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Dal principio alla fine dell’anno, ad ogni affare in casa sua era costantemente destinata un’ora fissa, una maniera solita, una forma determinata, e posto sempre in un’ordine istesso.

Scorgevasi il vecchio mastino Rosa, il cane secondo il cuore di mio zio, andar trottando continuamente, quasi studiasse la tavola delle moltipliche.

Un vecchio orologio faceva risuonare il suo perpetuo tic-tac nell’angolo della cucina, ed il di cui quadrante rappresentava il sole che tramontava per sempre dietro una fila verticale di pioppeti. — La provi gione, ad ogni tratto rinnovata di fromento e di cipolle, stava sospesa al disotto del camino; attorno allefinestre fiorivano campanelle e primaverine. In un posto d’onore, sparsa al piede di sabbia, scorgevasi in cantucciata una credenza dall’impennate di vetro; in un’altr’angolo un’altro cantonale portava la Bibbia ed un’almanacco, e sotto il camino una scopa di fusti d’asparagi sempre verdi.

In quella casa abitava pure mia zia Betzy che non pareva invecchiare, perchè era sempre sembrata decrepita; essa per nulla al mondo avrebbe voluto mancare di far essicare il 30 settembre la ruga e l’absenzio, nè al primo di maggio imprendere a pulire tutta la casa. In una parola, là era proprio il paese stazionario, ed al vecchio dio del tempo non era mai saltato il grillo di tentarvi nè addizione, nè sottrazione, nè moltiplicazione qualunque.

Quella cara zia Betzy era bene la più precisa, e la più attiva creatura umana, che giammai si fosse data d’attorno in quaranta differenti luoghi. La si trovava