario fosse accaduto.
Mio zio diede un profondo sospiro e sclamò: “Creatura avventurata! Ebbene si compia la volontà del Signore!„ La fragil creta fu in quel giorno consegnata alla creta, in mezzo ai gemiti di quanti avevano conosciuto il piccolo Edoardo. Molti anni corsero di quell’epoca, e la spoglia mortale di mio zio fu da lungo tempo riunita a quelle de’ suoi padri. Ma il suo spirito lindo e leale è rientrato nella gloriosa libertà dei figliuoli del Signore. Sì, l’uomo virtuoso può avere approfittato delle opinioni sprezzate dai filosofi. Forse, sarà caduto in bizzarie, che fecero sorridere uomini deggeri: ma la morte lo trasforma, e non gli lascia se non ciò che ha in sè di saggio, di puro, di risplendente; poichè al dì della risurrezione si desterà nella sua forma primitiva, e, in tutta la sua felicità.
Note
- ↑ Passy equivale a Nina.