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sempre ovunque comandando o sorvegliando; e sebbene mio zio fosse passato in seconde nozze, l’autorità e l’impero di mia zia Betzy non era mai venuto meno. Ella aveva regnato sulle spose di mio zio per tutto il corso da loro vita; era loro successo dopo morte nell’amministrazione della casa, e sembrava, che dovesse conservarne l’impero fino alla fine de’ tempi. Ma l’ultima moglie di mio zio aveva lasciato un’imbarazzo assai più grande di quanti la fortuna aveva mai posti attraverso la strada di mia zia. Era il piccolo Edoardo, il figlio de’ tardi suoi giorni, fiorellino più brillante e grazioso e di quelli che ponno innalzare i loro steli sui limiti di una valanga. Era stato confidato alle cure dell’avola sua finchè avesse raggiunto l’età dell’indiscrezione; ed il cuore del mio vecchio zio l’aveva allora così ardentemente richiesto, che glielo fu addotto.
La sua entrata nel seno della famiglia produsse una formidabile senzazione. Non fu mai visto un temerario più sdegnoso della dignità, più insubbordinato al rispetto dovuto alle funzioni elevate o sante, come il vispo Edoardo. Era tempo sprecato insegnargli il decoro e giammai più grazioso folletto aveva portato con maggior audacia una vezzosa testa incoronata dalle bionde riccia d’ondeggiante capigliatura. Non prendevasi neppur cura di distinguere la domenica dagli altri giorni. Rideva e giuocava con tutte le persone, e tutte le cose în cui s’imbatteva senza un’eccezione pel suo venerabile genitore; e quando gettava attorno al collo del vecchio le sue braccia fresche e paffute, quando avvicinava le sue gote vermiglie, gli occhi cilestri e brillanti al pallido volto di papà Abele, sembrava la primavera in