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atto d’accarezzare l’inverno. Il vecchio babbo sentiva tutta la sua metafisica stranamente confusa da quella peste di ragazzo; e non sapeva trovare un metodo adatto a ridurlo ad una condotta ragionevole perchè quel demonietto faceva il male con un’energia ed una perseveranza veramente straordinaria. Un dì stropicciava il tavolo col tabacco di Scozia della zia Betzy; altra volta lavava il focolare colla più candida spazzola dagli abiti di mio zio; una fiata fu sorpreso mentre aveva l’audacia di adattare al cane Rosa gli occhiali di suo padre; in una parola non v’era uso qualsiasi, tranne il debito, a cui Edoardo non volesse consacrare tutti gli oggetti, che gli scadevano tra le mani.
Il più gran pensiero dello zio Abele, era di non saper cosa fare di suo figlio il giorno del Signore; poichè era appunto allora che il piccolo Edoardo pareva si studiasse di diventare più turbolente e dissipato.
“Edoardo! Edoardo! non si giuoca la domenica„ sclamava suo padre e tosto il fanciullo sollevava la sua inanellata testolina e sembrava grave come il catechismo: ma dopo qualche istante, vedevasi la gatta uscir di sotto alla credenza, ed Edoardo inseguirla, a gran danno dal pio raccoglimento della zia Betzy e degli altri dignitari di casa.
Alla fine mio zio ne concluse che le leggi di natura non permettevano di meglio istruirlo, e che non poteva santificar la festa più del ruscelletto che scorre al piè della collina. Povero zio! non sapeva a qual punto il suo cuore fosse soggiogato; ma pur troppo perdè in tal modo il diritto di rimbrottarlo, quando Edoardo se ne rendeva meritevole. Passava un quarto